Francesca Sabatinelli – Città del Vaticano
Le mine antiuomo, “subdoli e orribili ordigni che uccidono o mutilano ogni anno molte persone innocenti”. Francesco ne ha parlato l’ultima volta nel messaggio pasquale ‘Urbi et Orbi’ di domenica scorsa, 4 aprile, in occasione anche della Giornata mondiale contro questi strumenti di morte. È stata solo l’ultima, in ordine temporale, delle occasioni in cui il Papa, così come la Santa Sede, ultimamente per voce del cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, ha denunciato l’utilizzo di questo terribile strumento.
La diplomazia vaticana al servizio dell’umanità
“Il contributo che ha dato la Santa Sede, attraverso la propria diplomazia, non solo in questo caso, ma anche durante la discussione delle Convenzioni internazionali (Convenzione di Ottawa per la proibizione in tutto il mondo dell’uso, stoccaggio, produzione e vendita delle mine antiuomo e per la distruzione di quelle inesplose e Convenzione di Oslo, contro l’uso, la detenzione, la produzione e il trasferimento di munizioni a grappolo e per la distruzione degli stock esistenti ndr) è stato fondamentale – spiega a Vatican News Giuseppe Schiavello, direttore della Campagna Italiana contro le Mine – laddove la diplomazia ha fatto molto anche per inserire un concetto di vittima che cambia la prospettiva umanitaria, inserendo non solo la persona che viene colpita, ma anche la comunità di cui fa parte”. Il messaggio che arriva da Francesco e dalla Santa Sede, quindi, “è preziosissimo, anche per l’impatto sulla parte più politica della società, che guarda a una guida morale ed etica rispetto alla questione del disarmo, ma anche, e soprattutto, di rispetto dei diritti umani”.
Le mine anti-uomo ancora negli arsenali di molti Paesi
Negli ultimi anni la società umana è stata funestata da una recrudescenza dei conflitti armati, un aumento delle guerre di circa il 70% e, di conseguenza, dell’uso di mine anti-uomo. Si tratta di armi che non vengono più prodotte, che oggi sono più che altro di fattura artigianale, ma il punto sono gli ordigni inesplosi. Schiavello fa l’esempio della Libia, dove “nelle mani dei terroristi sono rimasti arsenali riempiti all’epoca di Gheddafi, quando ancora era possibile comprare mine che poi sono state ritrovate in Siria, sia mine anti-carro, sia anti-uomo. La verità, purtroppo, è che alcuni Stati ancora conservano gli arsenali, perché, non facendo parte della Convenzione di Ottawa, non hanno l’obbligo di distruggerli. Ecco che, quindi, questi arsenali possono finire nelle mani di forze ribelli o anche essere utilizzate da forze governative, come per esempio è successo in Myanmar, e creare danni per tantissimi anni”.
L’impatto umanitario e ambientale delle mine
L’uso che se ne fa da parte delle forze, che siano ribelli o terroristi, è nel “pieno disprezzo della vita umana”. Si calcola che siano milioni le mine anti-uomo ancora attive e che possano continuare ad esserlo anche per oltre 70 anni, un esempio fra tutti è quello della Cambogia. “Immaginiamo il danno ambientale, oltre che umanitario e di sviluppo – prosegue Schiavello – perché impatta sulla capacità di questi Paesi di riprendere una loro produzione, addirittura sullo stesso turismo. Non possiamo stabilirne l’esatto numero ancora sparso nel mondo, ma certamente sappiano che ne sono contaminati migliaia di chilometri quadrati del nostro pianeta”. E tra i Paesi che contano le maggiori vittime, ci sono Siria, Myanmar, Yemen, Libia, Afghanistan.
Il Papa chiede di difendere le popolazioni
Nel 2014, in occasione in Mozambico della terza conferenza di revisione del trattato di Ottawa, entrato in vigore nel 1999,