Migranti, le Ong chiedono di poter issare la bandiera dell’Onu sulle loro navi

Vatican News

La richiesta in una petizione online firmata da alcune realtà della società civile italiana. Chiesta anche l’abolizione della Sar in Libia, non considerata un porto sicuro. Cecilia Strada di ResQ: “Salvare vite umane è anche salvare i nostri valori”

Michele Raviart – Città del Vaticano

Navigare nel mar Mediterraneo con la bandiera delle Nazioni Unite per “tutelare l’operato delle organizzazioni umanitarie che danno concreta attuazione al dovere di soccorso in mare previsto dalle norme internazionali”. È quanto chiedono per le loro navi alcune Ong che si occupano del salvataggio di persone migranti, insieme ad altre realtà della società civile, rivolte al segretario generale dell’Onu Antonio Guterres, all’Unhcr, al Consiglio dei diritti umani e all’Organizzazione marittima internazionale.

Il valore umanitario di salvare vite

La petizione, una raccolta firme online, è stata promossa tra gli altri dal Festival del Cinema dei Diritti umani di Napoli, da Pax Christi e da ResQ ed è stata firmata anche dall’arcivescovo di Napoli, Domenico Battaglia. “Poter esporre le insegne delle Nazioni Unite sulle nostre navi sarebbe un’iniziativa dal valore simbolico. Significherebbe riconoscere l’importanza del lavoro a tutela della vita e della dignità umana che si fa a bordo delle navi umanitarie”, spiega la portavoce di ResQ, Cecilia Strada. “In questo periodo – che dura in realtà da alcuni anni – in cui il soccorso in mare viene criminalizzato così come vengono criminalizzate le persone migranti che attraversano il mare”, sottolinea, “poter riconoscere e riaffermare il puro valore umanitario del salvare la vita umana sarebbe un passo piuttosto importante”.

Ascolta l’intervista integrale a Cecilia Strada

Stop alla Sar in Libia

Un’altra richiesta è quella di cancellare la zona Sar libica, “perché la Libia non garantisce alcun porto sicuro, né il rispetto dei diritti umani”. Alle morti nel Mediterraneo, continua Strada, si aggiunge infatti “anche una situazione di violazione dei diritti umani continua, perché i respingimenti della guardia costiera libica riportano indietro le persone agli stupri e alle torture nei lager”, di “cui non possiamo fare finta di non sapere l’esistenza in Libia”, e che continuano ogni giorno nel Mediterraneo.

Il salvataggio in mare non può essere messo in discussione

Dopo la tragedia di Steccato di Cutro, quando lo scorso 26 febbraio sono morte 88 persone a largo delle coste calabresi, sono continuati i naufragi, con oltre 30 vittime a largo della Tunisia e almeno nove morti in un naufragio nelle acque algerine ieri pomeriggio. “Quello che mi impressiona e che stiamo discutendo nel 2023 se sia giusto o meno soccorrere in mare”, spiega ancora Strada. “Non ci sarebbe neanche bisogno di discutere su questo. La vita umana va salvata, protetta. Punto. Poi quando siamo tutti a terra, salvi e con i piedi asciutti possiamo parlare dei flussi migratori, dei decreti flussi, di come governare anche meglio l’accoglienza nei nostri Paesi, ma la vita umana in pericolo va salvata”.

La nave “Alan Kurdi”

A contribuire ai soccorsi c’è anche la nave di ResQ, l’”Alan Kurdi”, che deve il suo nome al bambino di 2 anni trovato morto sulle rive della Turchia nel 2015. L’imbarcazione, originariamente una nave per la ricerca scientifica, è appena uscita dai cantieri navali dopo alcuni lavori di manutenzione ed è ora pronta per una nuova missione nel Mediterraneo, dove ha già salvato oltre duecento persone in due interventi nell’agosto e nell’ottobre scorso.

Canali di accesso sicuri e legali

L’unico modo in cui si potrebbe strappare le persone dalle mani dei trafficanti di esseri umani, conclude la portavoce di ResQ, è quella di aprire “canali di accesso sicuri e legali in forma di decreti flussi, perché non bastano i numeri dei corridoi umanitari, per permettere alle persone di arrivare legalmente per lavoro o per altri motivi in Italia”. “Sicuramente l’Europa deve agire unita su questo e non può essere qualcosa che viene lasciato ai Paesi che geograficamente sono i Paesi di prima accoglienza”, spiega, “bisogna lavorare a livello europeo per aprire le porte della ‘Fortezza Europa’, altrimenti il Mediterraneo continuerà ad essere il più grande cimitero del mondo, perché questo è diventato negli ultimi anni, con decine di migliaia di morti e i diritti umani che vengono violati tutti i giorni. Spesso quando diciamo che andiamo in mare diciamo non solo che salviamo gli altri, ma in realtà salviamo anche noi stessi. Salviamo i nostri valori, salviamo quello in cui crediamo a partire dal fatto che la vita umana va difesa”.