Francesca Sabatinelli e Stefano Leszczynski – Città del Vaticano
La tendopoli di san Ferdinando, nella piana di Gioia Tauro, verrà smantellata, il quando però è ancora tutto da vedere, dipenderà dal reperimento di strutture adatte ad essere utilizzate e da quando la regione Calabria stanzierà i fondi per varare il progetto di accoglienza e di residenza. Il prefetto di Reggio Calabria, Massimo Mariani, lo ha dichiarato dopo un giro di consultazioni con tutte le parti coinvolte: dalla regione, ai comuni di San Ferdinando e Gioia Tauro, alle associazioni che si occupano di assistenza ai migranti.
La delegazione di Caritas e Migrantes
La situazione nella tendopoli, dove ormai sono comparse anche alcune baracche, è sempre più critica. Già nei mesi scorsi era stato denunciando l’abbandono dell’area, senza corrente elettrica, né acqua, considerata “terra di nessuno – aveva avvertito la Cisl reggina – in cui persino lo Stato fa mancare i suoi presidi”, un luogo segnato dall’assenza dei “criteri indispensabili di umanità”, “un ghetto senza regole e senza sicurezza, igiene e condizioni di vivibilità”. Ad oggi vi abitano 350 persone a fronte di una capienza massima di 300, si tratta di migranti dall’Africa, braccianti irregolari impegnati soprattutto nella raccolta degli agrumi. Soltanto due giorni fa, Caritas e Fondazione Migrantes avevano anche loro denunciato le “condizioni inaccettabili” di vita, dopo che una delegazione guidata dal vescovo di Lamezia Terme, monsignor Giuseppe Schillaci e dal vescovo di Oppido Mamertina-Palmi, monsignor Francesco Milito, si era recata nell’area per esprimere solidarietà a chi ci vive e per lanciare un appello perché si prendano provvedimenti atti a garantire la dignità nell’accoglienza dei migranti.
Immondizia, baracche e tende
“Ormai quel luogo si fa fatica anche a chiamarlo insediamento – spiega Oliviero Forti, responsabile immigrazione di Caritas italiana, presente nella delegazione andata a San Ferdinando – agli occhi di chi visita questi luoghi appare più come un inferno in terra, perché la situazione degli ultimi 10 anni è andata progressivamente peggiorando”. La realtà di oggi è fatta di cumuli di immondizia, di tende e di baracche, dove sono alloggiati centinaia di lavoratori che, precisa Forti, “lamentano costantemente questa condizione legata soprattutto alla precarietà amministrativa, il che significa problemi con i tempi per il rilascio del permesso di soggiorno, per i rinnovi e quindi anche una precarietà esistenziale dettata da quella burocrazia che non aiuta questi processi. È comunque una situazione che non farei fatica a definire fuori controllo”.
Le responsabilità politiche e istituzionali
Quella di San Ferdinando non è l’unica realtà di questo tipo, ve ne sono altre in Calabria e anche in altre regioni. “Diciamo che questo degrado – aggiunge Forti – per fortuna noi lo riscontriamo solo in alcune aree del Paese ben note, che riguardano però qualche migliaio di persone, quindi è comunque una urgenza, neanche più una emergenza, perché si protrae da così tanto tempo che è diventata la normalità”. Il tema non è dunque l’intervento umanitario, che viene garantito da Caritas, così come da altri organismi, ma che non è risolutivo, quanto, piuttosto, “la responsabilità politica ed istituzionale che è veramente mancata, che è stata assente in questi anni al di là dei colori politici, perché in un arco di tempo così lungo evidentemente tutti hanno responsabilità. Non c’è stata la capacità di trovare soluzioni alternative che passano attraverso l’individuazione di un sistema di accoglienza diffusa sul territorio”.
Occorrono consumatori consapevoli
Non si possono dunque tollerare ancora accampamenti quali quello di San Ferdinando, dove scoppiano continuamente incendi che hanno provocato anche morti. Ciò che si chiede è un piano a lungo periodo e di ampio respiro, che venga accompagnato da misure che alleggeriscano i tempi della burocrazia, che aprano il dialogo con le imprese locali, ma anche con le comunità, laddove i migranti vivono. Inoltre, anche i consumatori sono chiamati alla responsabilità, quella di fare una spesa consapevole, “dovrebbero chiedersi – precisa Forti – perché le arance si pagano €0,90 al chilo”. Dietro ad un prezzo così basso, è l’amara spiegazione, “c’è il lavoro di persone che vengono pagate una miseria. C’è quindi anche un forte aspetto culturale da considerare, che si sta affrontando, ma con grande difficoltà perché significa entrare nelle dinamiche quotidiane della gente, in un periodo di crisi in cui tutto questo pesa. Ecco che sommando questi vari aspetti, il risultato finale, poi, è quello di San Ferdinando”.