Marco Guerra – Città del Vaticano
L’ex ministra danese dell’Immigrazione, Inger Stojberg, è stata condannata a 60 giorni di carcere per aver separato illegalmente, nel 2016, una coppia di migranti. La sentenza della Corte Suprema riapre il dibattito sull’accoglienza dei migranti, le annesse politiche comunitarie e il diritto delle famiglie di rifugiati a restare unite, anche ma non solo in vista delle Giornata internazionale di sabato prossimo 18 dicembre dedicata ai diritti dei migranti.
Le misure del governo danese
Iscritta allora al partito liberale Venstre, Stojberg è stata ministra dell’Immigrazione e l’Integrazione fra il 2015 e il 2019 nel governo di Lars Lokke Rasmussen. Le accuse nei suoi confronti riguardano la separazione di una coppia siriana perché la moglie era minorenne. Il suo ministero aveva stabilito, nel 2016, di alloggiare separatamente tutte le coppie di richiedenti asilo se uno dei coniugi era minorenne, una decisione che ha colpito altre 23 coppie. La quasi totalità della Corte speciale, istituita per il suo caso, ha ritenuto che l’ordine del 2016 fosse illegale. Solo uno di loro si è espresso per l’assoluzione, ha spiegato il presidente della Corte, Thomas Rordam. L’accusa aveva chiesto quattro mesi di carcere, Stojberg che non può presentare appello si è detta “molto, molto sorpresa del verdetto”. Il governo di cui faceva parte aveva intrapreso altre controverse misure in materia di immigrazione, come la consegna allo Stato danese dei beni e dei gioielli che valevano più di 1.300 euro per contribuire alle proprie spese di mantenimento e a quelle burocratiche per la richiesta di asilo.
Australia aumenta quote dell’immigrazione
Intanto dall’Australia arriva un segnale di apertura. Il governo di Camberra si avvia ad aumentare stabilmente l’immigrazione permanente per affrontare la carenza di competenze e rafforzare la crescita economica. Le stime, presentate dal Ministro del Tesoro Josh Frydenberg mostrano che l’impatto economico più durevole della pandemia di Covid-19 sarà un netto calo di crescita della popolazione, con circa 1,5 milioni di persone in meno dopo 10 anni, rispetto alle previsioni pre-pandemia. Un ritorno ad un aumento netto dell’immigrazione dall’estero e una maggiore crescita della popolazione stimoleranno la crescita dei consumi, rafforzando la ripresa economica, ha detto l’esponente del governo.
Pompei (Sant’Egidio): giudici riconoscono l’unità familiare
Quanto successo in Danimarca, con la separazione delle coppie di profughi, mostra come i Paesi dell’Unione applichino in modo diverso e arbitrario la direttiva Ue che riconosce l’accoglienza e il ricongiungimento delle famiglie di rifugiati. “La Corte danese sentenzia che quando si arriva come rifugiati bisogna mantenere innanzi tutto l’unità famigliare”, così commenta la decisione dei giudici danesi Daniela Pompei, responsabile immigrazione e accoglienza della Comunità di Sant’Egidio. Famiglia e matrimonio sono dunque diritti naturali inalienabili dell’uomo ma non sempre le legislazioni riconoscono le dovute tutele. “C’è un quadro complesso, una famiglia di rifugiati unita che arriva in Ue viene accolta tutta insieme, è il caso delle famiglie afghane che scappano dalla scorsa estate, il problema può nascere quando c’è una parte di famiglia che è già sul suolo europeo, perché parliamo di ricongiungimenti”, spiega ancora Pompei. “Allo stato attuale la direttive Ue prevede che è possibile fare ricongiungimento con i coniugi, i figli minori e genitori sopra i 65 anni – prosegue l’esponente della Comunità di Sant’Egidio – diversi Paesi non riconoscono quindi il ricongiungimento per i figli maggiorenni e i genitori sotto i 65 anni e per quelli che hanno nel Paese di provenienza altri figli che possono mantenere”.
Problemi per i ricongiungimenti dei figli maggiorenni
La Comunità di Sant’Egidio chiede alle istituzioni di allargare il riconoscimento dei ricongiungimenti e riferisce dei numerosi problemi causati da queste limitazioni. “Con i corridoi umanitari che gestiamo ci è capitato che una famiglia libanese, che doveva essere accolta in Germania, si è vista rifiutare la domanda di accoglienza di una delle figlie perché era maggiorenne”. Secondo Pompei questo è ancora più grave nel contesto di alcune culture di provenienza, dove non si lasciamo le donne sole. “Bisogna valutare situazione per situazione anche per evitare che per compiere un ricongiungimento le persone si affidino ai trafficanti”. Ancora più complicato è il discorso dei ricongiungimenti degli immigrati per motivi economici che non godono dello status di rifugiati: “Viene richiesta la dichiarazione dei redditi per verificare se si è in grado di mantenere il nucleo famigliare e viene fatto anche un controllo sui metri quadri dell’alloggio che deve ospitare tutta la famiglia”.
Famiglia motore dell’integrazione
Pompei insiste sulla necessità di mantenere l’unità dei nuclei famigliari. “Abbiamo esempi molti positivi con i corridoi umanitari, le famiglie hanno un percorso di integrazione più veloce, i bambini vanno a scuola, imparano l’italiano prima dei genitori e riescono ad agevolare le relazioni sociali con le famiglie italiane, per questo è preferibile favorire in ogni modo i ricongiungimenti familiari e anche i ricollocamenti in altri Paesi europei favorendo i nuclei familiari”. “Anche i singoli – conclude Pompei – dopo poco tempo che lavorano pensano a sposarsi o ricongiungersi alla famiglia se ne hanno già una. Sicuramente è la famiglia che muove tutto il percorso di integrazione”.