Alto commissariato Onu per i rifugiati e società civile esprimono la propria preoccupazione circa l’osservanza del diritto internazionale nei centri allestiti nel Paese balcanico. Per il governo italiano saranno operativi a fine agosto
Stefano Leszczynski – Città del Vaticano
I muri della Fortezza Europa si confermano sempre più alti e invalicabili per chiunque fugga da guerre, persecuzioni, violenze, cambiamenti climatici o semplice miseria. Lo confermano i dati di Frontex, Agenzia europea per il controllo delle frontiere esterne, che evidenziano un calo del 32% nel numero di chi tenta di varcare i confini in maniera irregolare. Calano drasticamente i flussi lungo le famigerate rotte dei Balcani occidentali (-75%) e quelle del Mediterraneo centrale (-64%). In un’intervista rilasciata ai media vaticani Gianfranco Schiavone, dell’Asgi, Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione, sottolinea che, a fronte di un’immutata situazione di crisi internazionale, “questi dati indicano semplicemente che sono cambiate le rotte seguite dai migranti in cerca di protezione e che molti di loro sono rimasti bloccati in Paesi terzi dove non possono godere di alcuna protezione o assistenza, come avviene ad esempio in Libia o in Tunisia”.
L’esternalizzazione delle frontiere
L’atteggiamento di chiusura dell’Europa e dei suoi Stati frontalieri, fanno notare le organizzazioni della società civile, punta ad indirizzare sempre più energie politiche e finanziarie sulla cosiddetta “esternalizzazione delle frontiere”. Sono gli Stati limitrofi ai confini europei a farsi carico di bloccare, o ospitare, i migranti in transito. La soluzione individuata con il Patto Italia-Albania con la creazione di due centri di accoglienza e trattenimento nelle località di Shengjin e Gjadër, in questo senso si presenta, invece, come una novità. L’accordo bilaterale prevede, infatti, che i migranti salvati in mare da unità navali italiane vengano trasferiti forzatamente sul territorio albanese, ad eccezione dei casi di particolare fragilità. Qui i migranti saranno identificati e verrà valutata l’idoneità ad accedere alle forme di protezione internazionale previste dall’Italia, asilo compreso. Tuttavia – sottolinea Schiavone di Asgi – il fatto che le domande di asilo vengano esaminate in un Paese terzo all’interno di strutture chiuse, nelle quali i migranti di fatto saranno detenuti e isolati, genera forti perplessità giuridiche circa possibili contrasti con lo stesso diritto europeo.
L’Unhcr vigilerà per 3 mesi
Le perplessità di carattere giuridico sul rispetto degli standard internazionali in materia di asilo sono condivise anche dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, l’Unhcr, che ha annunciato il proprio impegno a monitorare per almeno tre mesi l’implementazione dell’accordo tra Italia e Albania. L’obiettivo sarà quello di informare correttamente i migranti sulla possibilità di accedere alle procedure di protezione internazionale. “Sotto il profilo giuridico – sottolinea ancora Schiavone – si pone il problema del rispetto degli standard garantiti dal diritto internazionale ai richiedenti protezione internazionale: il diritto di essere informato, il diritto di avere accesso libero ad avvocati, il diritto di contattare associazioni indipendenti, il diritto di avere un’adeguata assistenza, di diritto di vedersi esaminata la domanda, possibilmente con un’audizione in presenza e non online”.
Questioni irrisolte
A rimanere indefinita è anche la sorte di quei migranti che si vedranno negare l’asilo da parte italiana. Verranno rimpatriati? E da chi? “Non si tratta di un’ipotesi di scuola – prosegue Schiavone – anche perché secondo i dati diffusi dal Ministero dell’Interno italiano i dinieghi alle richieste d’asilo sono fortemente aumentati negli ultimi sette mesi”. Tradotto in numeri assoluti, significa che nei primi sette mesi del 2024 oltre 32 mila persone si sono viste rifiutare dalle commissioni territoriali una qualsiasi forma di protezione. I centri in Albania dovevano entrare in funzione dal primo agosto scorso, ma per ritardi tecnici nei lavori di allestimento, è stata l’informazione del Viminale, la loro entrata in funzione è stata posticipata alla fine del mese. Il costo stimato per l’allestimento e la gestione dei centri in territorio albanese ammonta a 670 milioni di euro per 5 anni. Una cifra che, obiettano molte organizzazioni non governative, poteva essere utilizzata per rafforzare e migliorare il sistema di accoglienza e protezione già esistente in Italia.