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Medioriente: scontro tra Israele ed Hezbollah, sale il bilancio dei morti in Libano per gli attacchi israeliani

Attacco di droni sulla città di Nabatiye. Raid su Adchit e al-Sawana, nel sud del Libano. Il segretario delle Nazioni Unite Guterres preoccupato per gli scontri tra i due Paesi: “L’escalation è pericolosa e deve essere fermata”

Gianmarco Murroni – Città del Vaticano

Morti e feriti negli attacchi di Israele nel sud del Libano. Un portavoce militare israeliano ha dichiarato ieri che gli attacchi hanno colpito “una serie di obiettivi nelle aree di Jabal el Braij, Houneh, Dunin, Aadchit e Souaneh”. Tra i target, compound militari, centri di controllo operativi e strutture terroristiche di Hezbollah. L’offensiva di Israele in Libano è avvenuta in seguito al lancio di diversi razzi da parte di milizie filoiraniane contro due basi militari in Galilea, nel quale è rimasta uccisa una giovane soldatessa e altre otto persone sono rimaste ferite.

Opposizione internazionale

“La recente escalation è pericolosa e deve essere fermata”, ha commentato, tramite il suo portavoce, il segretario delle Nazioni Unite Antonio Guterres che ha invocato una sospensione immediata dello scontro. Intanto, l’ambasciata israeliana presso la Santa Sede ha rilasciato una nota critica nei confronti di alcune dichiarazioni della Segreteria di Stato Vaticana. A lanciare un appello per intraprendere la via diplomatica anche gli Stati Uniti: “Continuiamo a credere che esista lo spazio per farlo, ha detto il portavoce del Dipartimento di Stato Matthew Miller, e continueremo ad andare avanti per cercare di risolvere questo problema diplomaticamente”. Da Israele, il portavoce dell’ufficio del premier Ilana Stein ha ribadito che lo Stato ebraico “non è interessato ad una guerra su due fronti, ma se provocato risponderà con forza”. Il Governo israleiano ha più volte chiesto – in base alla risoluzione 1701 dell’Onu – che Hezbollah si ritiri oltre il fiume Litani e la Francia sta lavorando ad un piano di mediazione.

Offensiva su Rafah

Al Cairo, dove oggi è sbarcato anche il leader turco Erdogan, i negoziati con Hamas vanno avanti, ma la strada resta in salita. Varie fonti riferiscono che i colloqui si sarebbero arenati soprattutto sul numero di detenuti palestinesi richiesti dalla fazione islamica per accettare l’accordo sugli ostaggi. A incalzare Hamas anche il presidente palestinese Abu Mazen: “Completi rapidamente l’accordo sugli ostaggi, ha ammonito, per risparmiare al nostro popolo il flagello di un’altra catastrofe”. Le preoccupazioni del leader dell’Anp e non solo si concentrano adesso sulla possibile operazione di terra a Rafah, dove si trovano oltre un milione di sfollati. Netanyahu anche oggi ha minacciato un’azione “potente” non appena sgomberati i civili. Una prospettiva condannata ormai da tutto il mondo. Il presidente francese Emmanuel Macron, in una telefonata con il premier israeliano, ha affermato che il bilancio dei morti a Gaza è “intollerabile” e che le operazioni israeliane “devono cessare”. Poi ha sottolineato l’urgenza di concludere un accordo su un cessate il fuoco che garantisca finalmente la protezione di tutti i civili e l’accesso massiccio degli aiuti. Lo stesso monito è arrivato da Spagna e Irlanda, che hanno chiesto alla Commissione europea di “verificare urgentemente” se Israele stia “rispettando i diritti umani a Gaza”. Sulla stessa linea il primo ministro canadese Justin Trudeau che ha sottolineato l’importanza di proteggere le vite dei civili palestinesi e di aumentare gli aiuti umanitari per le centinaia di migliaia di persone che sono state sfollate.

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