Benedetta Capelli – Città del Vaticano
“Dolore” è la parola che, nel corso della conversazione a Vatican News, più volte ripete Margaret Karram riferendosi a quanto sta accadendo in Terra Santa. La sua terra. Da febbraio è presidente del Movimento dei focolari e alle comunità di tutto il mondo si è rivolta per chiedere preghiere di invocazione alla pace. E’ nativa di Haifa, la sua famiglia è palestinese, l’incontro con i focolari da giovanissima l’ha portata a costruire ponti di dialogo con le altre religioni. I suoi studi e il suo impegno si sono focalizzati sulla dimensione dell’incontro ed è questo il punto forte che ribadisce più volte soprattutto all’indomani dell’appello lanciato da Papa Francesco per la pace in Terra Santa. Parole che anche Margaret Karram fa sue, ribadendo la necessità di costruire la speranza attraverso la giustizia. Nei suoi occhi, come in quelli di tanti, c’è la sofferenza degli innocenti, quei bambini la cui morte – ha detto ieri il Papa al Regina Coeli – è “terribile e inaccettabile”.
R. – Per me quello che sta succedendo è veramente causa di grande grande dolore, non solo perché sono di quel Paese, perché ho vissuto lì e perché ho conosciuto la gente del posto, palestinesi di Gaza ma anche di altre parti dei Territori sia ebrei, e mi fa veramente soffrire vedere come la situazione stia peggiorando giorno dopo giorno. Sentendo ieri il Papa mi ha proprio colpito nel profondo perché anch’io sento che chi alla fine paga il prezzo più alto sono le persone innocenti, i bambini. Ho assistito negli anni precedenti a vari conflitti dell’Intifada e posso dire che queste cose non finiscono con il cessare del conflitto ma durano per molto ancora. Questi bambini che crescono, queste famiglie che hanno perso qualcuno di caro vivono delle situazioni drammatiche e il loro futuro è veramente spezzato, buio. Non hanno neanche la speranza di guardare ad un futuro in cui vivere in libertà e in sicurezza perché finché non c’è la giustizia, il rispetto dei diritti umani di tutti, non ci sarà la pace. Non possiamo costruire un futuro diverso. E quale futuro vogliamo offrire se non ci sono i bambini o se i bambini hanno vissuto il trauma di una guerra che non ha senso.
E’ però altrettanto vero che ci sono fra il popolo palestinese e israeliano persone che vogliono la pace, che fanno manifestazioni insieme nelle strade per la pace e che sono coinvolti da anni in organizzazioni di dialogo interreligioso per far crescere la conoscenza, l’amicizia e per contrastare l’ignoranza che porta la paura e la paura porta sempre ad un conflitto più grande, però questo non fa rumore. C’è una speranza perché il popolo vuole vivere nel dialogo, nell’amicizia tra i due popoli. Quello che mi ha dato ancora più dolore, oltre all’immenso dolore di vedere la situazione di Gaza dove conosco tanta gente, è che anche nella mia città Haifa ci sono conflitti tra le parti. Era una città modello di convivenza per tutto il Paese. Veramente abbiamo distrutto, secondo me, anni di pace e di convivenza tra i popoli solo perché ognuno, da una parte e dall’altra, fa prevalere l’odio, la violenza.
Lei è proprio la rappresentazione della ricchezza dell’una e dell’altra parte. In una nota ha espresso molto dolore per quanto sta accadendo nella terra in cui è nata ma la sua esperienza che cosa può insegnare a chi oggi si fronteggia?
R. – Penso che la mia esperienza può dare forza e coraggio perché io sento questa forza che viene da Dio e dal mettere in pratica l’insegnamento di Gesù. Lui ci insegna a dialogare con gli altri, ad amare, a rispettare ognuno, a non fare all’altro quello che non vogliamo che si faccia a noi. Mi auguro che il dialogo sia la via di riconciliazione perché altrimenti non arriviamo da nessuna parte. Io ho sperimentato questo anche negli anni che ho vissuto in questa terra sia con gli ebrei che con i palestinesi e il fatto di poter anche dare la possibilità di incontrarsi, di conoscersi, di andare al di là di quello che ognuno sente, ci porta a scoprire il rispetto reciproco, l’essere tutti umani e fatti ad immagine di Dio. Tutti quanti nel nostro cuore aspiriamo al bene, alla pace e per questo è importante creare sempre più spazi di incontro perché l’incontro con l’altro ti porta a superare tante cose che senti dentro di te, allora questo incontro ti fa scoprire l’altra faccia.
Come diceva Chiara Lubich: non sentirsi popoli diversi ma un unico popolo…
R. – Esatto un unico popolo che vuole vivere questa fraternità, perché ognuno ha diritto di vivere, di essere libero e di sentire che ha una patria e che può vivere in pace con gli altri. Questo è anche quello che Chiara ci ha insegnato a vivere, assumendo il dolore dell’altro affinché si superi insieme. Io sento che, anche attraverso questa sofferenza che sento proprio mia e che è fortissima, abbracciandola, accettandola diventa una purificazione per la pace. Ci vuole coraggio a non odiare perché è facile fare del bene a a chi ti vuole bene, ma è più difficile fare del bene a chi ti fa del male. E’ Vangelo. Per me è proprio fare una rivoluzione interna, una conversione della mente e del cuore perché se io voglio continuare a fare del male a chi mi fa del male, sto contribuendo al male, ma se io veramente cerco di fare del bene con il coraggio di questo amore che viene dal Vangelo che Gesù ci ha insegnato, allora penso che possiamo contribuire a creare un mondo diverso.