A dieci anni dal sequestro in Siria del sacerdote il presidente della Repubblica Italiana Mattarella lo ricorda in un messaggio: “Ha sfidato pregiudizi e regimi, ha vissuto con i più poveri, ha percorso coraggiosamente i deserti e i territori dei conflitti, dell’odio, della sopraffazione, per portare speranza e umanità”
Paolo Ondarza – Città del Vaticano
Un “testimone e costruttore di pace” che ha fatto sì che la sua fede religiosa non si sia mai espressa come motivo di contrasto”. Il Presidente della Repubblica Italiana, Sergio Mattarella, in una dichiarazione ricorda così padre Paolo Dall’Oglio, a dieci anni dal rapimento in Siria. La vita del sacerdote, scrive il capo di Stato, “è sempre stata una spinta incessante a ricercare la condivisione, l’incontro, la giustizia, l’unità, in nome della persona, di ogni persona, della sua integrità, della sua inviolabile dignità. Ha sfidato pregiudizi e regimi, ha vissuto con i più poveri, ha percorso coraggiosamente i deserti e i territori dei conflitti, dell’odio, della sopraffazione, per portare speranza e umanità”.
Lo strazio e la speranza
Dal giorno del sequestro, si legge nella dichiarazione, “nessuna notizia è stata capace di rinfocolare la speranza della sua sopravvivenza. In questo giorno che rinnova il dolore e, con esso, il ricordo di uomo generoso, che ha donato tutto se stesso alla solidarietà, al dialogo, all’aiuto di chi più è nel bisogno, desidero esprimere i sentimenti più profondi di vicinanza ai familiari e a quanti con loro condividono lo strazio dell’attesa”.
Testimoni di pace, protagonisti della storia
“Per quanto possano apparire inermi”, osserva ancora Mattarella, “i testimoni di pace sono protagonisti della storia. La memoria della loro presenza e del loro passaggio va tenuta alta, ancor più in una stagione in cui le ferite della guerra insanguinano il Medio Oriente e la nostra Europa”.
La testimonianza e il sequestro
Nato nel 1954, gesuita dal 1975, padre Paolo Dall’Oglio, fondatore della Comunità monastica di Deir Mar Musa sorta proprio dove nel 1982 il sacerdote aveva scoperto le rovine di un antico monastero nel deserto siriano: il Monastero di San Mosè l’Abissino. Due anni dopo viene ordinato sacerdote nella Chiesa siro-cattolica, che ha giurisdizione sul monastero. Nel 1991 comincia una nuova esperienza monastica, aperta all’ospitalità, all’ecumenismo, all’inculturazione nel contesto arabo-islamico e al dialogo con l’Islam.
Dal 2011, sull’onda delle manifestazioni della “primavera araba”, che interessano anche la Siria, si impegna a favore della pace e di un graduale processo di democratizzazione. Per le sue posizioni, gli viene revocato il permesso di residenza e nel giugno 2012 è costretto a lasciare la Siria. Nel luglio 2013 riesce a raggiungere Raqqa, nel nord del Paese controllato dall’opposizione al regime. Il 29 luglio viene rapito e da quel momento non si hanno più sue notizie.