Presentato al Palazzo della Rovere, a Roma, il libro che ripercorre, di mese in mese, il pontificato di Bergoglio. Frutto delle riflessioni già contenute nella rivista dei francescani, pone in risalto le peculiarità di questo magistero in sintonia con lo stile del santo di Assisi
Antonella Palermo – Città del Vaticano
“È possibile oggi la fratellanza, quella del Vangelo di Cristo? È possibile ascoltare la voce di Dio, del povero, del malato, della natura, trasformando tutto ciò in uno stile di vita?”. È la domanda che si pone Massimo Enrico Milone, per dieci anni alla guida di Rai Vaticano – vi arrivò proprio nel giorno delle dimissioni di Ratzinger – e già presidente nazionale dell’Unione Cattolica della Stampa italiana, autore del libro “Da Francesco a Francesco. Dieci anni di un Pontificato innovatore” (Casa editrice Francescana), presentato oggi a Roma nel Palazzo della Rovere.
Appunti di viaggio
Il volume, che ha la prefazione del cardinale Mauro Gambetti, Vicario Generale per la Città del Vaticano, è concepito come un diario: un articolo per ogni mese, quelle riflessioni che via via venivano pubblicate nella rivista “San Francesco” (che compie un secolo di vita) dei frati del Sacro Convento di Assisi. Appunti di viaggio li preferisce chiamare lo stesso autore che è convinto che con Papa Francesco si è creato un punto di discontinuità per cui “nulla sarà come prima: non solo per le riforme apportate nel corso del pontificato – dice – ma soprattutto per ciò che ha saputo innescare nei cuori della gente, credenti e non credenti in tutto il mondo”. E aggiunge: “L’umanità forse aspettava un ‘padre’ e con Bergoglio è arrivato”.
Una “paziente spigolatura” di dieci anni di pontificato
Mentre il violinista Fabrizio Von Arx si esibisce, per la prima volta in assoluto, con lo Stradivari “The Angel” del 1720, creando un’atmosfera in cui fede e cultura si intrecciano con grazia, nel saluto introduttivo, il cardinale Ferdinando Filoni, Governatore dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme (ci troviamo nel Palazzo che è la sede dell’Ordine) parla del libro di Milone come di una “paziente spigolatura” di dieci anni di pontificato. E ricorda la scelta del nome di Francesco, a richiamare quel santo che prese sul serio l’invito alla sequela di Gesù. “Sulle orme di San Francesco – scrive Milone – ci incamminiamo con Papa Francesco con la consapevolezza che mettendo insieme tutti i volti, anche feriti dell’umanità, si può vincere, si possono sconfiggere le guerre, limitare la povertà, arginare i cambiamenti climatici, dialogare e costruire insieme un mondo diverso”.
Papa Francesco, sintesi mirabile del francescanesimo sociale
Dove sta la vera novità apportata da Papa Francesco? Se lo chiede fra Giulio Cesareo, OFMConv, direttore Ufficio comunicazione Sacro Convento di Assisi, moderatore dell’incontro: in fondo il pontefice non ha fatto altro che riportare l’eterna novità del Vangelo. Lo stesso fece il poverello. Padre Enzo Fortunato, OFMConv, giornalista e scrittore, sottolinea come il Papa abbia saputo in maniera meravigliosa sintetizzare il francescanesimo sociale. L’uomo della pace, dei poveri, che custodisce il creato: le tre caratteristiche che si stagliano in questi dieci anni e che sono diventate tre encicliche. Ricorda il momento in cui ad Assisi ci fu la firma della Fratelli tutti. Gli occhi di Francesco che guardano gli occhi di San Francesco. “Questo diario è proprio uno sguardo, ma non uno sguardo che graffia, è uno sguardo che carezza e che stimola a fare meglio”.
Ruffini: raccontare dieci anni recuperando la profondità della parola
Come restituire attraverso la comunicazione massmediale un pontificato come quello di Francesco? Paolo Ruffini, Prefetto del Dicastero per la Comunicazione insiste molto sul fatto che “viviamo un tempo che consuma tutto, anche le parole che rischiano di trasformarsi in un rumore di fondo, di galleggiare nel nulla”. Anche l’autore esplicita nel volume il rischio a cui il linguaggio è di continuo sottoposto. “Bisogna fermarsi per ridare un senso alle parole e ridare una direzione alla storia”, invita il prefetto. In questo il libro, dice, ci aiuta. E poi l’accento su quel paradosso, condiviso da Ruffini e Milone, che l’esplosione della civiltà digitale porta con sé: un tempo iperconnesso e frammentato. Ruffini rilancia l’invito del Papa: tenere insieme bontà, verità e bellezza in un’epoca in cui spesso viene meno il rapporto tra vero e falso. “Sta a noi la capacità di innervare tempi e tecnologie diversi, coltivare il plurale del genere umano, il fascino delle nostre radici, sta a noi andare e vedere e ascoltare con gli occhi del cuore, passare dal network alla comunione. Senza credere – aggiunge – che la civiltà digitale sia un idolo ma nemmeno un demone. Per creare una via di fratellanza contrapposta a quella della guerra.
Il Papa che invita i comunicatori a essere operatori di pace
“Di fronte a chi semina terrore e morte il Papa ci chiede di riscoprire prima ciò che siamo”, prosegue il prefetto citando anche le parole del Papa a Barbiana, nella terra di Don Milani: porsi le domande ultime, non quelle facili. La sfida dei comunicatori, alla luce di un pontificato che della cooperazione alla pace ha fatto una priorità imprescindibile, è proprio “promuovere una cultura di pace con operatori che favoriscano un disarmo integrale”. Stefania Falasca, vaticanista di Avvenire, coglie l’occasione di presentazione del libro di Milone per ricordare alcuni aneddoti della sua esperienza al seguito del Papa argentino. Elogia il fatto che l’autore sia sfuggito alla tentazione di fare bilanci, “perché – lei osserva – la Chiesa non è un’azienda”. E ricorda quelle parole estemporanee pronunciate da Bergoglio all’inizio del suo ministero petrino in cui, lei afferma, “c’era tutto il suo programma, dalla missionarietà alla sinodalità della Chiesa”. Anche Ignazio Ingrao, vaticanista del TG1, tratteggia da cronista alcuni aspetti della personalità di Bergoglio: il Papa degli ossimori, lo definisce: mite e severo, pastorale ma fermo nella dottrina, misericordioso ma inflessibile. E chiosa conndividendo una domanda: abbiamo il coraggio del possibile o siamo i normalizzatori del presente?