Maria Lorenza Longo, nata nella seconda metà del ‘400, oggi beata a Napoli

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Adriana Masotti – Città del Vaticano

Di Maria Lorenza Longo non si sa con precisione l’anno di nascita, probabilmente il 1463. Di origine catalana, apparteneva ad una famiglia nobile di Lérida. Si sposò giovanissima, forse sedicenne, con Juan Llonc, reggente del Consiglio di Aragona. Una bevanda avvelenata le paralizzò le gambe ma, dopo essere rimasta vedova, durante un pellegrinaggio al santuario di Loreto ottenne la grazia della guarigione. Tornata a Napoli, decise di dedicarsi interamente alle opere di carità, fondando nel 1519 l’Ospedale dei cosiddetti “incurabili”, cioè gli ammalati di sifilide. Più tardi Maria Lorenza volle occuparsi anche delle prostitute, dando vita ad una comunità di “convertite” e aprendo un monastero. Insieme ad alcune donne che si erano unite a lei, decise di dare inizio ad una nuova istituzione claustrale di francescane a carattere contemplativo. Il 19 febbraio 1535 ottenne dal Papa Paolo III l’autorizzazione a costruire per loro un monastero “sotto la regola di Santa Chiara”. Anche la data della sua morte è incerta, ma pare sia avvenuta nell’ottobre del 1539.

Semeraro: una donna “portatrice di Cristo” 

La parola del Signore va letta, ascoltata, lodata, ma poi va anche osservata. E’ quanto sottolinea il cardinale Marcello Semeraro nell’omelia alla Messa di beatificazione di Maria Lorenza Longo che, dice il prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, la “forza generativa della Parola ascoltata e vissuta” l’ha vissuta in sé. Nel Duomo di Napoli sono presenti le Clarisse Cappuccine del monastero detto “delle Trentatré”, Ordine da lei fondato, e consorelle di altre comunità. Il porporato la definisce “una donna per tutte le vocazioni”: 

Ella, infatti, fu sposa, madre, laica consacrata dedita alla carità, monaca contemplativa e in tutti questi “stati” della sua vita fu sempre in ascolto della voce di Dio, che la chiamava ad essere “portatrice di Cristo”.

In ascolto della voce dello Spirito

Costante il suo impegno per comprendere in che modo avrebbe potuto realizzare il progetto di Dio nella propria vita. Maria Lorenza Longo “fu sposa fedele e madre premurosa”, prosegue il cardinale Semeraro, che racconta di quando, partito il marito per Napoli, quale membro del Consiglio Collaterale del Viceregno al seguito di re Ferdinando il Cattolico, Maria Lorenza lo seguì pur nelle sue condizioni fisiche difficili, per sostenerlo nell’adempimento dei suoi compiti. Rimasta vedova, fidandosi di Dio anche in quella circostanza, si mise “al servizio della carità”. Fondò “l’Ospedale degli Incurabili” non solo per assistere “gli ultimi fra gli ultimi” ma anche per accompagnare le persone emarginate all’incontro con Cristo.

La fondazione delle Clarisse Cappuccine

Il prefetto descrive poi un’altra tappa fondamentale nell’esistenza di Maria Lorenza Longo:

Compì, poi, la scelta della vita contemplativa per sé e altre sorelle: “le Trentatré”, che si fecero seguaci del Poverello di Assisi e di Chiara, la sua “pianticella”. La fecondità di questa scelta è constatabile ancora oggi: le Clarisse Cappuccine oggi sono più di 2.000 in oltre 150 monasteri.

L’ultima impresa da lei compiuta fu il forte sostegno offerto per la fondazione del “Monastero delle Convertite” avviando così “il risanamento di una grande piaga sociale”.

L’umiltà e la fede unita alle opere

Della nuova beata, il cardinale Semeraro sottolinea “l’armonica composizione nella sua vita di contemplazione e di azione”, “l’intima corrispondenza tra fede e vita” e l’umiltà che l’ha condotta a “lasciare sempre a Dio l’ultima parola”. E conclude:

La nostra Beata, con le sue scelte di vita, ha imitato sia Marta, sia Maria e al termine della vita, sul letto di morte disse: “Sorelle a voi pare che io abbia fatto gran cose di buone opere; ma io in niente di me stessa confido, ma tutta nel Signore”. Mostrando, poi, la punta del dito mignolo, disse: “Tantillo di fé mi ha salvata”!