Il prefetto apostolico di Ulaanbaatar traccia un bilancio del 43.mo viaggio apostolico di Francesco, “viandante di pace”: “Tanti mi hanno scritto perché colpiti dalle parole del Santo Padre che hanno esaltato bellezza e valore della storia e del popolo mongolo”. Dal Papa un messaggio per il mondo e i Paesi vicini: “Ha mostrato che non è tutto determinato solo da logiche di calcolo, potere, prevaricazione”
Salvatore Cernuzio – Inviato a Ulaanbaator (Mongolia)
Sorride il cardinale Giorgio Marengo per la soddisfazione di una visita, da poco conclusa, quella del Papa in Mongolia, di cui lui è uno degli artefici, che ha dato “grandi risultati” per il presente e il futuro del Paese. E non solo. Risultati peraltro “inaspettati” per una Chiesa senza numeri né mezzi che si è trovata a dover organizzare un evento che ha segnato una prima volta nella storia: il viaggio di un Pontefice nella terra di Gengis Khan, cerniera centroasiatica stretta tra la Russia e la Cina, casa di una “Chiesa bambina” di poco meno di 1.500 battezzati.
Prefetto apostolico di Ulaanbaator dal 2020, protagonista del Concistoro 2022 per la sua età – 49 anni – che lo rendono il più giovane membro del Collegio cardinalizio, Marengo è stato a fianco al Papa in tutti gli eventi che hanno scandito la visita: dall’arrivo nell’aeroporto Chinggis Khan, dove ha fatto partire un applauso spontaneo alla vista dell’A330 ITA Airways, fino all’inaugurazione del 4 settembre della Casa della Misericordia, durante la quale ha presentato a Francesco i malati e disabili lì accolti che intonavano un canto per il Papa. Ricercatissimo tra telefonate e visite improvvise in Prefettura, il giovane pastore di questa giovane Chiesa accoglie i media vaticani nella Prefettura Apostolica, residenza di Papa Francesco nei giorni del viaggio. Un edificio di mattoni rossi nel Bayanzurkh District, in mezzo a un garage, un supermercato e un ennesimo palazzo in costruzione. All’interno ci sono affissi ancora stemmi, bandiere, cartelli della visita papale e un’affascinante cronologia grafica dell’arrivo e lo sviluppo della Chiesa cattolica in Mongolia.
Cardinale Marengo, anzi, “padre Giorgio” come tutti la chiamano qui. Partiamo da un suo bilancio personale sul viaggio appena concluso di Papa Francesco in Mongolia…
Beh, direi veramente una grazia totale, non so come definirla diversamente, un dono immenso che abbiamo ricevuto e come ogni dono gratuito, nel senso che è andato ben al di là delle nostre speranze, delle aspettative. Tutto il lavoro, la fatica anche della preparazione, perché – appunto – la nostra realtà è così piccola che non avevamo mezzi e persone adatti per un evento del genere. Poi è stata superata dalla gioia di avere con noi il Santo Padre, dalla sua testimonianza così umile, semplice e vicina che ha subito creato una sintonia con la gente, con persone di ogni background possibile.
Cuore di questa visita è stato l’incontro con la comunità cattolica, ma per tutto il resto della popolazione – quella non credente o di altre confessioni, quindi la maggioranza – cosa ha significato vedere questo personaggio universale venire qui, parlare, farsi conoscere e far conoscere il suo ruolo?
Ho ricevuto diversi commenti molto positivi da parte di persone, appunto perlopiù non legate alla Chiesa, su come il Papa sia riuscito a mettere in risalto la bellezza, l’originalità di questo popolo; i suoi discorsi contenevano veramente elementi che hanno fatto sentire le persone orgogliose di essere quello che sono, perché è stato dato molto spazio alla bellezza, alla ricchezza di questo popolo, delle sue tradizioni, della sua storia. Quindi vedere un leader religioso di fama mondiale venire qui fisicamente, anche con la componente di fragilità che lo caratterizza con i suoi acciacchi di salute, e portare questo messaggio disarmante di fraternità, di collaborazione, armonia, ha sicuramente creato una breccia nel cuore di questa gente. E ha contribuito finalmente a una conoscenza della sua persona e di quello che lui rappresenta che, fino alla vigilia della sua venuta, non era così approfondita, ma forse un po’ superficiale.
Il Papa, oltre a valorizzarne bellezza e storia, ha rilanciato anche il ruolo della Mongolia nello scacchiere internazionale per la pace mondiale e da qui ha inviato anche messaggi ai due Paesi vicini, Russia e Cina. Cosa ha significato questo per voi? Ha un po’ adombrato la visita oppure ha dato, anzi, un nuovo slancio proprio in virtù di quel ruolo globale che il Papa richiede alla Mongolia?
Penso che la testimonianza del Papa di pace, di messaggero di pace o come lui stesso si è definito più volte pellegrino, viandante di pace, questo suo presentarsi così abbia sicuramente contribuito a creare una prospettiva. Lo stesso motto “Sperare insieme” significa che c’è una speranza, che non è tutto determinato solo da logiche di calcolo, di potere, di prevaricazione, di interesse ma c’è un mondo spirituale genuino, morale, fondato su relazioni autentiche che può creare le condizioni per una pace duratura. E questo anche porsi del Papa come messaggero di pace in maniera molto semplice e diretta, credo che abbia contribuito a leggere anche la visita con gli occhi giusti, senza fare ragionamenti che forse non erano neanche nelle intenzioni, ma aprendosi al messaggio in quanto tale, cioè come ogni popolo – al di là della sua dimensione e del suo peso relativo – abbia una responsabilità per costruire la pace. E di questo i mongoli hanno un’esperienza con la Pax mongolica, come lo stesso Santo Padre ha citato. È stata una realtà e forse si potrebbe proprio imparare anche da queste esperienze per il nostro presente.
Dal Papa è arrivato anche un invito alla libertà religiosa, al rispetto dei diritti, alla convivenza pacifica tra le religioni. Secondo lei questa visita può portare effettivamente a tali risultati oppure rischia di rimanere un po’ cristallizzata in un grande evento fine a sé stesso?
Noi tutti ci auspichiamo che questo seme gettato dalla visita di Papa Francesco poi cresca e metta radici e diventi sempre più una realtà. Che questi messaggi trasmessi con coraggio, con parresia, con franchezza, diventino poi anche programmi concreti di vita e di collaborazione. Abbiamo delle buone speranze che tutto questo diventi veramente un percorso, un cammino concreto perché sappiamo come anche questo Paese mantenga le proprie promesse. Quindi siamo sicuri che ci saranno risultati positivi.
E per la piccola Chiesa quale risultati spera lei che ne è pastore?
Intanto nella crescita, nell’approfondimento della fede che è fondamentale, nella riscoperta sempre nuova della bellezza della fede che sicuramente si trasformerà in un radicamento più profondo, più effettivo e quindi nella capacità anche di esprimerla questa fede e viverla come cittadino e cittadina del proprio Paese. È un dono e anche una responsabilità per tutti noi.
La Chiesa bambina che diventa adulta…
Sì, ma speriamo che rimanga sempre in quella infanzia spirituale che non è piccineria, ma è sguardo rivolto al Signore che poi si concretizza in fiducia, in abbandono, in capacità di perdono e riconciliazione.