Chiesa Cattolica – Italiana

Marchetto: da sempre al servizio di migranti e Concilio, la porpora un riconoscimento

L’83enne arcivescovo vicentino, storico del Concilio e segretario emerito del Pontificio Consiglio della Pastorale per i migranti, è tra i 21 nuovi cardinali che saranno creati dal Papa nel prossimo Concistoro. A colloquio con i media vaticani, sottolinea il primato della Chiesa nell’impegno per la tutela dei migranti. E sul Vaticano II aggiunge: “Per applicarlo serve obiettività storica e un’ermeneutica della continuità”

Fabio Colagrande – Città del Vaticano

Domenica 9 luglio, mentre Francesco annunciava nel dopo Angelus il prossimo Concistoro per la creazione di 21 nuovi cardinali, l’arcivescovo Agostino Marchetto stava confessando. Dopo le dodici, i messaggi e le telefonate ricevute sul cellulare, gli hanno fatto scoprire, con incredulità e poi gioia, che il suo nome è nella lista dei nuovi porporati che verranno creati dal Papa il prossimo 30 settembre. In particolare, Marchetto è uno dei tre “ultraottantenni” – senza diritto di voto al Conclave – che il Pontefice ha voluto nel Collegio Cardinalizio perché “si sono distinti per il loro servizio alla Chiesa”.

Arcivescovo vicentino, classe 1940, Marchetto è segretario emerito del Pontificio consiglio della pastorale dei migranti e degli itineranti. Nunzio apostolico, è da tempo studioso del Concilio Vaticano II. Ordinato presule nel 1985, è stato rappresentante pontificio in Madagascar, Mauritius, Tanzania e poi in Bielorussia. Dal 1999 in Segreteria di Stato come officiale, dal 2001 è stato segretario del dicastero per la pastorale dei migranti, incarico lasciato nel 2010, al compimento dei settant’anni, per dedicarsi allo studio, in particolare, dell’ermeneutica del Concilio. A colloquio con Vatican News, racconta di considerare la porpora come un riconoscimento proprio del suo duplice “servizio alla Chiesa”, in ambito pastorale come nella ricerca in campo ecclesiologico.

L’intervista all’arcivescovo Marchetto

https://media.vaticannews.va/media/audio/s1/2023/07/12/16/137220233_F137220233.mp3

Una pastorale “fiore all’occhiello”

“La pastorale specifica della mobilità umana, quindi dei migranti e degli itineranti – spiega – è un po’ il grande fiore all’occhiello della Chiesa del secolo scorso, pastoralmente parlando”. “In questo ambito si è concretizzata la convinzione che la Chiesa debba seguire, accompagnare, l’umanità in viaggio, con una pastorale che si adatti alla vita di movimento delle persone”. “Sicuramente il Papa sa che con il Pontificio Consiglio mi sono impegnato per dieci anni per promuovere e tutelare i migranti e i rifugiati e tutte quelle categorie di persone che non sono rispettate nella loro dignità e nei loro diritti fondamentali, avendo anche parecchie difficoltà, finanche dall’interno la Chiesa”. Il futuro cardinale sottolinea quanto si è dovuto confrontare soprattutto con la “non accoglienza” della visione dei diritti umani applicati alle situazioni delle migrazioni.

Il primato della Chiesa sui migranti

Secondo Marchetto, la Chiesa è stata tra le prime istituzioni a cercare di mettere in pratica i grandi principi umanitari, frutto anche della Seconda Guerra mondiale, come la necessità del rispetto della persona umana in situazioni disastrate, e a sollecitare al contempo l’applicazione della legislazione internazionale sul diritto del mare. “Ma come è possibile che non si tenga conto della gente in pericolo?  Quando le persone sono in pericolo di vita bisogna aiutarle, non respingerle e mandarle in luoghi dove ci sono delle situazioni contrarie ai diritti umani”, aggiunge l’arcivescovo. “Io ho sempre detto queste cose e credo che dovessi dirle”.

“Il miglior ermeneuta del Concilio”

“Lo studio del Concilio Vaticano II è stato invece un po’ il leit-motive di tutta la mia vita”, aggiunge il futuro cardinale. “In particolare la relazione tra papato e episcopato e l’evoluzione del tema del primato pontificio e della collegialità dal primo millennio fino nel Concilio”. Nel 2013, in occasione della pubblicazione di un volume della Lev firmato da Marchetto, Papa Francesco lo ha definito “il miglior ermeneuta del Concilio Vaticano II”. “Il mio impegno a proposito di questo evento storico – commenta l’arcivescovo – è stato quello di dimostrare quello che tutti i Papi hanno attestato e cioè che c’è non una rottura ma una riforma e un rinnovamento nella continuità dell’unico soggetto Chiesa. È la formula che esprime bene mi pare l’ermeneutica del Vaticano II”.

La pubblicazione dei Diari di Pericle Felici

A quasi sessant’anni dalla chiusura del Concilio la sua applicazione resta un tema caldo nel dibattito ecclesiale, mentre non mancano i detrattori che lo considerano la causa della secolarizzazione degli ultimi decenni. Monsignor Marchetto ha le idee molto chiare su quali siano i “tre gradini” da percorrere per stare “nella linea del Concilio”: “Il primo passo, consiste nel conoscere il più obiettivamente possibile la storia”. Secondo lo studioso, all’inizio, la storia è stata scritta con troppa fretta, senza tener conto che mancavano pubblicazioni fondamentali, per esempio quelle degli organi direttivi del Concilio. “Quando ho pubblicato nel 2105  – rivendica Marchetto – i Diari del segretario generale del Vaticano II, Pericle Felici, si è compresa meglio, per esempio, la posizione di Paolo VI, nell’intimità della sua relazione con lo stesso segretario”. Solo lo scorso anno Marchetto ha curato la pubblicazione di nuovi documenti sulla storia del Concilio, rinvenuti nell’archivio della Segreteria di Stato. “Paolo VI – aggiunge – sottolineava che tutti i documenti del Concilio dovevano essere pubblicati, solo così si poteva aspirare all’obiettività storica. E oggi abbiamo certamente nuove possibilità di raggiungerla”.

“C’è continuità nella Chiesa”

Il secondo passo da compiere, secondo Marchetto, è quello dell’ermeneutica, cioè dell’interpretazione del Concilio, e da questo punto di vista bisogna tener conto che “c’è una continuità nella Chiesa”. “Cosa predichiamo noi? Cosa testimoniamo noi? La Chiesa di sempre, la Chiesa legata a Gesù Cristo, al Vangelo, alla Tradizione”, afferma l’arcivescovo. “Certamente, anche, con l’aiuto di una legittima evoluzione e ci sono delle regole per confermare che lo sia”. “E poi – afferma ancora – c’è il Magistero, e anche di quello bisogna tener conto”. “Il Signore ha affidato la Chiesa, non solo, ma anche e specialmente agli Apostoli. E poi c’è San Pietro e i suoi successori, il vescovo di Roma”. Per Marchetto non si tratta di una visione gerarchica “piramidale”, ma di una prospettiva di “collegialità” che va considerata insieme col “primato”.

Primato e sinodalità

Anche la recente riunione della Commissione Teologica mista fra cattolici e ortodossi, svoltasi ad Alessandria d’Egitto, spiega l’arcivescovo, ha sottolineato la necessità di tenere insieme “primato e sinodalità”. “Non si possono separare le due cose – aggiunge – questa è la bellezza del cattolicesimo!”. “Non dobbiamo dimenticare che il genio del cattolicesimo è proprio la capacità di mettere insieme le cose. Se abbiamo perso questa consapevolezza dobbiamo riscoprirla per avere una realizzazione del Concilio che sia vera e giusta, che abbia questo sforzo di conoscenza storica e nello stesso tempo di rispetto della nostra visione teologica ed ecclesiologica”.

Studio e ministero

L’arcivescovo Marchetto racconta infine con semplicità che, anche dopo che avrà ricevuto la berretta cardinalizia, proseguirà la vita che ha sempre fatto da quando è in pensione. “Continuerò a studiare, a pubblicare, ma facendo anche ministero naturalmente, perché è giusto, e perché ci sono pochi preti!”. “Se poi mi diranno che vogliono qualche cosa di specifico da parte mia sarò ben felice di dare alla mia Chiesa quello che mi ha dato”.

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