“Forse più che aspettare la pace, si aspetta la vittoria della parte a cui si aderisce. E forse è vero che non ci si sente coinvolti, perché non si crede ad una guerra mondiale”. Se c’è un uomo che ha conosciuto la guerra e che per tutta la vita ha cercato di costruire percorsi di pace è monsignor Luigi Bettazzi, vescovo emerito di Ivrea, l’ultimo vescovo italiano ancora in vita ad aver partecipato al Concilio Vaticano II. Lui, nel mezzo della guerra civile in Bosnia ed Erzegovina, nel 1992, andò con don Tonino Bello, anche lui vescovo, a fare una marcia della pace sotto le bombe a Sarajevo. Bettazzi è stato presidente nazionale (per 17 anni) e poi internazionale di Pax Christi – il movimento cattolico internazionale per la pace nato negli anni Quaranta – e negli anni Settanta-Ottanta fu una delle figure di riferimento per il dialogo con i non credenti (celebre l’epistolario con il segretario del Pci Enrico Berlinguer) e per il movimento pacifista. Protagonista di battaglie per l’obiezione fiscale alle spese militari, monsignor Bettazzi ha sostenuto l’obiezione di coscienza quando ancora si rischiava il carcere. Oggi, 99 anni da compiere il 26 novembre, non ha smesso di girare l’Italia per parlare, specie ai più giovani, di pace.
Monsignor Luigi Bettazzi, lei è stato un vescovo che ha conosciuto la guerra, che l’ha vista e che ha conosciuto anche la costruzione di percorsi di pace. In questo momento in Italia tutti parlano di pace in merito alla guerra in Ucraina. Ma di quale pace abbiamo bisogno?
Dobbiamo creare dentro di noi un’anima di pace, in un mondo che vive di violenze, del dominio dell’io, dall’ambiente familiare (“se no, ti faccio fuori”), a quello sociale (“prima noi”, che è un “io” collettivo), a quello mondiale (“devo fare quello che voglio perché sono più forte, se no ti faccio guerra).
Il 5 novembre si terrà la manifestazione a Roma. Anche su questa data la politica si è divisa. Pensa che sia un’iniziativa opportuna? Crede che la politica, i partiti avrebbero dovuto fare di più? Arriva troppo tardi questa manifestazione?
Non si fa mai abbastanza per far pensare, per stimolare la persuasione delle forze della “non violenza”, mentre tutto, a cominciare dai mezzi di comunicazione, spinge al dominio della forza.
Molti non scendono in piazza perché accusano una parte di pacifismo di proporre una resa dell’Ucraina di fronte al pericolo della terza guerra mondiale. Lei che ne pensa?
Un vero atteggiamento di pace avrebbe fin dall’inizio opposto alla oppressione violenta una risposta non violenta, che sembra una resa. Se la guerra è una follia, lo è la guerra d’attacco, ma lo è anche quella di difesa.
Il Papa finora per non creare ferite tra la Chiesa ortodossa e cattolica non ha messo piede in Ucraina. Pensa che serva una presa di posizione più forte da parte di Francesco?
Il Papa sta facendo di tutto, apertamente e diplomaticamente, per non schierarsi solo da una parte, anche se è quella offesa, nella speranza di poter “mediare” cioè di essere accolto da ambedue le parti.
Si vedono poche bandiere della pace alle case degli italiani. Non le pare che le parrocchie siano un po’ timide di fronte ad una prospettiva di una nuova guerra mondiale?
Forse più che aspettare la pace, si aspetta la vittoria della parte a cui si aderisce. E forse è vero che non ci si sente coinvolti, perché non si crede ad una guerra mondiale.
All’inizio della guerra qualcuno aveva sperato in una marcia a Kiev come lei e don Tonino avevate fatto a Sarajevo. Poteva servire? Perché non è stata fatta?
Marce, anche a Kiev, ne sono state fatte ma a differenza di allora gli invasori non ne hanno mostrato interesse.
La seconda guerra mondiale non scoppiò un giorno per l’altro. Pensa che abbiamo imboccato la strada che porta alla terza guerra mondiale e al rischio dell’uso della bomba nucleare?
L’inizio è stato l’allargamento della Nato, sorta contro l’Alleanza militare comunista, e che, caduta questa, avrebbe dovuto cessare (l’avevamo promesso due volte a Gorbaciov) e ora invece è allargata a tutti i Paesi che un tempo erano sotto la Russia, fino tendenzialmente all’Ucraina, che i russi considerano la loro madre, anche sul piano della Chiesa ortodossa.
Siamo di fronte a uno scontro tra gli Stati Uniti e la Russia. A pagare è il popolo ucraino. Che pensa del ruolo di Biden?
È vero che molto nasce dagli Stati Uniti, che attraverso la Nato, di cui per regolamento sono i responsabili, vuol continuare a dominare il mondo, proprio a cominciare dall’Europa. Ora attraverso l’Ucraina, vuol vincere, e Putin non può perdere, a qualunque costo (anche nucleare).
E l’Europa? Sembra stare alla finestra. O non le pare che sia così?
L’Europa si sente condizionata dagli Stati Uniti, basti pensare che la prima attività diplomatica con la Russia è stata fatta dopo sessanta giorni di guerra.
***
Nella foto in alto | Monsignor Luigi Bettazzi nel 2015 all’insediamento di Matteo Zuppi come arcivescovo di Bologna. Crediti: Francesco Pierantoni/Wikipedia