Nel Paese dove Papa Francesco si recò in visita nel settembre del 2019, la miseria si aggrava. La notizia delle vittime nella calca umana allo stadio di Antananarivo, per i Giochi delle Isole dell’Oceano Indiano, acuisce lo sgomento. A conoscere da vicino la realtà dei malgasci delle baraccopoli, un gruppo di giovani di Brembate di Sopra (BG) che in un video-racconto danno l’idea di un’esperienza preziosa. Il religioso orionino: incoraggia un modo nuovo, là dove siamo, di aprirci agli altri
Antonella Palermo – Città del Vaticano
Madagascar. È l’isola dove il turismo di alcune sue regioni, straordinarie per bioversità, non riesce a fungere da volano per l’economia dell’intero Paese, che resta agli ultimi posti nella famigerata classifica dei più poveri. L’isola dove, per una tragica fatalità, perfino una manifestazione sportiva di livello internazionale, come i Giochi delle Isole dell’Oceano Indiano, si è trasformata ieri, 26 agosto, in ecatombe: almeno tredici persone, tra cui sette minorenni, sono infatti rimaste uccise in una ressa all’ingresso di uno stadio della capitale malgascia, gremito di circa 50mila spettatori accorsi per l’apertura dell’undicesima edizione. Centinaia i feriti.
Ma di speranza vogliamo qui scrivere, parola che edifica quando viene alimentata con incontri, occasioni di conoscenza e sostegno a chi vive in condizioni in cui la dignità umana è dimenticata. Visitammo Antananarivo, la capitale, quattro anni fa, in occasione del Viaggio apostolico di Papa Francesco. Fu l’orionino padre Luciano Mariani a guidarmi nelle baraccopoli a due passi dagli hotel di richiamo. Là, con la sua comunità, opera da oltre vent’anni e là ha appena accolto un gruppo di giovani lombardi che hanno potuto un poco immergersi dentro esistenze provate dalla miseria.
I giovani siano missionari nelle periferie del mondo
“Questa esperienza è nata perché in gennaio mi hanno contattato e noi li abbiamo accolti. Credo sia importante che giovani italiani impegnati in parrocchia facciano anche un’esperienza fuori la parrocchia, come Papa Francesco ci dice, in periferia. Qui in effetti siamo proprio in periferia, nei sobborghi della capitale dove la povertà si tocca con mano”. È quanto ci racconta padre Luciano Mariani, delegato per il Madagascar dell’Opera Don Orione. Insiste sui benefici di questo tipo di missione sperimentata dai ragazzi fuori dai confini del loro abitare. “Mette nel loro cuore il desiderio di fare del bene, di amare gli altri, di aprire il nostro cuore a chi è più povero. Fa bene anche a me, a noi perché vedere la vitalità di questi giovani ci fa essere giovani. Credo che il nostro benessere stia nel far del bene agli altri. Io sto bene nella misura in cui faccio del bene nel cuore degli altri”, osserva.
Assicurarsi acqua potabile o andare a scuola?
In Madagascar, nelle aree rurali, quattro persone su cinque non hanno acqua potabile e tre quarti non dispongono di servizi igienici. Oltre all’insicurezza alimentare, alla malnutrizione tra i bambini e all’impatto economico, la mancanza di accesso all’acqua ha portato a un aumento dei conflitti all’interno delle famiglie e delle comunità e all’abbandono scolastico: rifornirsi dell’acqua, spesso lontano dal villaggio, è un’attività prioritaria che allontana infatti anche dall’educazione. Del Paese africano si parla per lo più in relazione a un disastro ambientale; di fatto, è lo stato di crisi sociale che è purtroppo radicato e poco raccontato. La crescita del Paese è scesa dal 5,7% del 2021 al 3,8% del 2022.
Nelle baraccopoli dei malgasci: il pianto di fronte alla povertà
Quindici ragazzi e ragazze sono di Brembate, nella bergamasca, altri due giovani da Venezia e Milano: questo il gruppo di coloro che hanno dedicato parte delle loro vacanze estive a una missione di cui hanno sentito il bisogno e che hanno raccontato anche con alcuni video giornalieri diffusi sul canale Youtube della propria parrocchia e ne hanno confezionato uno per noi. “Ogni giorno andavamo a domicilio a far delle visite alle famiglie”, racconta il loro accompagnatore padre Luciano. “Entravamo per parlare con i genitori che hanno iscritto i loro bambini a scuola da noi. Ogni volta che rientravamo in casa in comunità, molti di questi giovani piangevano”. Il religioso riferisce quanto ha cercato di spiegare loro: “Io ho riportato ciò che Papa Francesco ci dice tante volte: cerca di imparare a piangere per i giovani che stanno peggio di te. Il pianto è un pianto di accoglienza della miseria dell’altro. È una risposta, perché se c’è il pianto, c’è anche la compassione, la solidarietà”.
Nella Costituzione apostolica Praedicate evangelium si dice in sostanza che la Chiesa o è missionaria oppure non è. Ne è convinto padre Mariani che con noi ricorda quella visita del Papa in questa terra, nel suo Viaggio apostolico in Africa australe nel settembre del 2019. “Quattro anni fa qui in Madagascar lo ha ripetuto: la Chiesa, se non è a servizio dei poveri, non è Chiesa. Tante sono le storie di sofferenze – aggiunge il sacerdote di Seregno (MI) – ma ci sono anche storie di speranza. Giorni fa, per esempio, ero lì in cortile, mi viene incontro una ragazza di 28 anni, è già mamma di due figli di cui uno di 15 anni. Mi dice: ‘Don Luciano esprimo a te la mia gioia perché dopo tanti anni che cerco lavoro la banca mi ha assunto a tempo indeterminato’. Aveva una gioia che era fuori di sé, io la capisco perché so le sofferenze che ci sono dietro”.
Alla miseria non ci si abitua, ma si impara ad avere un cuore accogliente
Mariani aveva conosciuto la Costa d’Avorio, prima di essere inviato in Madagascar, 22 anni fa. Quando apprese della sua nuova destinazione, accettò in obbedienza. E quando vi giunse ammutolì. Perse letteralmente la parola per un po’ di tempo. “I primi anni sono stati anni di sofferenza. Non ci si abitua alla miseria, questo no, ma ho imparato ad avere un cuore grande, capace di accogliere, di far gioire, di perdonare, di intravedere al di là della fatica dei germi di bene e di speranza. Io credo che questo sia importante per un missionario, per un prete, per un cristiano. E puntare su questi germi per far crescere la persona”.
La Chiesa dà una presenza sicura
“Io visto tanti giovani che hanno su di sé i segni della violenza subita durante l’infanzia, o avuta dagli stessi preti. Eppure, vedo che in un dialogo di confidenza, sono riusciti a esternare ciò che hanno vissuto e a crescere. Il Signore ci aiuta e risana, solo Lui lo fa”. Ripete la parola ‘speranza’ numerose volte. E conclude ancora con uno squarcio su questo popolo: “Il Madagascar credo sia il quinto Paese più povero nel mondo. Ma la gente non si ferma mai. La Chiesa è chiamata a non rifiutare o mettere da parte. La Chiesa qui dà una presenza sicura, a scuola, nella sanità. Se non ci fosse la Chiesa a costruire dispensari e ospedali il Paese sarebbe ancora più povero. Noi diamo vita, un futuro a questa gente. Ci si augura che queste esperienze fatte da questi giovani aprano realmente a un modo nuovo, là dove siamo, di aprirci agli altri”.