L’Unione Africana condanna i colpi di Stato militari in Sahel

Vatican News

Michele Raviart – Città del Vaticano

I soldati rapiscono e imprigionano il presidente, prendono il controllo della tv di Stato e annunciano di aver preso il potere. Subito segue la condanna della comunità internazionale, ma la giunta appena insediata continua a governare. È uno schema che nell’ultimo anno si è ripetuto tre volte in Africa occidentale, in Mali, Guinea e, due settimane fa, in Burkina Faso – un quarto tentativo di questo tipo è fallito in Guinea-Bissau: l’allarme è generale.

Una condanna “senza equivoci”

L’Unione africana “non tollererà nessun colpo di Stato militare in qualsiasi forma si presenti”, è stata infatti la dichiarazione di Bankole Adeoye, il responsabile degli Affari politici, la pace e la sicurezza dell’organizzazione panafricana riunita in questi giorni ad Addis Abeba per l’assemblea annuale. Una condanna “senza equivoci” della recente ondata di golpe, in cui tutti i dirigenti africani  dell’assise si dicono contrari a ogni cambiamento anticostituzionale di governo. In nessun momento della storia dell’Unione africana quattro Paesi – Mali, Guinea, Burkina Faso e Sudan- erano stati sospesi nello stesso anno.

Jihadismo, una minaccia crescente

“Siamo in una della aree più esposte a una violenza crescente”, spiega a Vatican News il padre comboniano Filippo Ivardi. “Il jihadismo sta imperversando – sia quello legato allo Stato Islamico sia a quello legato ad Al-Qaeda – per il controllo del commercio della droga, delle armi, ma anche per il controllo delle terre di questo immenso territorio che è il Sahel, a sud del grande deserto del Sahara”.

Ascolta l’intervista integrale a padre Filippo Ivardi

Le fragilità dei governi democratici

Da questo contesto nato all’inizio delle primavere arabe dieci anni fa con la discesa a sud di mercenari provenienti dalla Libia, nasce anche l’apparente consenso che si manifesta dopo questi colpi di Stato da parte delle popolazioni locali. “Si sente la voglia di un ritorno all’uomo e alle soluzioni forti, perché i governi non sono stati in grado di rispondere alla minaccia jihadista”, sottolinea ancora Ivardi. “Questi colpi di Stato sono stati applauditi dalla gente che è scesa per strada e ha addirittura acclamato i militari per questa ricerca di una soluzione forte. Vedendo ormai che i governi e le democrazie sono sempre più fragili, i militari interpretano il sentimento delle popolazioni di far fronte al fenomeno jihadista, così grave e così violento che porta continui attacchi, la perdita delle terre e l’ondata migratoria”. Le violenze hanno infatti causato tremila morti tra i civili, fatto chiudere migliaia di scuole e hanno generato oltre un milione e seicentomila sfollati.

Le risposte degli altri Paesi africani

Il timore dei Paesi dell’Unione africana – i cui vertici la prossima settimana incontreranno quelli dell’Unione Europea –  è che il continente ritorni agli anni ’70, quando i colpi di Stato nella regione si succedevano sistematicamente. Più di cento sono stati infatti i colpi di Stato nell’area dal 1946, anche se il fenomeno si era molto ridotto negli ultimi decenni. “L’Unione africana ha cercato di condannare subito quanto accade e cerca almeno di fornire un quadro di legalità comune all’interno del continente, però non riesce ad ottenere risultati di un certo spessore”, conclude ancora Ivardi, ne ha di più l’’organizzazione regionale dell’Ecowas, la comunità dei quindici Stati dell’Africa occidentale, che impone sanzioni, come è avvenuto per il Mali e il Burkina Faso e altri Paesi e così incide maggiormente perché implica interventi di tipo economico”.