Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano
La prima forte scossa, nel cuore della notte, svegliò quasi tutto in Centro Italia e provocò i primi crolli e le prime vittime, da Assisi a Camerino, passando per Nocera Umbra e Fabriano. Ma fu la seconda, ancora più forte, alle 11 e 40, a causare i danni e i lutti più grandi, perché colpì chi soccorreva e chi stava valutando gli effetti della prima. Il bilancio finale del terremoto con epicentro a Colfiorito, frazione montana di Foligno, il 26 settembre 1997, fu di 11 morti, circa 100 feriti e almeno 80 mila sfollati, in 48 comuni di Umbria e Marche. Nella sola Umbria furono 33 mila gli edifici danneggiati, tra i quali la Basilica di san Francesco ad Assisi, devastata dal crollo di parte della volta della chiesa superiore, che causò la morte di un frate, un giovane postulante e due tecnici che stavano verificando i danni della prima scossa. Due settimane dopo, il 14 ottobre, una terza scossa, di poco più debole, fece crollare la lanterna del Palazzo Comunale di Foligno, uno dei simboli della città, già gravemente danneggiata dai colpi di fine settembre.
Nella Basilica di San Francesco, Messa in ricordo alle 18
A 25 anni da quel giorno buio ma lo stesso nel quale, nel 1182, alcuni ritengono che venne alla luce san Francesco, i frati del Sacro Convento di Assisi, come ogni anno, durante la novena di preparazione alla festa del loro fondatore, nella Messa faranno memoria delle vittime e delle famiglie colpite da quel drammatico avvenimento. Alle 18, nella chiesa superiore della Basilica di San Francesco, fra Marco Moroni, custode del Sacro Convento, presiederà la celebrazione eucaristica, alla presenza, tra gli altri, dei familiari delle vittime del sisma del ‘97, il ministro delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili, Enrico Giovannini, il commissario straordinario alla ricostruzione post sisma 2016, Giovanni Legnini, e le istituzioni regionali e comunali.
La decisione di chiudere le scuole e la Basilica
Ad evitare una tragedia ancora più grave, in termini di vite umane, fu la prudenza del sindaco di Foligno e del custode del Sacro Convento. Il primo, Maurizio Salari, dopo la scossa della notte, decise di tenere chiuse tutte le scuole nel comune, nonostante i tecnici assicurassero che nessuna aveva subito danni. “E’ stata la scelta migliore che abbia mai fatto in vita mia” disse poi. Padre Giulio Berrettoni, dal canto suo, non riaprì la Basilica, preoccupato dallo strato di polvere trovato su tutti i banchi della chiesa superiore, dopo la scossa delle 2 e 33. “Credo sia stata una decisione ispirata da Dio – ricorda oggi padre Enzo Fortunato, allora e fino al 2021 responsabile della sala stampa del Sacro Convento – perché se la Basilica fosse rimasta aperta, avremmo avuto un massacro”.
Il “Cantiere dell’utopia” per ricostruire la volta distrutta
Padre Enzo, allora trentunenne frate conventuale di origini campane, teneva dal 1994 i rapporti con i giornalisti, e quella mattina si trovava nella chiesa superiore con un gruppo di loro, tra i quali il cameraman di Umbria Tv che avrebbe ripreso il crollo della volta. Con Vatican News ricorda la paura e il dolore di quel giorno, e quello che accadde dopo, nel “Cantiere dell’utopia”, coordinato dal commissario Antonio Paolucci, dove tecnici e volontari riuscirono a ricomporre il “puzzle” più grande di sempre, con oltre 80 mila frammenti dei 130 metri quadrati degli affreschi nelle vele della volta, dal San Girolamo di Giotto ai Quattro evangelisti di Cimabue. Grazie al paziente lavoro di decine di restauratori, e a nuove tecniche di consolidamento e messa in sicurezza di edifici storici, il 29 novembre 1999 la Basilica fu riaperta, e nel 2006, riposizionate le ultime vele, quelle di san Matteo e del cielo stellato.
Una ricostruzione “modello Umbria”
Padre Enzo ricorda anche che dopo quella tragedia, le zone di Umbria e Marche colpite divennero più sicure, tanto da sopportare meglio di altre il sisma del 2016. Per questo si parlò di “modello Umbria” per la ricostruzione, e quel terremoto fu il primo vero banco di prova della Protezione civile nazionale, perché la crisi sismica iniziò nel maggio del ’97 con la scossa di Massa Martana e si chiuse nel marzo ’98 col terremoto di Gualdo Tadino. Il sisma di 25 anni fa, infine, scosse anche la sismologia, rendendola più moderna, efficace, e in grado di dare in tempi brevi informazioni cruciali per gestire le emergenze. Ripercorriamo quei giorni e gli anni che seguirono con padre Enzo Fortunato, che nel 2021 ha lasciato anche la direzione della rivista “San Francesco patrono d’Italia” e oggi è giornalista e scrittore.
Qual è il tuo ricordo personale di quel giorno, della tragedia del crollo e delle quattro vittime nella Basilica superiore?
E’ stata sicuramente la pagina più buia che ho vissuto ad Assisi. Ho iniziato con una pagina buia e ho terminato il mio mandato ad Assisi con una pagina ricca di luce, come è stato il giorno della firma dell’Enciclica di Papa Francesco (Fratelli tutti, il 3 ottobre 2020, n.d.r) sulla tomba del Santo di Assisi, un momento di gioia intima, indimenticabile. Il momento più buio è stato sicuramente il terremoto. Ci fu una prima scossa forte la notte, e pensammo subito che era successo qualcosa di grave. Andammo a fare immediatamente un sopralluogo in Basilica, e a vedere se tutto era tranquillo al Sacro Convento, e ci accorgemmo di un leggero strato di polvere su tutti i banchi della basilica superiore. Poi andammo a dormire e la mattina venimmo a sapere dei danni che c’erano stati tra l’Umbria e le Marche: c’era una sana e normale apprensione. Poi, di fronte al dubbio sulla causa della polvere sui banchi, il custode di allora, padre Giulio Berrettoni, prese la decisione di tenere chiusa la Basilica. Questo suscitò subito l’attenzione della stampa, e molti giornalisti mi chiesero, io ero stato nominato da poco responsabile della sala stampa del Sacro Convento, di vedere, di verificare. E avevamo poi visite di pellegrini previste, perché settembre e ottobre sono due mesi molto ricchi di presenze di pellegrini e di turisti ad Assisi, la festa di San Francesco è il 4 ottobre. E quella decisione fu saggia, credo che fu ispirata da Dio, perché se la Basilica poi fosse rimasta aperta, noi avremmo avuto un massacro, una carneficina, perché alle 11 è un momento di forte afflusso di visitatori. Ma non avremmo immaginato mai che sarebbe arrivata una scossa così forte, così devastante.
Quindi andaste nella basilica superiore con giornalisti e tecnici…
Ricordo che durante il sopralluogo io portai nella basilica superiore il famoso giornalista che fece le riprese, ma c’era anche l’inviato dell’Ansa e altri giornalisti. Ci fu prima una scossa, poi un’altra scossa e c’era il capo della Protezione civile di allora, e anche il direttore generale anche dell’Istituto sismico italiano che ci dicevano: “Tranquilli, tranquilli, è un assestamento”. Eravamo circa 24 persone, c’erano i tecnici della Sovrintenenza, il sindaco di Assisi di allora, Bartolini, lo stesso custode e poi improvvisamente questo boato. Sembrava come se qualcuno stesse sradicando la Basilica. In quel momento volevo scappare fuori, ma il custode mi prese con la mano e mi tirò, avvicinandomi verso la parete. Quella è stata la salvezza, perché prima stavamo proprio sotto l’altare e da lì vidi la volta che si apriva, e i calcinacci ci presero un po’ alle spalle e ai polpacci. Poi il buio, un silenzio spettrale, e io dissi al custode: “Dammi l’assoluzione perché forse non riusciamo ad arrivare fuori”. Io pensavo di morire soffocato dalla polvere. Mentre facevo questo ragionamento camminavamo sui mattoni, sul pietrame, sugli affreschi crollati. Improvvisamente una luce arriva che fende la polvere e qualcuno ci chiama. Arriviamo lì e siamo salvi, usciamo fuori. Scendemmo giù alla portineria e iniziammo a contarci, letteralmente. Io guardai negli occhi padre Giulio e padre Nicola perché mancavano un nostro frate e un giovane che avevo confessato quella stessa mattina alle 8. Gli avevo chiesto: “Ma non è per la paura della scossa?”, e lui mi rispose candidamente: “No, già l’avevo messo in programma”. Allora ero anche padre spirituale dei giovani postulanti. Mentre ci contavamo mancavano queste due persone ma sperammo che non fosse successo niente di grave. Invece… Poi ci fecero bere un po’ d’acqua e io andai nella camera del custode: non c’era, ma vidi il suo saio impolverato a terra. Si era rimesso una tonaca pulita per scendere giù nell’ingresso e già stava coordinando i soccorsi. Per me è stato un messaggio fortissimo: con il suo esempio non ha lasciato che ci chiudessimo in noi stessi o ci abbattessimo, ma ci ha spronato a darci subito da fare per iniziare un nuovo cammino.
E come avete vissuto l’Umbria in lacrime per i morti, le case distrutte le attività da far ripartire? Come avete cercato di sostenere questa regione in ginocchio?
Con due messaggi molto forti. Il primo: il custode decise, insieme a tutta la comunità, di tenere comunque aperta la tomba di San Francesco. Organizzammo un percorso laterale, protetto, in modo che chiunque potesse andare a pregare sulla tomba del Poverello, che non è stata mai chiusa. Ricordiamoci che la Basilica nel 1997 si preparava al Grande Giubileo del 2000, e la grande domanda era: si riuscirà per il Giubileo a riaprire la Basilica? Quella è stata la sfida più grande, e l’annuncio che ha dato speranza a tutta l’Umbria: la Basilica sarà riaperta. Infatti fu chiamato “il Cantiere dell’utopia” perché all’inizio, quasi nessuno ci credeva, ma poi il sovrintendente Antonio Paolucci, che ha presieduto la commissione, ha saputo incoraggiare. E questo è stato il primo grande messaggio, per l’Umbria, le Marche e il Centro Italia, perché Assisi è un polo non solo spirituale, ma è anche un polo l’economico di tutto il Centro Italia. I primi, drammatici, dati lo dicevano chiaramente: con la basilica chiusa, il movimento di lavoro generato dai turisti e dai pellegrini era completamente azzerato. Il secondo messaggio è quello che abbiamo dato noi frati, perché non potendo più stare al Sacro Convento, fu fatta la scelta di aiutare la popolazione, di stare accanto a chi aveva perso tutto. Questo credo che abbia dato davvero tanta speranza, tanto incoraggiamento, e fatto sentire la presenza di San Francesco. Questi sono stati i due aspetti fondamentali. E poi la grande riapertura alla vigilia del Giubileo, il 29 novembre 1999, che è anche la festa di tutti i santi francescani e l’anniversario dell’approvazione pontificia della regola francescana. Ricordo che il Papa inviò il segretario di Stato cardinale Sodano, e venne il presidente della Repubblica di allora, Ciampi, a vivere questo momento.
E’ stato definito “il miracolo di Assisi”…
Sì, io credo che San Francesco ci abbia messo mano, mente e cuore per far sì che questo miracolo avvenisse. Ma è stato possibile anche grazie a migliaia e migliaia di volontari, ad una solidarietà che è arrivata il da tutto il mondo, da credenti e non credenti, quello è stato il vero miracolo. In quel periodo dicevamo che i volontari avevano abbandonato le lancette dell’orologio e avevano focalizzato l’attenzione sulle “lancette del cuore”, sul tempo donato gratuitamente. Non sono mancate anche le polemiche, attorno alla ricostruzione. Ne ricordo una: prima le case e poi le chiese o prima le chiese e poi le case? Che cosa è giusto. E lì è stata fatta chiarezza con l’intervento del governo che ha detto chiaramente che c’erano fondi per le case, per i terremotati e fondi per i beni culturali. E che erano due settori completamente diversi. L’altro elemento che ha fatto chiarezza su questa polemica è stato far comprendere che mettere in sicurezza e far ripartire Assisi, che è un polo non soltanto spirituale, ma anche di arte, era un bene anche per tutto il Centro Italia, E questo poi è stato capito chiaramente, perché i pellegrinaggi e il turismo sono ripresi man mano che si procedeva al restauro e alla riparazione della Basilica e all’apertura prima della basilica inferiore, poi successivamente della superiore, che era stata più colpita.
Che cosa hanno imparato, in questi 25 anni, Assisi, l’Umbria e le Marche da quella tragedia? Si è riusciti a trasformare il male in bene?
Credo che ci siano state diverse lezioni. La prima di tipo spirituale: la consapevolezza che Dio non ci abbandona mai. Abbiamo sperimentato davvero la sua provvidenza, la sua mano, la sua vicinanza, continuamente. Un’ altra lezione, questa del tutta umana, è stata che l’uomo è capace di grandi gesti, di grande solidarietà, in questi momenti. E’ capace di dare tutto sé stesso e credo che questo non lo dobbiamo dimenticare. Perché noi questo aspetto lo facciamo emergere solo nei momenti difficili, invece c’è una ferialità, una ordinarietà che richiedono questa bella capacità. Quando l’uomo non si chiude in sé stesso, non è egoista, è capace di fare anche quelli che chiamo “miracolini”. E poi la terza lezione che Assisi ha dato, è che si può sempre ricominciare. Che l’ingegno umano è capace di inventare delle cose che poi diventano patrimonio per tutto il mondo. Ad esempio l’ingegneria che è stata messa in atto per la protezione della Basilica è stata poi copiata per tutte le realtà del mondo che sono delicate o fragili. Si parlò della “malta Assisi”, dell’invenzione di una malta particolare per i restauri e che è diventato un bene per tutti i restauri del mondo. E poi, infine, la messa in sicurezza. Credo che l’Umbria e le Marche hanno imparato a costruire in maniera rispettosa dell’ambiente. Oggi chi arriva in Umbria e nelle Marche vede che il territorio è più protetto. E dove questo è stato fatto, quando capitano momenti terribili, come i terremoti, la vita dell’uomo è più protetta. Dove questo non è avvenuto, noi abbiamo una terra ferita, che è più fragile.