Presentato nella sede de La Civiltà Cattolica il libro che ripropone l’ultimo testo del cardinal Martini, integrato con considerazioni e commenti di Francesco sul ministero episcopale in un’ottica sinodale. Padre Casalone: contiene intuizioni che ispirano chiunque svolga un servizio di responsabilità in una comunità umana, ecclesiale e civile, perché indica uno stile di relazione, un modo di esercitare l’autorità che promuove la persona, fa crescere le coscienze e costruisce comunità
Antonella Palermo – Città del Vaticano
“Due vescovi che custodiscono e accompagnano il gregge di Dio. Ciascuno con uno stile peculiare e l’eredità della comune sequela sulle orme di Ignazio di Loyola”. Così suor Nicla Spezzati, sottosegretaria al Dicastero per la vita consacrata, ha intrecciato l’esperienza pastorale del compianto arcivescovo di Milano, Carlo Maria Martini, e quella del vescovo di Roma, Papa Francesco, autori del libro Il vescovo il Pastore. L’autorità nella Chiesa è sempre “al servizio” (edizioni San Paolo) presentato ieri, 24 febbraio, presso la sede de La Civiltà cattolica.
Casalone: un libro profondo e ispiratore
Il volume rimette in circolazione Il vescovo, un testo oggi introvabile di Martini, accompagnato da considerazioni e commenti del Pontefice che permettono di approfondire il tema del legame tra vescovo e popolo. A proporne la pubblicazione, già in occasione dei dieci anni dalla morte di Martini, è stata la Fondazione a lui dedicata la quale ha desiderato andare al di là di una semplice operazione celebrativa, creando continuità tra le riflessioni dei due gesuiti in un tempo in cui la sinodalità assume una rilevanza cruciale.
“Questo è l’ultimo libro che Martini ha scritto e quindi raccoglie tutta la sua sapienza rileggendo l’esperienza che ha avuto, un libro profondo in tutta la sua semplicità”, dice padre Carlo Casalone SJ, presidente della Fondazione Carlo Maria Martini. “E poi ha molte intuizioni che ispirano o possono ispirare chiunque svolga un servizio di responsabilità in una comunità umana, sia essa ecclesiale, come è il caso del vescovo o di altre forme di ministero, sia civile, perché indica uno stile di relazione, un modo di esercitare l’autorità che promuove la persona ed è obbediente alle dinamiche dell’insieme della comunità. Martini – precisa – ha cura della comunità e nello stesso tempo esercità l’autorità come servizio delle coscienze in modo che non si astraggano dalla vita comunitaria. In un certo senso lui si rifà al concetto originario di autorità che significa ‘far crescere’, rendere l’altro autore, capace di assumersi in prima persona quelle responsabilità che sono proprie anche nei confronti degli altri, e questo costruisce la comunità”.
Il Pastore, uomo di preghiera e misericordia
Le pagine del vescovo di Roma sulle peculiarità del Pastore rimarcano quanto questa sia una figura che non è nata in laboratorio, e che deve sempre sforzarsi di attingere ai consigli del suo clero e del popolo evitando ogni forma di carrierismo. Nella postfazione Papa Francesco scrive che Martini ha inteso dipingere una immagine viva del vescovo, concreta e senza false pretese, usando “estrema schiettezza”. Ripercorrendone le riflessioni che più lo hanno colpito, il Papa sottolinea l’imprescindibile rapporto con il Signore che il vescovo deve essenzialmente avere nella preghiera, la peculiarità di essere “uomo di misericordia”, il fatto che deve agire come “medico in un ospedale da campo” e non deve trascurare il rapporto con i giornalisti.
È questo un punto che ritiene importante alla stessa stregua di quanto lo considerava l’arcivescovo di Milano. “Anche se può accadere qualche errore – afferma Francesco – dovuto alla sua impreparazione, il vescovo deve sapere che ‘l’importante è dirigere la barca verso il porto, giungere a comunicare davvero con la gente, sapere entrare in una relazione quasi personale con l’ausilio dei media”. Soprattutto in considerazione dei lavori sinodali attuali, Francesco sottolinea la necessità che il vescovo, proprio come scrive Martini, manifesti la comunione con gli altri vescovi e con il Papa, e tutta la paternità spirituale nei confronti dei sacerdoti. E invita a riflettere sul bisogno di strumenti snelli e celeri di ricezione dei pareri. Consapevole che non esiste un pastore ‘standard’ per tutte le Chiese, Francesco descrive in sintesi il vescovo come “colui che veglia, sostenendo con pazienza i processi attraverso i quali il Signore porta avanti la salvezza del suo popolo”. E ricorrendo ancora una volta alla metafora dell’odore delle pecore, aggiunge:
Martini e Francesco, uomini dell’ascolto fraterno e universale
Nelle parole di suor Nicla – peraltro fresca dell’esperienza sinodale vissuta a Praga per la tappa continentale europea, dove la delegazione italiana di cui era parte ha espresso la propria voce ricorrendo molto all’eredità martiniana – il continuo parallelismo tra Martini e Bergoglio si traduce nell’evidenziare come entrambi “sono vescovi che ricordano, ad ogni ora, la terra dell’origine e del compimento, con la vitalità di uomini in costante ricerca. Vitalità che si fa discernimento vigile, guida a scegliere l’essenziale in ogni circostanza”. Entrambi invitano a prendere sul serio il farsi prossimo, promuovendo una fraternità non solo desiderata, ma possibile. Entrambi invitano “ad ascoltare con l’orecchio del cuore” poveri, carcerati, intellettuali, credenti e non credenti, giovani, sfuggendo ogni miopia particolaristica e senza ricorrere sbrigativamente, precisa la religiosa, a risposte preconfezionate. Entrambi, si fanno intercessori per la pace.
Bizzeti: Martini in dialogo con le novità della storia e della gente
A suggellare la presentazione del volume è stato monsignor Paolo Bizzeti SJ, vicario apostolico di Anatolia, che ha condiviso la sua testimonianza da una regione ferita, dove esercitare l’autorità episcopale deve misurarsi da un lato con le poche risorse umane e materiali, dall’altro con una varietà di riti e ‘modelli’ di vescovo che “devono necessariamente interpellare”, anche nell’ottica di realizzare un effettivo cammino ecumenico. Bizzeti ricorda quello che è stato il suo rapporto con il cardinal Martini: dall’epoca in cui era rettore al Pontificio Istituto Biblico (“uomo tradizionale, nel senso migliore del termine”), all’epoca della Congregazione 32ma della Compagnia di Gesù (“un uomo che, pur già molto strutturato, si poneva in discussione, non si sottraeva al confronto con le novità del tempo”); dall’epoca in cui a Milano riconosceva con estrema lucidità la complessità del ministero e i limiti inevitabili connessi, al periodo, infine, di Gerusalemme, quando la riflessione seria sul mistero della morte lo occupava e preoccupava. Anche Bizzeti sottolinea l’apertura a 360 gradi con cui Martini ha concepito e vissuto la sua missione pastorale: il rapporto con gli ebrei, con varie Chiese locali, con i non credenti, in uno stile mai impositivo. Perché, di fatto, si tratta di tener conto costantemente del fatto che, se da un lato imporsi disperderebbe il gregge, dall’altro – per dirla con Ignazio di Antiochia – ‘dove c’è il vescovo c’è la Chiesa’. L’importante è tirar giù il vescovo dalla nicchia, come scrive Martini, e vederlo a contatto con la gente. Più sinodale di così…