Benedetta Capelli – Città del Vaticano
“I bimbi non fanno sbagli quando vengono al mondo”. È semplice la verità scritta nella quarta di copertina del libro di don Antonio Ruccia: “È Vita! Storia di un bambino scartato, abbandonato… affidato”, edito dal Pozzo di Giacobbe. A volte è una verità anche dura se non hai la possibilità di crescerli. Non è uno sbaglio la vita, non è uno sbaglio fare un passo indietro affidando a chi può il futuro di tuo figlio. Chissà se la madre e il padre di Luigi, il bambino lasciato un anno fa nella culla della vita posta nella parrocchia San Giovanni Battista, a Bari, saranno stati attraversati da questi pensieri che frullano in testa quasi come un’ossessione che non ti lascia. Ma i pensieri non sono gesti e quello che invece è stato compiuto ha salvato Luigi.
La storia di questo piccolo non si è fermata in Puglia, ha fatto il giro del mondo, a dimostrazione di quanto rumore possa fare la vita. Nel quartiere Poggiofranco è arrivata anche una troupe dalla Svezia per un servizio da mandare in onda sul Tg nazionale. Il 19 luglio scorso, a 9 giorni dal compleanno di Luigi e per ricordare il suo ritrovamento, don Antonio ha celebrato una Messa di ringraziamento. “La Chiesa era strapiena – racconta – perché il bimbo è figlio di una comunità che lo sente suo”. Un richiamo a quel “nessuno si salva da solo” che Papa Francesco ha più volte ricordato in tempo di pandemia.
Una comunità che accompagna
Il libro, uscito a febbraio, è una raccolta di materiali apparsi sui media, anche su Vatican News, insieme ad alcune testimonianze. “Di Luigi so pochissimo – racconta don Antonio Ruccia – il bimbo è uscito dall’ospedale circa un mese dopo l’accaduto. So che è stato affidato ad una famiglia che non è di Bari. L’ho visto l’ultima volta il giorno prima che uscisse e gli ho consegnato il crocifisso di don Tonino Bello che era il crocifisso che io portavo la mattina in cui è stato collocato nella culla termica e che avevo lasciato vicino alla sua culletta”. Don Antonio traccia un bilancio di questo anno, nella sua mente c’è l’immagine della gioia dei carabinieri che lo avevano scortato all’ospedale di Bari, poco dopo aver trovato Luigi. La gioia contagiosa della sua comunità e “quel senso di paternità – afferma – che non mi abbandona”. “La chiesa piena la sera della Messa di ringraziamento, ad un anno dal ritrovamento del bambino, vuol dire che c’è l’esigenza di cogliere l’importanza della vita, senza dare giudizi su nulla. È il senso della vita, questa viscerale attenzione all’amore dei piccoli che spinge a pensare alle situazioni di difficoltà delle famiglie soprattutto in pandemia”.
Il battito del cuore, segno d’amore
“È Vita! Storia di un bambino scartato, abbandonato… affidato” è un libro che si è scritto da sé: “Più raccoglievamo materiale – sottolinea il parroco di San Giovanni Battista – più si moltiplicavano i contributi”. Le vie del Signore, sottolinea don Antonio, sono anche incomprensibili; da Bari si è arrivati in Svezia. La corrispondente della tv nazionale mostra in un servizio giornalistico il miracolo della vita, confessa che nel suo Paese non esistono iniziative come le culle per accogliere i bambini. “Il miracolo non è solo nel fatto che abbiamo salvato una vita, il miracolo è che questo bambino, senza parlare è riuscito a comunicare in maniera diversa al mondo intero. Secondo me – aggiunge don Antonio – è un fiore in questo momento assurdo della pandemia dove abbiamo visto tante immagini di morte. Questo è un fiore per la vita che nasce, è un invito pressante a chi sceglie di interrompere le loro gravidanza a pensare che dietro un battito di cuore, c’è una storia che dobbiamo costruire”. Per il sacerdote è importante lavorare a livello educativo non imponendo ma “misericordiando”, come suggerisce Papa Francesco, leggendo nella vita che nasce “un’esperienza di amore dove nessuno dovrebbe sopprimere la dolcezza del vagito di un bimbo”. “Il senso vero della culla termica è che è un segno di Resurrezione, non è un segno di morte”.
Lo sguardo di don Tonino Bello
Don Antonio Ruccia cita più volte don Tonino Bello. “L’ho conosciuto – racconta – quando avevo 19 anni, ero al secondo anno di teologia al seminario di Molfetta ed ero scocciatissimo di andare al Pontificale per il suo ingresso nella diocesi. Quella sera disse che dovevamo fare l’ingresso in mezzo ad una piazza, incontrare tutti i giovani. Per me allora è cambiata la vita, ho cominciato a capire che una chiesa dalle porte aperte è possibile se romperemo i tetti delle nostre chiese, facendo entrare il cielo sugli altari, sporcandoci le mani di Vangelo”. Don Antonio racconta che la sua esperienza alla Caritas, in mezzo ai poveri gli ha fatto cambiare prospettiva, insegnandogli che ogni vita ha un senso. “Se qualcuno ha voluto inchiodare Gesù Cristo noi siamo chiamati a schiodare i bambini, i grandi, gli anziani nelle loro situazioni di difficoltà. Anche Luigi mi ha insegnato questo e paternamente mi commuove. Ho un grande desiderio, spero che un giorno, anche se non sarò presente, Luigi torni qui in questa chiesa a dire grazie al Signore. Io dico che prima o poi questo avverrà ma non perché voglio vedere Luigi o per chiudere un cerchio ma perché ritengo che quella vita sia un segno di Dio e sono convinto che Luigi sarà un segno di risurrezione, di amore per il mondo”.