Debora Donnini – Città del Vaticano
Luce come simbolo di speranza e di impegno per la pace. La luce di quelle lampade accese che i giovani consegnano al Papa e ai capi delle comunità cristiane che le collocano poi su un piedistallo al centro della piattaforma che sorregge l’evangeliario. È questa una delle immagini che suggella – dopo ore trascorse insieme, nel raccoglimento che si è fatto confronto discreto e preghiera allo stesso tempo – l’atto conclusivo di questa giornata vaticana voluta dal Papa per il Libano. Le fiammelle sono la speranza del fuoco di pace che Francesco vorrebbe acceso per una terra che ha detto di voler visitare. Illuminano l’orizzonte per la pace in Libano, che passa in modo decisivo attraverso l’impegno di tutti, specie delle nuove generazioni. Nel messaggio, pronunciato poco dopo, il Papa definisce i giovani “lampade vive che ardono in quest’ora buia” chiedendo di dargli ascolto “perché da loro passa la rinascita del Paese” e esortando, prima di prendere decisioni, a guardare ai loro sogni e speranze.
Questo toccante momento di Preghiera ecumenica, dunque, a conclusione di questa intensa giornata di riflessione per il Paese dei cedri, dove la crisi politica e finanziaria, senza dimenticare le esplosioni a Beirut nell’agosto dello scorso anno, hanno portato ormai sotto la soglia della povertà più della metà della popolazione.
Una suggestiva processione del Papa e dei Capi delle Chiese cristiane, aperta dal Libro dei Vangeli portato da un sacerdote, dà inizio all’incontro. A scandirlo le invocazioni elevate dai diversi Patriarchi orientali che si posizionano l’uno accanto all’altro vicino al Papa, seduto al centro. Accenti diversi per una preghiera concorde, da cui emerge con intensità il richiamo alla misericordia di Dio e la chiamata alla riconciliazione. In Basilica risuona anche un brano tratto dal Libro della Lamentazione di san Gregorio di Narek, letto da Aram I, Catholicos di Cilicia degli Armeni. Agli interventi dei Patriarchi orientali si alternano i canti delle diverse tradizioni rituali presenti in Libano, con testi in arabo, siriaco, armeno, caldeo. Vengono proclamate alcune Letture fino al Vangelo delle Beatitudini, via principe per la pace. “La visione cristiana della società viene dalle Beatitudini”, rimarca poi il Papa nel messaggio che conclude l’incontro, e “porta a imitare nel mondo l’agire di Dio, che è Padre e vuole la concordia tra i figli” e dunque i cristiani sono chiamati a essere “seminatori di pace e artigiani di fraternità”. Le invocazioni allo Spirito Santo muovono dal cuore e chiedono di infondere nella gente del Libano, e nel resto della comunità internazionale, uno spirito di pace e di unità all’inizio del terzo millennio e terminano con la recita del Padre Nostro.
Il silenzio scende poi per qualche minuto nella Basilica di San Pietro. Un silenzio carico di tensione spirituale, di fiducia, soprattutto di preghiera a Dio. Segue il segno della pace, che non viene scambiato nel modo tradizionale, nel rispetto delle normative legate alla pandemia. Quindi arriva il momento del messaggio di Francesco.
La preghiera ecumenica per la pace si svolge al termine di questa Giornata di riflessione e di preghiera per il Libano: “Il Signore Dio ha progetti di pace. Insieme per il Libano”. Dopo la mattinata segnata dalla venerazione della tomba di San Pietro e da un incontro comune, a porte chiuse, in Sala Clementina, a Santa Marta c’è stato il pranzo e un momento di riposo. Nel pomeriggio il Papa e i leader delle Chiese cristiane si sono nuovamente riuniti in Sala Clementina. Poi il trasferimento alla Porta della Preghiera prima di recarsi all’Altare della Cattedra. Rinnovato, dunque, l’impegno a edificare un futuro insieme perché, come ha detto Francesco, “l’avvenire sarà pacifico solo se sarà comune”. Con lo sguardo di Maria a vegliare su questo intreccio di intenzioni, simboleggiato dalla formella con il logo della Madonna di Harissa che Francesco consegna ai Patriarchi.