Luce che squarcia le tenebre, l’annuncio di Natale nella basilica di San Pietro

Vatican News

di Valentina Angelucci

La notte di Natale, nella basilica di San Pietro, risuona da vari anni il canto della Kalenda. Anche quest’anno risuonerà prima della concelebrazione eucaristica presieduta dal Papa, inserito nella preparazione alla messa. L’attesa, densa di preghiera, sarà scandita da un primo momento di ascolto delle profezie bibliche sulla nascita del Salvatore, a cui seguirà, come suo naturale prolungamento, una supplica ardente per il desiderio dell’incontro con il Signore, animato dalle invocazioni espresse nelle antifone maggiori che ci hanno accompagnato negli ultimi giorni dell’Avvento. Con il canto che introduce il terzo momento della preparazione, entrerà quindi processionalmente in basilica Papa Francesco che, sostando presso l’immagine del Bambinello posta davanti all’altare, ascolterà, con tutti i presenti, l’annuncio del Natale del Signore secondo l’antico racconto riportato nel Martirologio romano all’ottavo giorno prima delle Calende di gennaio.

Secondo la terminologia in uso nell’antichità, a Roma, il 25 dicembre veniva infatti indicato come l’ottavo giorno antecedente il 1° gennaio, ossia le Calende. Da qui la denominazione di Kalenda per indicare il racconto dell’evento commemorato nella liturgia il 25 dicembre. Finito il canto, il Papa svelerà e incenserà l’immagine di Gesù Bambino, mentre alcuni fanciulli la circonderanno di fiori. Questo canto racconta una storia che comincia da lontano e, per cerchi concentrici, arriva fino a noi. Ma ha una particolarità: l’incipit è diverso ogni anno, perché ogni anno è diverso il calcolo della luna. Infatti il ciclo della luna va calcolato con precisione, perché la fase lunare non corrisponde alla consueta numerazione del mese. L’annuncio di Natale, in quest’anno 2021, inizierà nel modo seguente: «Ottavo giorno prima delle Calende di gennaio. Luna ventunesima». Il computo annuale della luna ha, dietro, un percorso molto complesso ma fortunatamente oggi è semplificato dalle tabelle riportate sul Martirologio romano. Pur essendo opzionale la specificazione del numero della luna, esso rende ancora più evidente come questa bella notizia vuole raggiungerci proprio ora, nel momento storico che stiamo vivendo. Partendo dalla creazione, il componimento della calenda si concentra su alcuni fatti biblici precisi, insistendo molto anche sugli anni di distanza che separano questi eventi dal vero evento che si vuole raccontare. Questo testo era prima riservato, come previsto dal Martirologio, al contesto della Liturgia delle ore. L’uso dei pontefici di ascoltare la Kalenda all’inizio della messa della notte di Natale ha fatto sì che tale lodevole abitudine si sia sempre più diffusa, in Italia e nel mondo. Contestualizzata poi in un momento di preghiera, diventa un esempio auspicabile di un tempo di preparazione alla celebrazione, nel caso in cui non fosse possibile celebrare la Veglia con l’Ufficio delle letture, come indicato da principi e norme per la Liturgia delle ore (n. 215).

Il testo precedente all’ultima riforma faceva anche un calcolo ipotetico degli anni trascorsi dalla creazione, dal diluvio e dagli altri eventi biblici narrati fino alla nascita di Cristo. Ma non solo date, anche luoghi (Ur dei Caldei, Egitto, Betlemme) e nomi, biblici e non (Abramo, Mosé, Davide ma anche Cesare Augusto) e addirittura eventi civili (l’Olimpiade e la fondazione di Roma) vengono presi in considerazione. La precisione con la quale è narrato il momento in cui è accaduto l’evento che ha cambiato le sorti dell’umanità vuole ribadire l’idea che Cristo è davvero entrato nella Storia del mondo che passa attraverso la storia delle singole persone. Dal fatto più lontano al più vicino, per mostrare come tutto ciò che lo ha preceduto ha un senso e una direzione; tende verso l’evento che ha diviso la storia in due: il Natale di nostro Signore Gesù Cristo secondo la carne.

Se le prime frasi vogliono raccontare in poche parole grandi archi di tempo, le ultime righe sono tutte dedicate a descrivere, il più storicamente possibile, solo questo fatto, l’accadimento per eccellenza. «Nel quarantaduesimo anno dell’impero di Cesare Ottaviano Augusto, mentre su tutta la terra regnava la pace», riprende l’idea comune del lungo periodo di pace vissuto dall’Impero romano sotto l’imperatore Augusto, la cosiddetta pax augustea. Anche questo è visto in un’ottica precisa: il mondo era nella pace, pronto per accogliere il principe della pace (Isaia, 9, 5). E poi, ancora più dentro nella storia: «Gesù Cristo, Dio eterno e Figlio dell’eterno Padre, volendo santificare il mondo con la sua piissima venuta, concepito per opera dello Spirito Santo, trascorsi nove mesi, nasce in Betlemme di Giuda dalla Vergine Maria, fatto uomo».

In una città precisa, in un momento preciso, con persone che hanno un volto e un nome, il Figlio dell’eterno Padre fa la cosa più umana che possa esistere: trascorre nove mesi nel grembo di Maria e nasce a Betlemme di Giuda. Si dice anche che lo scopo di questa venuta è di voler santificare il mondo o, come dirà Gesù stesso nel Vangelo di Giovanni, «perché il mondo sia salvato per mezzo di lui» (3, 17). Può essere utile approfittare di questo affascinante componimento che la liturgia della Chiesa ci consegna per poterci sentire anche noi partecipi di quella storia che dalla creazione passa da Betlemme e arriva nella vita di ognuno, oggi. Non a caso “oggi” è una parola che ricorre spesso nei vari formulari liturgici di questa festa. E così nel giorno di Natale, alle prime luci dell’alba, la celebrazione della messa dell’aurora esordisce proprio cantando nell’antifona di ingresso: «Oggi la luce splenderà su di noi: è nato per noi il Signore». Il mistero che celebriamo a Natale rende possibile che quell’oggi salvifico annunciato ai pastori (cfr. Luca, 2, 11) diventi il nostro oggi.