Salvatore Cernuzio – Città del Vaticano
Non si può ricordare, e anche celebrare, L’Osservatore Romano, che il prossimo primo luglio compie 160 anni, senza ricordare – e anche celebrare – lui che del quotidiano della Santa Sede ne è stato direttore per 23 anni, durante il lungo pontificato di Giovanni Paolo II: Mario Agnes. Un laico servitore del Papa, un cattolico discreto, “understatement”, figlio della militanza popolare cattolica e un uomo dalla fede genuina, legato al Sud, alla famiglia e alle tradizioni, come il pellegrinaggio a piedi a Montevergine, ma con lo sguardo proiettato verso il mondo e le sue ferite, dove far giungere con ogni mezzo possibile la parola del Papa. Questo ritratto, per certi versi inedito, del noto giornalista è quello emerso questa mattina nella sede dell’Ambasciata d’Italia presso la Santa Sede, dove il cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, insieme ad Andrea Riccardi e Gianni Letta, hanno presentato il libro “L’Osservatore. Trentacinque anni di storia della Chiesa nelle carte private di Mario Agnes”. Un volume, edito da San Paolo, a firma del giornalista del Tg1, Ignazio Ingrao, che ha il pregio di raccontare, o meglio, “accendere le luci” sul lato umano, anche quello più intimo, del direttore Agnes attraverso lettere, documenti, polaroid che lo ritraggono insieme a figli e nipoti.
Parolin: serve oggi un giornalismo di pace
La storia di Mario Agnes, ex presidente dell’Azione Cattolica, è strettamente legata a quella de L’Osservatore, ed è stata quindi lo spunto per riflettere sul tipo di giornalismo che il quotidiano della Santa Sede ha offerto negli anni della sua direzione ed anche sul tipo di giornalismo che servirebbe oggi, in un’epoca drammatica a causa della pandemia e dei focolai di quella che Papa Francesco definisce “terza guerra mondiale a pezzi”.
“Un giornalismo di pace”, ha detto il cardinale Parolin nel suo intervento nel cortile del Palazzo Borromeo, rammentando quella prima pagina de L’Osservatore Romano pubblicata in piena Guerra del Golfo, con la scritta a caratteri cubitali “Mai più la guerra”, che più di ogni altra sintetizza l’atteggiamento del direttore nei confronti della tematica della pace. Questo coraggio, questo desiderio di pace, è un’urgenza oggi, ha detto Parolin: “Un giornalismo ostile a falsità, slogan a effetto e dichiarazioni roboanti”, ha detto il cardinale, che “non bruci le notizie” ma che “si impegni nella ricerca delle cause reali dei conflitti, per favorirne la comprensione dalle radici e il superamento attraverso l’avviamento di processi virtuosi. Un giornalismo impegnato a indicare soluzioni alternative alle escalation del clamore e della violenza verbale”. Mario Agnes, ha ricordato il porporato, ha voluto dare questa impronta al quotidiano vaticano che voleva fosse “ogni giorno strumento umile ma chiaro, sereno ma attento, rispettoso ma coraggioso, fedele ma intelligente”.
No a un linguaggio usato per offendere, etichettare, diffondere odio
Un lavoro, questo, certamente non facile, ma “costante, artigianale e paziente”, ha evidenziato il cardinale Parolin. Un lavoro che ogni testata, probabilmente, dovrebbe compiere, senza sottostare ai diktat della “velocità” delle nuove tecnologie, ma concentrandosi a trovare nella quotidianità “i fili della narrazione anche in quello che è poco notiziabile”.
“Un giornalista – ha aggiunto il porporato, prendendo in prestito le parole di San Giovanni Paolo II – è chiamato ad essere ‘sentinella del mattino’ che non si rassegna a un mondo in cui la gente muore di fame e manca il lavoro, ma si sforza a rendere questa terra abitabile per tutti”. Quest’opera inizia dal linguaggio che oggi, in particolare, ha sottolineato il cardinale segretario di Stato, “è utilizzato per offendere, etichettare, diffondere odio, specie attraverso i social, e alimentare fake news”.
Riccardi: in dialogo con la realtà
Sulla stessa scia, Andrea Riccardi, storico e fondatore della Comunità di Sant’Egidio, sempre rievocando “la figura originale tutt’altro che banale” di Mario Agnes e la sua opera di comunicazione sotto il pontificato di Wojtyla a cui diede voce “nel quadrante internazionale”, si è concentrato sull’attualità dell’informazione vaticana. “Se lo sguardo dell’osservatorio vaticano non si fa cultura, dibattito, informazione, dialogo, rischia di restare assente o avulso dalla realtà”, ha affermato. La necessità, in un momento di trasformazione e di moltiplicazione di siti e testate di vario tipo, è quella di “un giornale che si collochi accanto al Papa, all’osservatorio della Santa Sede” e tragga “linfa dal cuore della Chiesa”.
La stessa Chiesa alla quale Mario Agnes, ha ricordato Letta, aveva dato tutto “il suo amore”, senza però mai diventare “espressione di un’informazione di Palazzo” ma rimanendo sempre “rispettoso e libero”.
L’ambasciatore Sebastiani: L’Osservatore Romano, giornale dalla vocazione universale
Apprezzamento per il lavoro svolto da L’Osservatore Romano, che gode della sua lunga tradizione e dell’eredità di ogni suo direttore, è giunto dall’ambasciatore d’Italia presso la Santa Sede, Pietro Sebastiani, il quale lo ha definito un “prodotto unico” nella moderna scena mediatica dato “il prestigio della testata, le istanze e i luoghi che raggiunge, il livello dei contenuti, la qualità delle persone”. Un giornale dalla “vera vocazione universale”, ha rimarcato, come dimostra l’“attenzione unica su tanti eventi internazionali a volte apparentemente minori e secondari anche in angoli remoti”.
Premio “Biagio Agnes” ad Andrea Monda
A suggello di queste parole, al termine dell’incontro – moderato da monsignor Dario Edoardo Viganò – è stato conferito da Simona Agnes il “Premio Biagio Agnes” all’attuale direttore de L’Osservatore Romano, Andrea Monda, in occasione dei 160 anni dalla fondazione del giornale. “Un riconoscimento alla storia del quotidiano”, ha detto Monda, e un gesto di gratitudine “a chi mi ha preceduto”.