Alessandra Zaffiro – Palermo
“Il male prova a blandirci, a insinuarci il dubbio che sarà questo a renderci felici. La mafia è stata ed è, per la nostra Palermo, la più grande illusione di felicità”. Così scrive monsignor Corrado Lorefice, arcivescovo di Palermo nella lettera ai fedeli “Fino al compimento dell’Amore”, che apre l’tinerario verso il 29mo anniversario del martirio del Beato Giuseppe Puglisi, ucciso a Palermo in odium fidei dalla mafia il giorno del suo 56mo compleanno nel difficile quartiere di Brancaccio.
Il sorriso di don Puglisi
Padre Puglisi, sacerdote della parrocchia San Gaetano, cominciò la sua opera contro la criminalità organizzata parlando ai giovani e aprendo il Centro Padre Nostro, togliendo così la bassa manovalanza alla criminalità organizzata.“Non sono un biblista, non sono un teologo, né un sociologo, sono soltanto uno che ha cercato di lavorare per il Regno di Dio”, diceva di sé, consapevole di essere ormai nel mirino della mafia, tanto che al suo assassino disse: “Me lo aspettavo”. Come ha ricordato Papa Francesco in occasione della visita pastorale a Palermo per il venticinquesimo del suo martirio, quando morì nel giorno del suo compleanno, coronò la sua vittoria col sorriso, con quel sorriso che non fece dormire di notte il suo uccisore, il quale disse: “C’era una specie di luce in quel sorriso”. Un sorriso scolpito nella memoria dei palermitani.
La celebrazione Eucaristica in cattedrale
Oggi pomeriggio alle 18 si svolgerà la celebrazione eucaristica presieduta da monsignor Lorefice, animata dagli insegnanti di religione e delle altre discipline delle scuole dell’arcidiocesi e dai docenti della Scuola Teologica di Base. “Care sorelle e cari fratelli – si legge ancora nella lettera dell’arcivescovo di Palermo – mi rivolgo a voi, grande comunità di uomini e donne che la storia ha posto sui solchi dolorosi, ma fecondi scavati dalle orme di decine di martiri, i martiri della spietata violenza generata dalla sopraffazione della cultura mafiosa”. “Oggi”, scrive, “varchiamo insieme la soglia del trentesimo anno dall’uccisione del Beato Padre Pino Puglisi e camminando ancora lungo quei solchi che il tempo non ha eroso né inaridito, ne ammiriamo i frutti, che siamo noi stessi, noi che tanto desideriamo vivere nel mondo come umili testimoni dell’esempio che abbiamo ricevuto e abbiamo accolto. L’esempio di Gesù alla lavanda dei piedi si è rinnovato nel corpo di coloro che lo hanno imitato amando fino alla fine, cioè fino al compimento dell’amore. Trent’anni dopo, il martire Giuseppe Puglisi continua ad accompagnare la sua e nostra Chiesa. Egli è ciò che la Chiesa deve essere, la conferma nel dono dello Spirito”.
Mons. Lorefice ricorda la visita del Papa a Palermo nel 2018
“Non si può credere in Dio ed essere mafiosi. Chi è mafioso non vive da cristiano, perché bestemmia con la vita il nome di Dio-amore”, disse Francesco durante la messa nel 25mo del martirio di padre Puglisi in occasione della visita a Palermo del settembre 2018, durante la quale ha conosciuto i luoghi in cui il Beato ha vissuto. “Non posso non ricordare a me stesso e a tutti noi – scrive l’arcivescovo di Palermo – che in questo stesso giorno, quattro anni fa, Papa Francesco è venuto a inaugurare idealmente il nostro metterci in cammino sui passi di padre Pino. Lo ha fatto venendo a visitare le case di Brancaccio e indicandoci subito la sedia rotta nella saletta del nostro Beato: continua a dirci, padre Pino, che il luogo in cui dobbiamo collocarci non è una poltrona, non è una stanza chiusa, ma è fuori, tra le strade, là dove gli uomini costruiscono la storia, affinché sia una storia pienamente umana, secondo il desiderio di Dio”.
I martiri di mafia sono un dono per la comunità
“Continua a dirci, don Pino –scrive ancora monsingor Lorefice – che scoprire la gioia di questa fatica, la gioia della condivisione di questi passi, anche quando sono sofferti, e di questo pane, anche quando è misero, è ciò che scatena la ribellione del male che vuole invece, per il pane, mettere gli uomini l’uno contro l’altro: l’uno pronto ad usare l’altro, a distruggere l’altro, a praticare la fallace arroganza del dare la vita e la morte all’altro”. In questo senso “padre Pino Puglisi e con lui tutti i martiri della mafia in questa nostra città, in questa nostra diocesi, sono un dono per noi: intonano con gioia per l’intera umanità il canto nuovo – attorno al trono dell’Agnello -, il canto della Pasqua, che nasce dalla certezza che ogni vittima per amore vincerà sul male e sulla morte e ogni piccolo, ogni povero erediterà il regno dei cieli”.