Benedetta Capelli – Città del Vaticano
C’è una madre con il cuore straziato dal dolore, con il peso di una calunnia che ha condannato il figlio, con il silenzio e la preghiera che diventano compagni accudenti. In lei c’è anche la certezza di credere contro ogni evidenza, di sperare contro ogni speranza. E’ il Sabato Santo, la Vigilia di Pasqua, il momento in cui tutta la Chiesa è raccolta nel cuore di Maria, chiamata ad una prova di fede e di unione a Cristo. E’ l’Ora della Madre che piange ma che reitera quel sì detto all’angelo molto tempo prima accettando, allora come in questa ora difficile, il volere di Dio. La liturgia, che unisce Oriente ed Occidente, è come un ponte che dal Venerdì Santo arriva alla Domenica di Pasqua, passando attraverso la Vergine in attesa, insieme alla Chiesa, della Resurrezione, la luce che arriverà nella Veglia della notte, che in San Pietro inizierà alle 19.30.
“Dio ha abbracciato me”
E “silenzio e preghiera” sono due parole che Gemma Calabresi Milite sente sue. Le sussurra come fossero il segreto per vivere, per camminare sulla via tortuosa del perdono. “Una strada senza ritorno”: scrive nel suo libro “La crepa e la luce”, edito da Mondadori, nel quale mette i ricordi di gioventù, la certezza che per stare bene bisognava condividere “il privilegio con chi non ne aveva affatto”; mette l’amore per Luigi, un poliziotto con la nostalgia di Roma, e mette la sua personale Via Crucis, iniziata quando, il 17 maggio 1972, i colpi di pistola sparati da un commando di Lotta Continua cambiano verso alla sua vita di giovane madre di due bambini – Mario e Paolo – al terzo mese di gravidanza. Anche Gemma è stata in silenzio, dopo aver dato sfogo alla sua rabbia, crollata sul divano, “investita dall’onda d’urto di un’esplosione”. Lì, scrive, “nel momento più basso della mia vita, nella solitudine e nella disperazione, ho incontrato Dio”. “Dio ha abbracciato me, e io lui”.
“Ho il cuore pieno”
Il dolore, l’impotenza, l’ingiustizia, la fede che apre le porte del perdono. Quante “Marie”, anche oggi in diverse parti del mondo, come nell’Ucraina segnata dalla guerra, hanno attraversato questi vicoli bui per arrivare in vetta e guardare l’orizzonte con un senso di pace. Gemma Calabresi Milite ha scritto: “La crepa e la luce. Sulla strada del perdono. La mia storia”.
Quante similitudini nel silenzio di Maria, nella preghiera di Maria, quante assonanze con la sua storia…
Penso spessissimo a Maria davanti alla Croce, anche prima mentre flagellano Gesù, mentre tutti gridano e inneggiano a Barabba. Penso a come si deve essere sentita, al vuoto che le deve essere cresciuto dentro. Maria ha avuto una fede incredibile, meravigliosa e ogni tanto a Lei dico di darmi quella fede lì. E’ una figura silenziosa, una figura che rispetta le scelte del Figlio proprio fino in fondo, scelte che non so se riusciva a capire. Chissà se immaginava tutto questo dolore e penso proprio al suo silenzio. Dico sempre che davanti alla morte, davanti al dolore si deve solo fare silenzio e pregare, chiedere aiuto a Dio. Ecco, io ho provato la morte, non era di un figlio perché la morte di un figlio è terribile, però ho provato anche la calunnia e la calunnia ti fa tanto male. All’inizio ero decisamente impreparata, mi sentivo incapace perché non sapevo come fare per combatterla. Bisogna solo chiedere aiuto a Dio. Quando parlo con i giovani, insisto su questo punto, dico che quando si è in gruppo non si deve essere gregge, ma mantenere un pensiero libero, un pensiero critico, un pensiero individuale. Non prendere un “pacchetto” che ti danno gli altri che ti dicono che devi gridare così o devi odiare così o calunniare così. Prima di condannare una persona devi cercare di conoscere, di sapere, di informarti, di capire. Il male anche se fatto in gruppo è sempre male. Il male è male.
C’è un passaggio nel suo libro in cui spiega l’umanità degli assassini di suo marito, afferma di aver capito che non erano solo quello, ma persone con figli, con una loro vita. Quanto aiuta questo sguardo sull’umanità?
Mi ha aiutato molto ridargli l’umanità, ridargli la dignità. Non avevo il diritto di relegarli tutta la vita all’atto peggiore che avevano compiuto e allora mi sono detta che potevano essere anche altro: buoni mariti, buoni padri perché io l’avevo visto durante il processo che erano buoni padri, affettuosi, premurosi. Ho pensato che potevano essere anche buoni amici, che avranno anche loro camminato come ho camminato io. Uno non è soltanto una cosa, ma mille cose, tutti compiamo il bene e il male. Ridandogli questa loro umanità li ho visti sotto una luce diversa e soprattutto li ho visti anche uguali a me e quindi mi è stato più facile cominciare questo cammino di perdono.
Quando pensiamo al silenzio di Maria nel sabato Santo pensiamo anche alla speranza della Resurrezione. Oggi che cosa le suscita la parola “speranza”?
Quella mattina in cui è stato ucciso mio marito, ho ricevuto da Dio il dono della fede che è il dono più grande che mi potesse fare. Io ero religiosa ma è una cosa diversa, lo ero per tradizione della mia famiglia, perché non poteva essere diversamente in casa mia, ma da quel giorno è diventata fede, una mia scelta. La fede ti accompagna in ogni momento della giornata, ti fa vivere in un modo diverso, la fede non ti toglie il dolore, non ti toglie la sofferenza, ma la fede ti dà la speranza e questa è la cosa fondamentale che io vorrei proprio dire a tutti.
Quando lei, nel libro, parla del perdono dice che è “figlio di una forza gioiosa”. Il perdono è sicuramente una liberazione ma forza gioiosa è di più…
Sì, è di più: il perdono ti fa volare alto, ti fa sentire libera, il perdono ti dà la gioia e ti dà forza. Il perdono ti fa vivere in pace con Dio e con l’umanità. Ci sono arrivata a quel perdono lì, ci ho messo anni, ci ho messo tutta la vita. Prego per loro (ndr gli assassini di Luigi Calabresi) perché abbiano pace nel cuore, perché Dio gli dia pace.
Il necrologio per suo marito è stato per lei come un grano del Rosario. L’arcivescovo Colombo che celebrò i funerali lo definì “un fiore deposto sul sangue” di Gigi, e che non sarebbe mai appassito…
“Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno”, lo aveva scelto mamma per me, mia mamma era una donna di grande fede, di grande apertura. Io in quel momento non sarei riuscita, però lo avevo accettato pensando che era il momento giusto per spezzare quella catena di odio, di violenza, di rabbia con parole d’amore. Per anni io non ho pensato a quel necrologio anzi l’idea di perdonare mi sembrava quasi fosse una mancanza di rispetto verso mio marito. Poi ho ridato a chi lo ha ucciso l’umanità e ho deciso di intraprendere questo cammino perché il perdono non si dà ragionando, ma con il cuore, lo dice la parola: è un dono, lo si dà con amore. Devi metterci il tempo necessario e devi essere certo che Dio ti aiuta e che non sarai solo in quel cammino. Il primo passo verso il perdono l’ho fatto con il necrologio. Un giorno ero seduta in chiesa, ho pensato: “Quel necrologio lo hai scritto, l’hai firmato, è giunto il momento di farlo tuo”. L’ho letto diversamente, pensando a Gesù che chiede al Padre di perdonare e indicando così una strada, mi sono sentita felice, alleggerita, come se mi avessero tolto un peso dalle spalle. Mi sono detta che Dio aveva già perdonato per me e che io avevo il tempo del cammino, certa dell’aiuto di Dio. Il 17 maggio prossimo saranno 50 anni che è morto mio marito, ormai da un po’ di tempo, prego per chi lo ha ucciso perché abbiano la pace del cuore, con tanto amore.
Il suo libro s’intitola “La crepa e la luce”: sembra proprio riflettere questo tempo pasquale. Le chiedo un pensiero per questa Pasqua…
Con questo libro desideravo dire a tutti che si può amare ancora la vita anche dopo una tragedia di questo tipo, che si può credere ancora negli altri, si può anche cambiare il giudizio sulle persone nelle quali prima si vedeva solo il male. Vorrei mandare un pensiero positivo in questo momento tragico della nostra vita con questa guerra, è quello che io chiedo tutti i giorni a Maria perché ci aiuti a mettere fine. Quello che io chiedo in questa Pasqua è che questi due popoli possano tornare a parlare. Dio è di fianco a noi sempre, basta che noi lo sentiamo, basta che noi gli parliamo.
Nell’ultimo capitolo intitolato “Una vita bellissima” lei scrive di averla amata tanto questa vita, nonostante il dolore, non la cambierebbe con nessun’altra. “E’ stato, ed è, un viaggio di amore e di libertà”. Quando si perde un marito così giovane, quando si ha in grembo il terzo bambino, quando comunque di fronte a se si ha un avvenire che si rischia di compromettere con la tristezza, qual è questa libertà?
La libertà che mi hanno dato gli altri. Io ho scoperto che le persone sconosciute, non i parenti, i familiari che mi sono sempre stati accanto a me, mi hanno dato la forza. Sono state tante le persone che, fermandomi per la strada, al supermercato, alla posta, mi hanno dato una stretta di mano, una carezza. C’è chi mi ha detto che mi pensava sempre, chi pregava per me, delle testimonianze di amore e di affetto meravigliose che non mi hanno mai fatta sentire sola. Io ho scoperto come gli altri siano il patrimonio più grande che noi abbiamo nella vita.Devo ringraziare tutte queste persone, anche per questo ho scritto il libro. Loro mi hanno dato proprio quella voglia di nuovo di camminare, di vivere e mi hanno ridato questa libertà.