L’operazione subita da Papa nel 1980 all’origine dell’ultimo intervento

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Il professor Alfieri ha spiegato che il laparocele che provocava dolore a Francesco è una conseguenza delle chirurgie pregresse. Nel libro di Nelson Castro lo stesso Francesco ricorda quegli episodi

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Nelle informazioni dettagliate fornite ai giornalisti mercoledì 7 giugno al termine dell’intervento, il professor Sergio Alfieri, il chirurgo che per la seconda volta ha operato il Papa al Policlinico Gemelli, ha spiegato l’origine del “laparocele incarcerato” e delle aderenze che causavano crescenti dolori e fastidi a Francesco. Alfieri ha detto che si era formato «in corrispondenza di cicatrici dei pregressi interventi chirurgici degli anni passati». E ha aggiunto che «lui era stato operato in Argentina per una peritonite, una colicistite gangrenosa» sulla quale «c’era già un laparocele». Il medico ha quindi menzionato anche un intervento ancora più vecchio, «una cisti da echinococco», cioè l’operazione subita al polmone, la cui cicatrice toracica non è direttamente collegata con i problemi recenti ma ha comunque contribuito ad alterare la dinamica funzionale della parete addominale.

Jorge Mario Bergoglio è stato sottoposto fino ad oggi a quattro interventi chirurgici: due quando era sacerdote in Argentina (1957 e 1980) e due da Papa, al Gemelli: quello per la rimozione di un tratto di intestino con diverticoli nel luglio 2021 e quello di mercoledì scorso. Dalle parole del chirurgo si evince che il laparocele (un’ernia che si forma su una cicatrice di un precedente intervento e ingrandendosi può diventare “incarcerata” o “strozzata”, causando varie complicazioni) non era connesso con l’intervento avvenuto due anni fa in un’altra zona dell’intestino, ma alle chirurgie precedenti.

La prima di queste è quella che ha rimosso la “cisti da echinococco” al polmone del giovane Bergoglio. Nel recente libro “La salute dei Papi” (Piemme edizioni), il medico e giornalista Nelson Castro ha intervistato Francesco sui suoi pregressi clinici. Così il Papa ricorda quell’episodio avvenuto quando era ventunenne: «Era l’agosto 1957. Frequentavo il secondo anno al Seminario di Villa Devoto. In quell’inverno si era diffusa una forte epidemia influenzale e molti seminaristi ne erano rimasti contagiati. Anch’io. Ma di fatto nel mio caso la situazione si è evoluta in maniera più complicata. Mentre i miei compagni andavano riprendendosi in pochi giorni, senza strascichi, io continuavo a presentare un persistente stato febbrile». Jorge Mario venne portato all’ospedale siriano-libanese, dove il dottor Zorraquín, noto pneumologo, individuò tre cisti sul lobo superiore del polmone destro. C’era anche un versamento pleurico che provocava dolore e difficoltà respiratorie. Dopo mesi di terapie per far uscire i versamenti, il medico decide di operare per asportare un pezzo di polmone.

«Fu un intervento importante – racconta Papa Francesco -. La cicatrice dell’incisione chirurgica che mi fecero va dalla base al vertice dell’emitorace destro. L’operazione fu cruenta. Mi hanno raccontato di avere operato con il divaricatore… e che era stato necessario usare molta forza. Perciò quando mi ripresi dall’anestesia avvertivo dolori intensi. Anche il decorso postoperatorio fu doloroso. Mi era stato mantenuto un drenaggio connesso a una cannula a pressione negativa, in modo che aprendola si generasse un effetto di aspirazione. Questo mi dava un dolore fortissimo, come pure i lavaggi con ampolle di soluzione fisiologica che il chirurgo mi faceva ogni mattina nel corso delle medicazioni. Sono stati gli aspetti più difficili. Mia madre e mio padre erano molto addolorati e in ansia. Ogni volta che mamma veniva in ospedale, mi abbracciava e scoppiava in lacrime». L’intervento riesce perfettamente, e Bergoglio non subisce alcuna conseguenza. «Non ho mai provato affaticamento o carenza d’aria – rivela il Papa nell’intervista pubblicata nel libro di Nelson Castro -. I medici mi hanno spiegato che il polmone destro si è espanso fino a occupare tutto l’emitorace omolaterale. L’espansione è stata così completa che, se non ne è informato in anticipo, soltanto uno pneumologo di prima categoria riesce a individuare l’assenza del lobo asportato». Come si ricorderà, proprio questo intervento al polmone venne discusso nell’ultimo giorno del Conclave del marzo 2013, quando i porporati si interrogarono sulla salute dell’arcivescovo di Buenos Aires. Lo ha raccontato pubblicamente il cardinale Óscar Andrés Rodríguez Maradiaga, allora arcivescovo di Tegucigalpa, il quale, captate le voci, andò a chiederne conto al diretto interessato.

L’intervento di cui ha parlato il professor Alfieri, citandolo come origine del laparocele, è più recente, ed è quello subito dal Bergoglio ormai più che quarantenne alla cistifellea, nel 1980. Lasciamo ancora una volta la parola al protagonista, che così racconta quanto accaduto nel libro curato da Nelson Castro: «È successo quando ero superiore provinciale dei gesuiti. Era ora di pranzo e stavo passando la minestra. All’improvviso mi venne un dolore acuto e molto forte alla schiena, che mi immobilizzò. Per un istante mi fu impossibile muovermi. Dovetti interrompere il compito che stavo svolgendo e sedermi. Visto il dolore che provavo, presi un calmante. Credevo si trattasse di un problema muscolare. Ma in effetti le ore passarono e l’indolenzimento non si riduceva. Decisi di andare dal medico. Quello che mi visitò mi fece una serie di analisi per verificare principalmente la colecisti e i reni. Sulle prime non rivelarono niente di anormale. Si pensava potesse trattarsi di calcoli renali o alla cistifellea, ma gli esami risultarono negativi a quelle patologie. Siccome il dolore persisteva, il medico decise di mandarmi da un chirurgo che, dopo avermi visitato, ordinò una colecistografia per una valutazione più approfondita. Sfortunatamente fu necessario sospendere l’esame perché a metà ebbi una reazione allergica allo iodio. Quel fatto e la persistenza del quadro clinico indussero il chirurgo a informarmi che bisognava operare d’urgenza. E non si limitò a questo: aggiunse che si trattava di un intervento rischioso perché non sapeva che cosa avrebbe trovato una volta aperto l’addome».

«Capii che la gravità della situazione – racconta ancora Francesco – non lasciava alternative. Quindi gli risposi di procedere. In quel momento mi raccomandai a Dio, che mi aiutò ad affrontare quell’operazione con assoluta serenità. Poi seppi che l’intervento era stato davvero difficile e rischioso, e che quello che avevo era una cancrena della colecisti, che fortunatamente era stata presa in tempo. “Ancora un giorno e la sua condizione sarebbe divenuta estremamente grave” mi spiegò il chirurgo. Per fortuna il decorso postoperatorio si svolse senza complicazioni e mi sono ripreso del tutto». Il chirurgo che operò allora Bergoglio è il dottor Juan Carlos Parodi, diventato poi noto nella comunità scientifica internazionale nel campo della chirurgia cardiovascolare. Ha spiegato il professor Parodi: «A quei tempi la consegna era che a grandi operazioni si accompagnavano grandi incisioni. Non era ancora sorta l’epoca della chirurgia laparoscopica. Quindi praticai un’incisione dalla parte superiore dell’addome fino all’inguine… Dopo una laboriosa esplorazione, giungemmo all’origine del problema: un calcolo incastrato nel dotto cistico. Con molta cura, allora, gli tolsi tutta la colecisti, le cui pareti erano tese e dure, e dopo avere ultimato l’asportazione ed essermi assicurato che non ci fossero calcoli in altre zone della via biliare, mi accinsi a terminare di rimuovere le aderenze intestinali e a pulire tutta la cavità addominale, un compito che richiese più di un’ora. Completato questo, l’intervento chirurgico era ultimato. Eseguimmo una sutura rinforzata, quella che si chiama “da materassaio”, per assicurare la chiusura della ferita, e lasciammo in sito due drenaggi. Fu un intervento grande e rischioso. Per fortuna non ci furono complicanze postoperatorie».

Nell’aprile 2014 Parodi si trovava a Londra per un congresso medico quando gli arrivò la notizia che Francesco gli aveva concesso un’udienza privata. «Appena è entrato a Santa Marta – ha raccontato il medico subito dopo l’incontro – raggiante mi ha detto: “Juan Carlos, sei identico a come eri quando ti ho visto quella notte in cui sentivo che stavo morendo, e tu mi hai salvato la vita. Non scorderò mai la tua faccia, perché appena l’ho vista ho cominciato a sentirmi meglio”».

Una immagine di Jorge Mario Bergoglio da giovane