Londra, in cerca di accordi, comincia a fare i conti della Brexit

Vatican News

Fausta Speranza – Città del Vaticano

L’accordo tra Regno Unito e Turchia, raggiunto negli ultimi giorni del 2020, evita il pagamento di dazi e dunque conferma il regime di scambi che c’era fino ad oggi. Entra in vigore dal 1 gennaio, quando viene formalizzata la Brexit, e riguarda i beni industriali e agricoli. Secondo la dichiarazione, rilasciata dal governo britannico, l’accordo manterrà in vigore le tariffe preferenziali già esistenti per le circa 7.600 imprese britanniche che hanno esportato merci in Turchia nel 2019.  Il presidente Recep Tayyip Erdoğan ha dichiarato  che per il suo Paese è “l’accordo più importante” dopo l’unione doganale con l’Ue e che, senza l’intesa, la Turchia avrebbe subìto perdite per 2,4 miliardi di dollari, visto che tre quarti dei beni che esporta nel Regno Unito sarebbero stati soggetti a dazi.

Novità per Londra e Ankara solo in prospettiva

Ankara e Londra fanno sapere che lavoreranno  per cercare di espandere l’accordo anche ai servizi e agli investimenti per rafforzare ulteriormente l’interscambio. Ma si tratta di una prospettiva tutta da sviluppare. Il ministro degli esteri turco, Mevlüt Çavuşoğlu, ha espresso anche la speranza di Ankara  di negoziare un accordo separato con Londra sull’immigrazione, per garantire ai cittadini turchi uno status speciale una volta che il Regno Unito abbia implementato nuove regole in tale ambito.

In generale per il dopo Brexit si prospettano perdite per Londra

La società indipendente di ricerca e strategie Independent Strategy prevede contraccolpi pesanti per l’economia britannica. Lo fa con il rapporto pubblicato in questi giorni in cui si legge che la soddisfazione dei mercati azionari britannici non durerà a lungo. La gioia nei mercati valutari, dove la sterlina è scambiata a 1,35 dollari potrebbe proseguire per un po’, ma tra un anno, secondo la società internazionale, è probabile che la sterlina venga scambiata al di sotto di 1,10 dollari.

Al di là dei mercati, che per definizione sono volatili e legati a tanti diversi fattori, per capire quali prospettive reali si intravedono per il Regno Unito abbiamo intervistato l’analista Paolo Guerrieri docente di economia politica alla Paris School of International Affairs, Sciences-Po in Francia e alla Business School dell’Università di San Diego in California:

Ascolta l’intervista con Paolo Guerrieri

Guerrieri sottolinea che l’andamento dei mercati risente dell’euforia per lo scongiurato rischio di una Brexit senza accordo con l’Ue e aggiunge che in ogni caso può avere un andamento volatile. L’economista spiega che non è questo il punto: dell’analisi offerta da Indipendent Strategy Guerrieri mette in luce soprattutto la parte che riguarda i conti per i contraccolpi sull’economia reale. Certamente, l’accordo ha evitato il peggio in termini di rialzi di dazi e quote in cui il Regno Unito sarebbe caduto senza un accordo fuori dall’Ue. Ma non evita il costo di perdere l’accesso senza alcun attrito a un mercato di 447 milioni di persone che rappresenta oltre il 40 per cento delle sue esportazioni. Ci saranno ovviamente molte  pratiche e burocrazia per il commercio del Regno Unito con l’Ue e viceversa. E questo non sarà privo di costi per entrambi le parti, con la differenza – spiega Guerrieri – che l’Ue avrà la forza di un’entità che si pone con dimensioni diverse di mercato e di negoziabilità.

Per la City pesa l’esclusione dall’accordo dei servizi finanziari

Innanzitutto, Guerrieri conferma che sono tanti gli studi autorevoli che denunciano i limiti per la Gran Bretagna dell’accordo raggiunto con l’Ue, a partire dalla constatazione della mancanza di un riferimento certo per il settore dei servizi finanziari che sono invece un punto forte dell’economia britannica. Fino all’ultimo – sottolinea Guerrieri – si è parlato molto di pesca, mentre le questioni che stanno più a cuore alla City sono altre. E poi aggiunge: nell’accordo si decide a proposito di industrie, ma il Regno Unito non ha una vocazione manifatturiera. Ha appena perso l’accesso al mercato unico dei servizi dell’Ue. L’analista sottolinea che la City è stata semplicemente lasciata fuori da questo accordo e che l’Ue, dunque, non concederà l’accesso al mercato unico alla finanza del Regno Unito perché ha tutto l’interesse ad occupare lo stesso spazio finanziario. Il professore tra l’altro sottolinea che, per quanto riguarda la pesca, Londra non ha raggiunto il risultato soddisfacente di cui il premier Johnson ha parlato, dal momento che è stata l’Ue ad ottenere per cinque anni l’accesso di suoi pescatori nelle acque territoriali del Regno Unito.

L’onere di decine e decine di intese da rinegoziare

Lo studioso Guerrieri ricorda che il Regno Unito perde anche gli accordi di libero scambio dell’Ue con i Paesi terzi cui ha partecipato come membro dell’Ue, sottolineando che l’Ue ha accordi di libero scambio con 80 Paesi, che hanno richiesto anni di negoziati e che quello annunciato con Ankara è solo il primo di una serie da rimettere in piedi. Peraltro, Guerrieri chiama a riflettere sul fatto che, come per Ankara, si replicano le condizioni “strappate” dall’Ue, difficilmente Londra avrà più potere negoziale, visto che si ritrova più isolata di prima in un mondo globalizzato. A questo proposito, l’analista ricorda come il governo britannico abbia cercato da subito di provocare spaccature sul fronte Ue, cercando di avanzare negoziati con alcuni Paesi e cercando dunque di frantumare la compattezza dei 27, ma sottolinea come, in questo caso, l’Unione sia stata davvero unita nel respingere questi tentativi e rimandando all’accordo globale.  Il Regno Unito sarà in grado di duplicarne molti di accordi con Paesi terzi, sottolinea Guerrieri, ma anche questo processo richiederà molto tempo. 

Le false illusioni della retorica pro Brexit

Guerrieri fa riferimento al discorso della presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, al momento della conferenza stampa di annuncio dell’accordo raggiunto con il premier Johnson, ad una espressione precisa: la presidente ha affermato che “la sovranità dovrebbe essere definita come una merce internazionale, non nazionale”. Guerrieri sottolinea che in una fase storica in cui la Cina si afferma come grande potenza economica mondiale, anche prima degli Stati  Uniti, e stringe un accordo che mette insieme Paesi dal Giappone alla Nuova Zelanda, passando per il sud est asiatico – come è accaduto a novembre –   diventerà progressivamente chiaro il costo  di non far parte dell’Ue. Secondo Guerrieri, la narrativa dei sostenitori della Brexit si è incentrata su una sostanziale bugia: quella di una presunta ritrovata libertà del Regno Unito che scatenerebbe  un’ondata di investimenti produttivi, afflussi di capitale straniero e rinnovata imprenditorialità. È un’illusione  pensare che accada ed è semplicemente falso – sottolinea  Guerrieri – che sia stata l’Ue in questi anni ad impedire che accadessero dinamiche del genere.  

In tema di governance

L’Ue ha fatto concessioni in termini di governance sul commercio, mentre il Regno Unito ha ceduto sull’adesione ai principi della parità di condizioni. In realtà, resta all’Ue la capacità di reagire non appena il Regno Unito iniziasse a divergere dalle norme e dai regolamenti dell’Ue. Allora l’arma delle restrizioni commerciali e dei dazi verrà innescata rapidamente e applicata in diversi settori, non solo in quello in cui il Regno Unito è considerato non conforme. Il fatto che l’Ue abbia ceduto in termini di priorità della Corte di giustizia europea come arbitro finale, non rende meno probabile che lo diventi nei fatti. L’Ue a questo punto diffida del governo britannico che, dopo tutto, ha cercato di rinnegare i suoi impegni giuridici internazionali solo pochi mesi fa.