di Gaetano Vallini
Gli anni Settanta sono appena finiti e in Italia nessuno sembra rimpiangerli. Sono stati gli anni di piombo: durissimi, cattivi, tra difficoltà economiche, scontri sociali, tensioni altissime, attentati. Ma il decennio successivo non inizia certo meglio: l’economia stagna con la lira svalutata e l’inflazione a doppia cifra; la terribile strage “nera” alla stazione di Bologna; le azioni eversive e sanguinose delle brigate rosse che, insieme alla mafia, continuano a colpire fedeli servitori dello Stato; e poi lo scandalo della loggia massonica P2; senza dimenticare l’evento più tragico, il devastante terremoto in Campania e Basilicata. No, decisamente il decennio non inizia bene. Nemmeno per la passione principale degli italiani, il calcio, le cose vanno meglio. Lo scandalo del “totoscomesse” intossica l’ambiente, coinvolgendo calciatori di spicco, tra cui il bomber Paolo Rossi, e squadre importanti, come Milan e Lazio, retrocesse in serie B. Nessuno riesce a trovare un motivo di gioia, un segno di speranza in un simile panorama.
Gli anni Ottanta sembrano dunque destinati a ripetere un triste copione. Certo il 1982 è l’anno dei Mondiali di calcio in Spagna, ma neanche questo appuntamento, in altri momenti capace di distrarre e catalizzare l’attenzione del Paese, pare entusiasmare più di tanto. E poi, con quella macchia sull’immagine del calcio italiano, c’è poco da illudersi. Ma nonostante tutto, la nazionale azzurra del commissario tecnico Enzo Bearzot – che aveva fatto un’ottima figura quattro anni prima in Argentina – si è comunque qualificata, dopo un cammino tra molti bassi e pochi alti. In Spagna a giugno ci arriva tra tante polemiche e con un Rossi rientrato in campo dopo due anni di squalifica, sulle cui condizioni nessuno è disposto a scommettere, tranne il ct, che lo vuole a tutti i costi.
Il girone di qualificazione – con Polonia, Perù e Camerun – non fa che confermare i dubbi. Prestazioni scialbe che fruttano tre miseri pareggi, con Rossi che sembra il fantasma del campione che era. Solo la differenza reti porta gli azzurri al passaggio del turno ai danni del Camerun (e su questa partita qualcuno in seguito seminerà, senza riscontri, il dubbio di una combine). Se questa è la nazionale, scrivono i giornali, sarebbe stato meglio tornarsene a casa subito. E Bearzot è il bersaglio perfetto. “Oggi la nostra nazionale arranca tra mille stenti e già ci vengono i brividi a pensare a cosa potrà accadere nella seconda fase quando saranno al cospetto di Argentina e Brasile. Sono tempacci! Speriamo che a Barcellona il panorama cambi”, scrive Lodovico Maradei sulla “Gazzetta dello Sport” il 24 giugno. E già, perché il passaggio alla seconda fase mette sulla strada degli azzurri le squadre più forti del momento, l’Argentina di Diego Armando Maradona, detentrice del titolo, e il Brasile di Zico, Falcao e Socrates, favorita del torneo.
Che il panorama possa cambiare nessuno sembra crederci. Anche i tifosi italiani sono rassegnati. L’unico a sperarci è però Bearzot, che continua a difendere le sue scelte e a dare fiducia ai suoi ragazzi, in particolare a Rossi. Forse perché in cuor suo sa che più in basso si cade, più in alto talvolta si riesce a risalire. E quella di Rossi sarà una risalita dagli inferi tanto inattesa che a molti parrà una sorta di resurrezione, entrata nella storia del calcio. L’Italia nel girone a tre batte prima l’Argentina 2 a 1 e poi il Brasile 3 a 2, in una partita epica, con una tripletta proprio di Rossi, il redivivo, che in semifinale mette in ginocchio anche la Polonia con altri due goal. Il sesto – che lo consacra cannoniere del torneo – lo rifila a Madrid in finale alla Germania Ovest, battuta con un perentorio 3 a 1. Il suo incubo personale è finito: per il mondo è diventato “Pablito”. E con lui esulta Bearzot: è la sua rivincita su una stampa spietatamente critica, ora pronta a tesserne le lodi.
Ma quel “Campioni del mondo” ripetuto tre volte con contenuto entusiasmo al fischio finale dal compassato telecronista Nando Martellini, mentre il presidente Sandro Pertini esulta elegantemente in tribuna d’onore, è soprattutto il sigillo a un’impresa insperata, per un titolo atteso da ben 44 anni e arrivato in un momento davvero particolare. Chi l’avrebbe mai detto: l’Italia della lira debole, dei governi instabili, dei complotti, degli scandali, delle stragi, della mafia, della terra che quando trema provoca ecatombi, è sul tetto del mondo calcistico. Gli azzurri sono gli eroi di una nazione che per una notte ritrova l’orgoglio di essere popolo unito sotto la stessa bandiera. Una notte impazzita per un Paese sorpreso e incredulo; una notte in cui dimenticare tutto, per gioire e far festa insieme. Anche perché per tornare alla normalità ci vuole davvero poco. Passata la sbornia, basterà accendere la tv e ascoltare un telegiornale per ripiombare nella difficile realtà di quell’inizio di anni Ottanta.
Una realtà ben riassunta da Italo Cucci sul numero speciale del “Guerin Sportivo”: “Se qualcuno, poi, indagando su questi giorni di italica follia collettiva, si stupirà, o addirittura proverà compassione per un popolo ch’era arrivato a esaltarsi per una vittoria nel gioco del pallone, se approfondirà la ricerca dei motivi che l’hanno provocata, scoprirà una verità molto semplice: l’undici luglio del 1982 è successo quello che tanti – in Italia – si attendevano da tempo. È arrivata una buona notizia. È arrivata dalla Spagna, da Madrid, una notizia diversa da quelle che tutti gli italiani si erano abituati a inghiottire ogni giorno, i bocconi amari di un’amara esistenza”.