Elvira Ragosta – Città del Vaticano
Non solo il Mediterraneo, c’è anche la rotta balcanica tra le vie d’ingresso in Europa di migranti e richiedenti asilo. Nel corso degli ultimi cinque anni sono state centinaia di migliaia le persone fuggite dai loro Paesi in difficoltà, in guerra o a causa di persecuzioni e transitate attraverso i Balcani. Dal 2018 il passaggio su questa rotta termina spesso in Bosnia – Erzegovina, dove attualmente le stime parlano di circa 9mila tra migranti e richiedenti asilo, la maggior parte delle quali ospitati in campi di raccolta. Si tratta di intere famiglie, uomini, ragazzi e minori non accompagnati provenienti per lo più da Afghanistan, Pakistan, Siria, Iraq.
Il dossier di RiVolti ai Balcani
A fornire una sintesi di informazioni e fonti internazionali, che descrivono la situazione dei migranti lungo la rotta balcanica nell’ultimo triennio, con dati aggiornati allo scorso dicembre, è il dossier “Migranti senza diritti nel cuore dell’Europa” di RiVolti ai Balcani, una rete di 34 associazioni e realtà impegnate nella difesa dei diritti delle persone, presentato oggi a Venezia in collaborazione con Mediterranea Saving Humans dalla nave Mare Jonio. Un documento che descrive e analizza la situazione e la criticità del fenomeno nell’ultimo triennio, fornendo informazioni e fonti internazionali, con dati aggiornati allo scorso dicembre. “Il dossier – spiega a Vatican News Gianfranco Schiavone, vice presidente di Asgi, Associazione studi giuridici sull’immigrazione, della rete RiVolti ai Balcani – aiuta a comprendere come quello che vediamo oggi non è un fenomeno imprevisto né straordinario, ma purtroppo la manifestazione di una situazione che dura da anni. Il rapporto riguarda diversi Paesi europei, alcuni appartenenti all’Unione europea, altri non rientranti nella zona Ue. Facciamo un ‘analisi complessiva in cui emergono responsabilità locali, ma anche dell’Unione europea come istituzione e come singoli Stati membri”.
L’appello di Caritas italiana
Di situazione disperata in Bosnia – Erzegovina e lungo la rotta balcanica parla l’appello lanciato ieri da Caritas italiana, che chiede di intervenire per porre fine a quella che è ormai è diventata un’emergenza umanitaria. In particolare il riferimento è al campo di Lipa, vicino a Bihac in Bosnia-Erzegovina, distrutto pochi giorni prima del Natale scorso da un incendio. Abbondanti nevicate e temperature che scendono fino a -10 gradi , sottolinea Caritas in un comunicato, mettono a rischio la vita di circa 900 persone, che vivono nel campo in condizioni molto carenti. Inoltre, monsignor Komarica, vescovo di Banja Luka, chiede a tutti i rappresentanti politici, che possono prendere decisioni, di “lavorare insieme, con l’aiuto materiale della comunità internazionale, per risolvere questa catastrofe umanitaria in modo positivo ed efficace, il prima possibile”. Non si può più aspettare – sottolinea don Francesco Soddu, direttore di Caritas Italiana – è assolutamente urgente fare ogni sforzo per garantire un’accoglienza dignitosa e sicura, rafforzare l’assistenza umanitaria a Lipa e in tutti gli altri campi profughi della Bosnia e Erzegovina”. Nel comunicato, Caritas sottolinea anche la necessità di far cessare le prassi di respingimenti violenti e ridiscutere le politiche migratorie della regione, per sviluppare un sistema che tuteli maggiormente la vita e i diritti delle persone in transito o dei richiedenti asilo.
La testimonianza da Bihac
Dei 9mila migranti e richiedenti asilo che si trovano in Bosnia – Erzegovina quasi 6mila sono ospitati in cinque campi: due vicino a Sarajevo, che risultano sovraffollati, e tre nel cantone di Una – Sana. Dopo l’incendio dello scorso dicembre nella tendopoli di Lipa, solo una parte dei 1.500 migranti del campo è rimasta nei dintorni di Lipa. “Alcuni – testimonia a Vatican News da Bihac Silvia Maraone, coordinatrice dei progetti lungo la rotta balcanica di Ipsìa Acli e Caritas italiana e ambrosiana – sono alloggiati nelle tende dotate di brandine montate nei giorni scorsi dall’esercito bosniaco, altri hanno trovato riparo in alloggi di fortuna”. A fornire il cibo, una volta al giorno, a queste persone è la Croce Rossa, ma le carenze sono tante: “Non ci sono i servizi igienici – continua – anche se nei giorni scorsi hanno cominciato a portare dei bagni chimici, fa molto freddo, nevica e nell’area manca l’acqua e l’elettricità”.
Gli aiuti internazionali e l’impegno di Caritas
E’ alla Croce Rossa locale che giungono gli aiuti che arrivano da tutta Europa e vengono poi distribuiti a Lipa. “Come Ipsia e Caritas – racconta Maraone – in partenariato con la Croce Rossa, ci occupiamo dell’approvvigionamento di legna che i migranti usano per riscaldarsi o cucinare, dell’abbigliamento invernale e tutto quanto possa servire per proteggersi dalle rigide temperature. L’idea però, visto che il campo è in evoluzione, è quella di pensare a progetti infrastrutturali grazie al grande aiuto che stiamo ricevendo dalla rete dei donatori che si è attivata in Italia”. Oltre all’aiuto materiale, l’impegno degli operatori è anche quello di incontrare, dare vicinanza e socializzare con quanti, soprattutto ragazzi, dopo aver affrontato un lungo viaggio dai loro Paesi di origine attraverso la rotta balcanica, si trovano ora in Bosnia e raccontano delle difficoltà incontrate, delle violenze e dei respingimenti subiti. “Quando li incontriamo – conclude la responsabile di Ipsìa e Caritas – sono loro a chiederci per primi come stiamo. Sono persone di coraggio e di straordinaria resilienza”. Intanto, ieri sono giunti i tre camion di aiuti della Croce Rossa con indumenti, coperte e acqua potabile sia per i migranti dell’altopiano di Lipa che per gli altri che si trovano in situazioni a rischio. “Nessuno dovrebbe vivere in queste condizioni estreme”, ha detto Francesco Rocca, presidente della Croce Rossa italiana e della Federazione internazionale delle società di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa. “I migranti – ha aggiunto Rocca – non devono essere abbandonati senza riparo al gelo. Questo è inaccettabile”.