L’incontro con la prima famiglia afghana rifugiata in Italia

Vatican News

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Dopo il periodo iniziale al Centro di prima accoglienza, sono arrivati, proprio in questi giorni, in una località italiana che non citiamo per motivi di sicurezza: sono gruppi familiari fatti evacuare dall’Afghanistan con ponti aerei dopo la presa del potere ad agosto scorso da parte dei talebani. Gli uomini hanno lavorato negli anni passati con l’Ambasciata italiana e rischiano per questo pesanti ritorsioni o la vita stessa. E’ stata destinata loro una casa dove potranno vivere autonomamente.

La prima accoglienza

Abbiamo incontrato una delle due famiglie al momento di lasciare  Casa del Sole, il centro di prima accoglienza in provincia di Brindisi dove sono stati portati a settembre e che si distingue  in quanto è il primo in Italia che a dicembre ha già completato l’iter per il riconoscimento dello status di rifugiati politici per afghani accolti dopo il rivolgimento politico di metà agosto. Inoltre, in tre mesi, la Casa del Sole è riuscito ad ospitare i nuclei familiari, riuscendo ad organizzare la scuola per le due ragazze di 7 e 13 anni e assicurando lezioni di italiano.

Racconti intensi e voglia di una “vita normale”

Il nonno, un uomo di 75 anni, ha accettato di raccontarci la sua storia scrivendo su un foglio di carta il suo nome e cognome, che non riportiamo per evidenti motivi di opportunità. Dei suoi cinque figli, quattro si trovano in Italia da alcuni anni, uno solo – quello che ha lavorato con l’Ambasciata italiana – lo ha seguito in questa operazione di evacuazione. Gli altri sono rimasti con la moglie e i loro bambini a Kabul. L’uomo che ci troviamo davanti è di statura bassa e cammina con qualche difficoltà. Dietro alle sue iniziali, G. A. H., c’è una storia di lavoro, dolore, speranza, c’è la “ricerca di una vita normale”. Ce ne parla nell’intervista realizzata con il sussidio di un interprete:

Ascolta l’intervista con il rifugiato politico afghano di cui riveliamo solo le iniziali G.A.H.

Ci racconta di un incidente stradale che dopo 42 anni gli ha impedito di continuare a lavorare per l’Ambasciata italiana, sottolineando che suo figlio e suo nipote hanno preso il suo posto nei dieci anni appena trascorsi. Oltre 50 anni in cui – afferma – ha sempre sognato di venire in Italia. Nelle sue parole c’è la gioia di essere “al sicuro in un Paese che rispetta i diritti della persona”, ma anche la tristezza di “sapere l’angoscia e la fame che assediano l’Afghanistan”. Esprime la sorpresa che lo ha colto al momento del ritorno al potere dei talebani, che – dice – non hanno il senso del valore della vita e – aggiunge – hanno trovato molti appoggi nel vicino Pakistan. Spiega di non aver immaginato un cambiamento così grave nel suo Paese. Chiarisce di essere musulmano e racconta che ci sono talebani che hanno studiato il Corano ma tanti che ne ignorano il messaggio vero e che non hanno problemi a tagliare la gola delle persone per nulla. L’Islam – sottolinea – è un’altra cosa. Ci racconta di aver avuto in passato amici cristiani ma di aver assistito piano piano alla sparizione della loro presenza tra la popolazione afghana. Dice che sa che il Papa è il capo della cristianità. Spiega che non sapeva invece che il Papa attuale si chiama Francesco ma aggiunge di essere venuto a sapere che ” si adopera molto per i migranti” e, dunque, le sue parole sono colme di ringraziamento”. 

In questi tre mesi di permanenza al Centro di prima accoglienza gli uomini del gruppo hanno accettato di seguire il corso di italiano che è stato organizzato. Le donne adulte, lo impareranno da loro, come è stato deciso in famiglia. Oltre alle bimbe, che si erano felicemente inserite nella scuola di Fasano e che con un velo di tristezza hanno salutato insegnanti e compagni di classe al momento del traferimento dalla Casa del sole alla destinazione assegnata, nel gruppo familiare ci sono la consorte di G.A.H. che ha circa 70 anni ed è invalida, e poi c’è Fatema, 23 anni e un marito sposato in giovanissima età. Nel centro di accoglienza ha scelto di dormire con le sorelle. Dopo essersi consultata con il padre e il nonno accetta di parlare con noi, ma ci chiede di non farle foto e solo parlando si scioglie in un dolcissimo sorriso:

Ascolta l’intervista con Fatema in lingua originale e traduzione

Fatema sa che le foto girano velocemente sui telefonini e su internet anche se – ci spiega – lei non ha e non ha mai avuto un telefono cellulare. Con una luce negli occhi, aggiunge che spera di averlo prestissimo, sottolineando però che il primo sogno è imparare l’italiano e trovare un lavoro. Ammette di non sapere chi sia Papa Francesco, poi  afferma che sa di non sapere tante cose. Pensando al suo futuro, dice che “in ogni caso” vuole che i suoi figli vivano in Italia. Al momento – confida – non desidera diventare mamma ma è sicura – spiega – che questo desiderio verrà e che vorrà per i suoi figli un Paese che rispetta i diritti di tutte le persone. Lo dice raccontando di aver seguito la scuola in Afghanistan per 13 anni e di essere molto addolorata per il fatto che ora con il nuovo governo le bambine potranno frequentare al massimo fino a sette anni di età. Guarda la finestra e ci dice di essersi sentita felice quando, appena arrivata in Italia, ha realizzato di poter uscire di casa da sola. Le facciamo presente che al centro di accoglienza poteva muoversi nell’ambito della struttura e del giardino al massimo, ma Fatema confermando ribadisce: “Infatti, mi sono sentita finalmente tanto libera di uscire dalla stanza e di muovermi in giardino”. Della nuova casa che le è stata assegnata, prima ancora di vederla, sottolinea con gioia che le permetterà di cucinare autonomamente, ammettendo con semplicità di non riuscire a gustare cibo italiano “così diverso” da quello speziato del suo Paese.  

L’avventura al femminile della Casa del Sole

A dirigere il Centro Casa del Sole dalla sua nascita nel 2016 è l’avvocato e imprenditore Stefania Baldassarre. È una struttura sorta sul terreno della Diocesi di Brindisi Ostuni, con una grotta mariana nel giardino. Negli anni – precisa Baldassarre – questo tipo di Centri hanno preso nomi e sigle diversi: da Siproimi a Sprar fino all’attuale sigla di Sai, acronimo di Sistema Accoglienza Integrazione. Giuridicamente è un centro di assistenza straordinaria. In realtà, alla Casa del Sole l’accoglienza non è fuori dell’ordinario nel senso di emergenziale, ma lo è per gli standard di integrazione, tanto da meritare a giugno 2019 un encomio da parte della Prefettura di Brindisi. L’allora viceprefetto, Maria Rita Coluccia, a seguito di ispezioni ordinarie per questo tipo di centri, aveva segnalato particolare cura nella gestione e un numero altissimo di persone ospitate in grado di trovare un lavoro una volta lasciato il Centro grazie alla formazione ricevuta alla Casa del Sole. Arrivando oggi nella struttura, si trova forte intesa operativa tra il Prefetto di Brindisi Carolina Bellantoni e l’equipe gestita da Baldassarre, formata da due assistenti sociali donne e da una mediatrice culturale. Occasionalmente presta servizio uno psicologo e vari interpreti. In sostanza, appare un esempio di cura al femminile.