Chiesa Cattolica – Italiana

L’impegno gratuito per far rinascere Haiti

Giancarlo La Vella – Città del Vaticano

Dalle parole accorate del Papa all’Angelus dal Policlinico Gemelli l’immagine di un Paese, haiti, ripetutamente colpito da crisi di varia natura. L’uccisione del presidente Moise è solo l’ultimo degli eventi destabilizzanti che si aggiunge al terremoto devastante di 11 anni fa e alla conseguente pandemia di colera ed ora il Covid. Questi ed altri fatti hanno ridotto il Paese allo stremo. Da oltre 35 anni lì opera la Fondazione Francesca Rava, impegnata in campo sanitario ed educativo. Ma la presidente, Maria Vittoria Rava, ricorda a Vatican News che Haiti ha tutti i numeri per rinascere.

Haiti, ancor ancor prima del terremoto, ha vissuto un’alternanza di momenti molto drammatici alternanza: dittatura, guerre civili, uragani, pandemie e altre catastrofi naturali. Ma la popolazione haitiana ha molta resilienza di fronte ad anni molto difficili. Noi della Fondazione Rava già lavoravamo ‘a testa bassa’, quando è giunta questa terribile notizia dell’omicidio del presidente Moise ad aggravare una situazione già difficilissima a causa della terza ondata di Covid-19. I nostri ospedali, Saint Damien e Saint Luc, che si trovano nella capitale Port Au-Prince, erano in affanno e quindi ci siamo allertati, perché quando in Italia, grazie alle mascherine e ai vaccini, incominciavamo a superare l’emergenza, ad Haiti invece cominciava a mancare l’ossigeno negli ospedali. Per cui abbiamo dovuto rispondere agli appelli che ci venivano dal personale medico haitiano, perché noi lì abbiamo solo personale locale. In questa situazione questa notizia dell’uccisione del presidente ha provocato una ferita grandissima e un vero dramma che lascia il Paese in una forte incertezza. Dal punto di vista economico si veniva da un periodo di grande inflazione, dato che la moneta locale aveva guadagnato molto sul dollaro americano e sulle altre valute internazionali. Ma questo ha messo in ginocchio tante persone che vivevano di rimesse. Quindi l’uccisione di Moise lascia ancora di più nell’incertezza il Paese.

In particolare di che cosa si occupa la Fondazione Francesca Rava ad Haiti?

Dal 1987 la Fondazione aiuta i bambini senza famiglia o con famiglie in difficoltà, i minori disabili con bisogni speciali nell’ospedale pediatrico Saint Damien, che è l’unico nosocomio pediatrico gratuito del Paese. Abbiamo 32 scuole di strada, così chiamate perché si trovano nelle zone più povere. Quindi ci occupiamo di educazione primaria, secondaria, superiore e professionale. Abbiamo un centro che insegna mestieri. Nel nostro ospedale lavorano oltre 300 persone haitiane. Poi nel nostro centro di ‘social business’ lavorano i ragazzi cresciuti nelle nostre scuole, nelle nostre case famiglia, che poi imparano un mestiere. Quindi localmente il nostro motto è ‘dare da lavorare agli haitiani e dare un futuro alle giovani generazioni’. Haiti è un Paese grande più o meno come la Lombardia, con circa 11 milioni e mezzo di abitanti, dei quali circa l’80% sono giovani. L’aspettativa di vita non supera i 40 anni, perché purtroppo la mortalità infantile è molto alta. Per questo negli anni abbiamo incominciato a formare medici locali in neonatologia, maternità patologica, malnutrizione. E purtroppo nel 2020 abbiamo dovuto aprire un reparto Covid, in concomitanza con l’esplosione globale della pandemia. Ha affrontato una prima ondata, poi adesso inaspettatamente c’è stata la terza ondata decisamente più grave. Purtroppo non sono ancora arrivati i vaccini e abbiamo lanciato molti appelli per poter iniziare la campagna vaccinale, che è fondamentale per proteggere le persone. Quindi, dicevo, che l’uccisione violenta del presidente lascia le persone spaventate. Adesso c’è un coprifuoco generale, per cui le strade sono molto vuote, non si può circolare e i nostri medici hanno dovuto fare doppi turni. quindi adesso stiamo cercando di organizzare nel chiamare medici e infermieri per sostituire quelli che ovviamente sono rimasti a lavorare. Ovviamente le persone hanno paura che la propria vita e per l’incertezza di che cosa succederà.

Non dimentichiamo che dopo il terremoto Haiti ha subito anche una pesante pandemia di colera. Ad oltre 10 anni da quegli eventi è opportuno che anche la comunità internazionale dia un apporto decisivo per far rinascere questo Paese e in che modo?

Ricordiamoci che le Nazioni Unite avevano inviato ad Haiti seimila caschi blu subito dopo il terremoto e questo purtroppo causò l’epidemia di colera. Ma comunque la loro funzione di peace keepers la hanno portata a termine. Quello che sicuramente serve è che la comunità internazionale agisca non solo quando ci sono queste notizie drammatiche. Haiti è un Paese che ha potenzialmente delle risorse incredibili. La popolazione in particolare possiede talenti incredibili: sanno fare tutto quello che noi sappiamo fare e che gli viene insegnato e hanno voglia di sedere allo stesso tavolo di tutti gli altri Paesi della comunità internazionale. Noi siamo una fondazione che lavora nel Paese da quasi 35 anni 1987 con personale locale non nella logica dell’assistenzialismo, ma con la logica di dare a queste persone di strumenti che loro servono. Noi abbiamo tantissimi ragazzi che poi si sono anche laureati cane, hanno imparato un mestiere. Ad esempio c’è un giovane che ha avuto una borsa di studio per andare a studiare ad Oxford e poi ha deciso di ritornare comunque ad Haiti ad aprire il suo social business per dare lavoro ai suoi fratelli che erano rimasti lì. Questo è solo uno degli esempi di quello che bisogna fare per il Paese, per le nuove generazioni dando loro gli strumenti per rialzarsi da sé. Mi piace ricordare la dottoressa Jaqueline Gautier, pediatra alla guida della direzione dell’ospedale Saint Damien. E’ una persona con un coraggio incredibile, così come il dottor Augustine, direttore dell’ospedale San Luc per famiglie.

 A causa del Covid hanno chiesto aiuto per l’acquisto di nuove strumentazioni per la terapia intensiva e per l’ossigeno, anche per essere indipendenti dall’inflazione dei prezzi e questo noi stiamo facendo. Da 20 letti abbiamo aumentato a 75 e stiamo aumentando ancora. Non sappiamo bene quello che abbiamo vissuto a causa del Covid, quanto sia pericolosa questa malattia, loro sono veramente ancor più disarmanti di noi, eppure stanno combattendo. Quindi in questo momento questo assassinio è stata un po’ la miccia che può far esplodere una situazione già veramente molto, molto difficile per questo Paese. Padre Richard Frechette, sacerdote passionista e medico, è la guida dei nostri progetti in Haiti. E’ la persona che da oltre 40 anni tutti i giorni della propria vita li ha dedicati a questo popolo, rischiando la sua stessa vita. E’ un sacerdote in prima linea che va dove ci sono le gang, come a Cité Soleil, uno dei quartieri più violenti di Port Au-Prince. Lui va a fare il medico laddove nessuno va. Lui dice che la nostra vita è nelle mani del Signore e per questo viene molto rispettato. Le persone lo amano perché sanno che lui è lì per la gente.

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