Michele Raviart – Città del Vaticano
I negozi di Tripoli sono stati riaperti, così come le scuole e l’aeroporto della città, l’unico funzionante nel Paese, ma gli edifici distrutti e le automobili bruciate restano a testimoniare quello che è avvenuto ieri nella capitale. Scontri tra milizie armate che hanno causato la morte di 32 persone e 159 feriti, tra cui molti civili. Colpiti anche sei ospedali, in quello che è stato uno dei momenti più difficili per la capitale dal tentativo del generale Haftar di prendere la città nel giugno 2020.
Le rivalità tra i due governi
Sullo sfondo degli scontri, infatti, c’è la rivalità tra i due governi, quello presieduto da Abdel Dbeibah a Tripoli, riconosciuto dalla comunità internazionale, e quello di Fathi Bashaga a Tobruk, che da marzo scorso guida l’esecutivo che fa riferimento ai territori controllati dallo stesso generale Haftar, uomo forte a Misurata e nell’est del Paese. Entrambi i leader hanno negato la responsabilità degli scontri, con Dbeibah che ha accusato i rivali di essere “golpisti” che rispondono a potenze straniere, mentre Bashaga ha sottolineato la sua “rinuncia costante alle violenza”, accusando Dbeibah di sostenere gruppi armati per rafforzare il suo potere. “Sta succedendo che questioni irrisolte ormai da lungo tempo, almeno dal febbraio-marzo scorso quando Bashaga è stato nominato dal parlamento di Tobruk come il legittimo primo ministro – anche se in Libia di legittimo c’è ormai poco – ha cercato di entrare a Tripoli per prendere il potere”, spiega Arturo Varvelli, direttore dell’European Council on Foreign relations (Ecfr) di Roma ed esperto di Libia, “era già accaduto diverse volte ed è andata male perché ha trovato l’opposizione di alcune milizie della capitale che si sono coalizzate con il governo di Dbeibah”.
L’opportunismo delle milizie locali
Tra le milizie che si sono scontrate a Tripoli anche la forza Al-Radaa (dissuasione), in genere neutrale ma che ha deciso di sostenere Dbeibah. “Sono milizie di diversa provenienza, che si affrontano e combattono da diversi anni ormai e che con una rapidità eccezionale cambiano casacca”, spiega ancora Varvelli, “e questo rende altamente imprevedibile ciò che può avvenire in Libia. Non sono milizie ideologiche, ma seguono l’opportunismo”. “A questo punto”, continua, “è veramente difficile capire come possa essere risolta la situazione in Libia se non resettando il sistema, non solo politicamente, ma anche militarmente. E nessuno ha intenzione di intervenire, come Nazioni Unite, Nato, Stati Uniti e Europa e la Libia è abbandonata a sè stessa”.
Appello dell’Onu al dialogo
A Bashaga, in queste ore, la procura militare di Tripoli ha inviato un mandato d’arresto, così come a tutti i militari e civili in quello che è stato definito l’”attentato di Tripoli”, mentre le Nazioni Unite hanno esortato i partiti libici a intraprendere “un vero dialogo per sciogliere l’impasse politica e non ricorrere all’uso della forza per risolvere le controversie”. Il governo di Dbeibah, incaricato dall’Onu di organizzare le elezioni per lo scorso dicembre, ha fallito nel tentativo, anche a causa delle resistenze dei rivali di Tobruk, deciso a non perdere il controllo sull’est del Paese. “In questo momento la comunità internazionale è presa da altre faccende”, come la guerra in Ucraina, sottolinea Varvelli. “Gli europei e le altre potenze hanno un po’ disinvestito sulla Libia perché hanno visto che non c’è nessun tornaconto, ma un fattore importante potrebbe essere l’intervento russo. Più ci sarà un impegno russo per cercare di mobilitare il Paese e creare caos, più questa mobilitazione russa potrà essere usata dai Paesi occidentali come un’arma per ricomporre il quadro interno”.