Michele Raviart – Città del Vaticano
Sarà Abdul Hamid Dbeibah, 62 anni e imprenditore edile di Misurata, il nuovo primo ministro del governo di transizione della Libia. Il nuovo esecutivo, scelto dal Forum di dialogo politico per la Libia sponsorizzato dall’Onu, dovrà traghettare il Paese alle elezioni il prossimo 24 dicembre dopo sei anni di guerra. Una scelta a sorpresa, quella dei 75 delegati del Forum di dialogo politico per la Libia riuniti a Ginevra, che dovrà unire le varie anime del Paese in guerra e divisi tra il governo di Tripoli, di Tobruk e varie milizie locali. Abdul Hamid Dbeibah, un uomo di Misurata, considerato equidistante da Russia e Turchia, e il capo del Consiglio presidenziale Mohammed Younes Menfi, diplomatico di Tobruk ed ex-ambasciatore del governo di accordo nazionale vicino al generale Haftar, hanno battuto la concorrenza dell’ex-ministro degli interni del governo di Al-Serraj e del capo delle milizie di misurata.
Avranno ora 21 giorni per formare un nuovo governo e portare la Libia ad elezioni, secondo la road map dei negoziati di novembre. Un programma che non sarà facile da attuare vista anche la presenza di 20 mila mercenari stranieri sul terreno. Un“momento storico” lo ha definito il rappresentante dell’onu Stephanie Williams, mentre il segretario generale delle Nazioni Unite Gueterres parla di “grande successo”. Esultano anche i governi di Germania, Francia, Italia, Regno Unito e Stati Uniti, anche se avvertono che la strada per la pacificazione sarà ancora lunga. Ne abbiamo parlato con Arturo Varvelli direttore dell’European council on foreign relations (Ecfr) di Roma ed esperto di Libia:
R. – Certamente è sempre positivo aver trovato un accordo, ed è positivo che il presidente non sia stato coinvolto direttamente nel fronte Haftar e Saleh, cioè la parte della Cirenaca che ha mosso guerra a Tripoli e quindi è una figura politica nuova. Inoltre è positivo che l’Onu sia riuscito a tornare in sella in una mediazione faticosa e lunga.
Il ticket eletto Menfi-Dbeibah, non era quello dato per favorito. Chi sono e perchè non si è affermato quello caldeggiato dalla comunità internazionale del presidente della Camera dei rappresentanti di Tobruk Aquila Saleh ed il ministro dell’Interno misuratino Fathi Bashagha?
R. – Quello che deduciamo è che quando si sono ritirati alcuni dei ticket più importanti, i delegati non abbiano votato per i principali ma abbiano formato con un veto congiunto, una sorta di coalizione anti Saleh e Bashagha, e ne sono emersi nomi meno noti. Ora per loro la difficoltà è acquisire la leadership in una situazione complessa come quella libica, e sapere come reagiranno gli esclusi – se solo politicamente o anche militarmente – e bisognerà vedere infine se il parlamento di Tobruk, presieduto dall’escluso Saleh, voterà a favore. I dubbi sono dunque forti.
Quali sono le forze che si sentono più rappresentate da questo accordo? Chi sono gli esclusi? E qual è la situazione sul terreno?
R. – Diciamo che i turchi, Misurata e le forze che si rifanno, in un certo senso, ad un isalm più politico, dovrebbero sentirsi rappresentati da questo nuovo accordo, mentre dall’altra parte l’esclusione di Saleh e dei rappresentanti di Hatftar fa mettere in dubbio che possano accettare una situazione così. Ma è anche vero che il clima internazionale è cambiato, perchè la presidenza Biden sta imprimento al contesto già un andamento diverso dal passato. Ad esempio la settimana scorsa c’è stato il primo formale richiamo degli americani a tutte le potenze che in qualche modo ostacolano la pacificazione della Libia tra cui, sono state citate, Turchia, Russia e Emirati arabi uniti. Da qui in poi comunque il nuovo governo dovrebbe rimanere in carica fino al 24 dicembre e ciò potrebbe consentire a tutti gli attori primari di competere alle elezioni e questo potrebbe anche essere un dato positivo.