Federico Piana – Città del Vaticano
Una crisi politica che rimane estremamente grave, un tessuto sociale lacerato e diviso, una situazione economica drammatica, la peggiore dal 1975, anno in cui iniziò la dolorosa guerra civile che terminò, disastrosamente, nel 1990: il Libano è ancora un Paese debole, con una stabilità precaria, che potrebbe esplodere in mille pezzi, col rischio di innescare nuove tensioni militari regionali. A complicare la situazione, c’è l’emergenza sanitaria provocata dalla pandemia: le associazioni dei medici hanno fatto sapere che i contagi aumentano senza più controllo e le terapie intensive sono ormai al collasso. Potenzialmente, una catastrofe. “Il Libano, però, non perde la speranza” spiega, con voce serena, padre Jad Chlouk, parroco della cattedrale maronita di San Giorgio a Beirut.
La speranza arriva anche dal fatto che proprio Beirut si sta riprendendo dalla fortissima esplosione al porto che, lo scorso 4 agosto provocò, secondo i bilanci più aggiornati, 200 morti e 7 mila feriti?
R. – Beirut è in lenta ripresa con la ricostruzione, però non come era previsto. In tanti hanno promesso di sostenerci inviando delle sovvenzioni, ma non tutti hanno mantenuto l’impegno. Molte organizzazioni non governative hanno realizzato delle foto per testimoniare la nostra sofferenza e poi non è accaduto nulla. La nostra Chiesa sta facendo di tutto per aiutare la gente, per starle vicino: perché il nostro obiettivo principale è quello di ricostruire prima la Chiesa viva e poi quella fatta di pietre.
Ora a preoccupare di più è anche la lunga crisi politica nella quale il Paese sembra paralizzato?
R. – E’ molto grave, per questo Papa Francesco, nel suo recente messaggio di Natale indirizzato ai libanesi, ha chiesto ai capi politici e religiosi di assumersi le proprie responsabilità. Il Papa ha anche esortato la comunità internazionale ad evitare di coinvolgere il Libano nelle tensioni e nei conflitti regionali.
L’interesse del Papa genera fiducia nel futuro?
R. – La lettera di Natale del Santo Padre ci ha donato una nuova speranza, ci ha incoraggiato a lottare, nonostante tutto.
Qual è la strada per la rinascita del Libano, secondo lei?
R. – L’ha indicata anche il Papa: dobbiamo cercare di stare accanto agli altri, di vivere in pace, testimoniando Gesù Cristo e la fratellanza. Senza spaventarci delle situazioni difficili: del resto, in questa parte del Medioriente, ci sono sempre state guerre e persecuzioni.
C’è un capitolo doloroso, quello legato ai giovani. Molti di loro sono fuggiti dal Paese andando a caccia di una vita migliore, forse altri li seguiranno nei prossimi anni. E’ davvero così?
R. – I giovani, soprattutto quelli più colti, stanno tentando di trovare un altro Paese dove vivere in pace. Noi stiamo cercando, invece, di dimostrargli che, alla fine, queste crisi passeranno. Ma non è facile, in loro c’è davvero tanto scoraggiamento.