Andrea De Angelis – Città del Vaticano
Un volume pari a circa 75 miliardi di metri cubi per una superficie che si avvicina ai 2mila chilometri quadrati. Sono questi i numeri del bacino idrico del più grande impianto idroelettrico mai costruito in Africa, la Grand Ethiopian Renaissance Dam (Gerd), la diga voluta da Addis Abeba per la produzione di energia elettrica. I lavori, iniziati nel 2011, hanno visto l’inaugurazione dopo oltre dieci anni, nel febbraio 2022. Sei mesi dopo, giovedì 11 agosto, l’Etiopia ha annunciato l’entrata in funzione della seconda turbina della diga.
Una rivoluzione energetica
Secondo Addis Abeba, una volta ultimata, la Gerd porterà alla nascita di un vero e proprio polo energetico per la regione, permettendo al Paese di generare ed esportare energia pulita e rinnovabile, evitando l’emissione di oltre 2 milioni di tonnellate di CO2 ogni anno. Il premier etiope Abiy Ahmed, che aveva avviato la prima turbina della Gerd spiegando che l’impianto supporterà il Paese nel suo percorso di sviluppo economico e di avvicinamento all’obiettivo sostenibile di diventare carbon neutral entro il 2025, ha ribadito in queste ore che il progetto permette al Paese di dare un nuovo impulso all’economia, senza danneggiare gli Stati vicini. Il riferimento è, come noto, ad Egitto e Sudan.
Le critiche
L’Etiopia, inoltre, ha annunciato il completamento con successo del terzo riempimento della Gerd, come ha dichiarato l’ufficio del primo ministro su Twitter, aggiungendo che Addis Abeba sta lavorando “per garantire i benefici dei Paesi del bacino inferiore”. Il processo, volto a completare il terzo riempimento, aveva portato l’Egitto a protestare, il mese scorso, al Consiglio di sicurezza dell’Onu. Si tratta dell’ennesima rimostranza verso la Gerd, con Il Cairo che ritiene che il riempimento e il funzionamento possa ridurre il suo approvvigionamento di acqua del Nilo, mentre Khartoum teme l’impatto della diga sui flussi di acqua verso le proprie dighe. I due Paesi hanno chiesto un accordo vincolante ad Addis Abeba su riempimento e funzionamento della diga. “Noi intendiamo solo generare energia e cambiare le condizioni di vita del nostro popolo; abbiamo fatto grande attenzione a non arrecare danno ai nostri fratelli e sorelle a valle, dove non si è verificata carenza d’acqua”, è la replica del premier etiope Abiy Ahmed.
Un progetto importante
Per l’Etiopia la diga è fondamentale da un punto di vista dello sviluppo energetico, della produzione economica, ma anche in un contesto internazionale. Lo afferma Giuseppe Dentice, responsabile del Desk MENA – Medio Oriente e Nord Africa – del Centro Studi Internazionali (CeSI), sottolineando come la turbina accesa in queste ore sia la seconda di tredici totali. “In questo modo – spiega – l’Etiopia dovrebbe riuscire a soddisfare i bisogni interni di energia, per quanto riguarda i consumi di cento milioni di abitanti”. Tutto questo in un contesto a dir poco difficile, a causa “della pandemia, della guerra in Ucraina e, ovviamente, del conflitto nel Tigray”.
Perché Egitto e Sudan sono contrari? Secondo l’esperto dell’area, i timori di Egitto e Sudan sono legati al fatto che dipendono totalmente dal punto di vista idrico dal Nilo. Se il progetto venisse portato a termine, la disponibilità per Khartoum e Il Cairo “potrebbe essere notevolmente ridotta”. Dentice ricorda poi come in base a due Trattati dello scorso secolo, ad Egitto e Sudan spettino “circa il 75% delle acque del bacino del Nilo, mentre il restante quarto dovrebbe essere suddiviso tra Etiopia e gli altri otto Paesi del bacino”. Di conseguenza una minore disponibilità è un problema notevole “sia per il Sudan, dove vi è in corso una transizione legata al post Bashir, che per l’Egitto alle prese con un importante crisi alimentare”.