Debora Donnini – Città del Vaticano
La stella si ferma a Betlemme sopra il luogo dove si trova un piccolo bambino. Di fronte a Lui i Magi giunti dall’Oriente si prostrano e lo adorano. È questa la scena centrale che il Vangelo presenta nella Solennità dell’Epifania. Una scena preceduta da diversi fatti che coinvolgono anche Erode, gli scribi e i capi dei sacerdoti. La Chiesa infatti ricorda in questa festa la manifestazione di Gesù al mondo, ricorda che “quel Bambino, nato a Betlemme dalla Vergine Maria, è venuto non soltanto per il popolo d’Israele, rappresentato dai pastori di Betlemme, ma anche per l’intera umanità, rappresentata oggi dai Magi, provenienti dall’Oriente”. Lo sottolineò nell’omelia della Messa per l’Epifania del 2015 Papa Francesco che via via, negli anni, si è soffermato su diversi aspetti importanti per la fede di questa solennità che di fatto porta a allargare lo sguardo “all’orizzonte del mondo intero per celebrare la ‘manifestazione’ del Signore a tutti i popoli, cioè la manifestazione dell’amore e della salvezza universale di Dio”, ricordò, sempre nel 2015, all’Angelus del 6 gennaio.
Per la Chiesa essere missionaria è esprimere la sua natura
Un’importanza che, prima di tutto, per i cristiani rimanda al senso della missione, ha rimarcato Francesco nella Lettera apostolica Admirabile signum del 2019 sul significato e il valore del presepe, sottolineando come appunto vi si collochino le tre statuine dei Re Magi che portano oro, incenso e mirra, in dono. “Guardando questa scena nel presepe – scriveva – siamo chiamati a riflettere sulla responsabilità che ogni cristiano ha di essere evangelizzatore. Ognuno di noi si fa portatore della Bella Notizia presso quanti incontra, testimoniando la gioia di aver incontrato Gesù e il suo amore con concrete azioni di misericordia”. I Re Magi, quindi, proseguiva, “certamente, tornati nel loro Paese, avranno raccontato questo incontro sorprendente con il Messia, inaugurando il viaggio del Vangelo tra le genti”.
Un tema, questo, che il Papa aveva sottolineato con decisione anche alla Messa per l’Epifania del 2016 affermando che l’annuncio del Vangelo non è una scelta fra le tante che si possono fare e neppure una professione.
Per la Chiesa, essere missionaria non significa fare proselitismo; per la Chiesa, essere missionaria equivale ad esprimere la sua stessa natura: essere illuminata da Dio e riflettere la sua luce. Questo è il suo servizio. Non c’è un’altra strada. La missione è la sua vocazione: far risplendere la luce di Cristo è il suo servizio. Quante persone attendono da noi questo impegno missionario, perché hanno bisogno di Cristo, hanno bisogno di conoscere il volto del Padre.
Custodire la fede con santa furbizia
Sin dalla sua prima omelia della Messa celebrata in questa Solennità nel 2014, Papa Francesco sottolineava proprio come i Re Magi abbiano saputo custodire la fede. “Come saggi compagni di strada” insegnano a non accontentarsi di una vita di “piccolo cabotaggio” ma a alzare lo sguardo verso la stella e seguire i grandi desideri del “nostro cuore”. Con quella “santa furbizia” che seppero usare “quando, sulla via del ritorno, decisero di non passare dal palazzo tenebroso di Erode, ma di percorrere un’altra strada”.
In questo tempo è tanto importante questo: custodire la fede. Bisogna andare oltre, oltre il buio, oltre il fascino delle Sirene, oltre la mondanità, oltre tante modernità che oggi ci sono, andare verso Betlemme, là dove, nella semplicità di una casa di periferia, tra una mamma e un papà pieni d’amore e di fede, risplende il Sole sorto dall’alto, il Re dell’universo. Sull’esempio dei Magi, con le nostre piccole luci, cerchiamo la Luce e custodiamo la fede.
Scoprire che il potere di Dio si chiama misericordia
Torna, infatti, spesso, nelle omelie per l’Epifania il tema della luce, a partire dalla stella che i Magi seguono nel loro lungo cammino la cui meta finale è un piccolo bimbo. A muoverli la “nostalgia di Dio”, evidenziò Papa Francesco alla Messa del 6 gennaio del 2017, fino all’audacia più grande, quella di scoprire “un Dio che vuole essere amato, e ciò è possibile solamente sotto il segno della libertà e non della tirannia; scoprire che lo sguardo di questo Re sconosciuto – ma desiderato – non umilia, non schiavizza, non imprigiona. Scoprire che lo sguardo di Dio rialza, perdona, guarisce. Scoprire che Dio ha voluto nascere là dove non lo aspettavamo, dove forse non lo vogliamo. O dove tante volte lo neghiamo. Scoprire che nello sguardo di Dio c’è posto per i feriti, gli affaticati, i maltrattati, gli abbandonati: che la sua forza e il suo potere si chiama misericordia”. Dall’altra parte c’è la figura di Erode che “non può adorare” perché “non ha voluto smettere di rendere culto a sé stesso credendo che tutto cominciava e finiva con lui”.
Indifferenza, paura o ricerca premurosa
E se alla Messa del 2018 mise in evidenza come nella vita odierna si ceda più facilmente al bagliore delle cose futili, inseguendo “il successo, il denaro, la carriera, gli onori, i piaceri” – “meteore” che “brillano per un po’, ma si schiantano presto” – mentre “la stella del Signore” “non è sempre folgorante, ma sempre presente” e accompagna, all’Angelus di quell’anno, sempre nella Solennità dell’Epifania, esortò, in qualche modo, a scegliere quale atteggiamento avere verso Gesù: se la ricerca premurosa dei Magi, l’indifferenza dei sommi sacerdoti, degli scribi di quelli che conoscevano la teologia, o la paura di Erode.
L’egoismo può indurre a considerare la venuta di Gesù nella propria vita come una minaccia. Allora si cerca di sopprimere o di far tacere il messaggio di Gesù. Quando si seguono le ambizioni umane, le prospettive più comode, le inclinazioni del male, Gesù viene avvertito come un ostacolo. D’altra parte, è sempre presente anche la tentazione dell’indifferenza. Pur sapendo che Gesù è il Salvatore – nostro, di noi tutti -, si preferisce vivere come se non lo fosse: invece di comportarsi in coerenza alla propria fede cristiana, si seguono i principi del mondo, che inducono a soddisfare le inclinazioni alla prepotenza, alla sete di potere, alle ricchezze.
Oro, incenso e mirra
“Per trovare Gesù c’è da prendere una via alternativa, la sua, la via dell’amore umile”, aveva poi detto Papa Francesco all’omelia della Messa celebrata nella Basilica Vaticana nel 2019 per la Solennità dell’Epifania, soffermandosi anche sul significato dei tre doni portati dai Magi. L’oro, ritenuto l’elemento più prezioso, ricorda che a Dio va dato il primo posto, che “va adorato”. Ma che per farlo bisogna sentirsi non autosufficienti. E, quindi, l’incenso che simboleggia proprio la relazione con il Signore, la preghiera ma, spiegava il Papa, come l’incenso per profumare deve bruciare, così per la preghiera occorre “bruciare” un po’ di tempo, spenderlo per il Signore.
E farlo davvero, non solo a parole. A proposito di fatti, ecco la mirra, unguento che verrà utilizzato per avvolgere con amore il corpo di Gesù deposto dalla croce. Il Signore gradisce che ci prendiamo cura dei corpi provati dalla sofferenza, della sua carne più debole, di chi è rimasto indietro, di chi può solo ricevere senza dare nulla di materiale in cambio. È preziosa agli occhi di Dio la misericordia verso chi non ha da restituire, la gratuità! È preziosa agli occhi di Dio la gratuità. In questo tempo di Natale che volge al termine, non perdiamo l’occasione per fare un bel regalo al nostro Re, venuto per tutti non sui palcoscenici fastosi del mondo, ma nella povertà luminosa di Betlemme. Se lo faremo, la sua luce risplenderà su di noi.
Adorare per amare
Il senso dell’adorazione che compiono i Magi è, poi, al centro dell’omelia dello scorso anno quando sviscerò cosa significhi concretamente questa azione, legata all’umiltà, al rendimento di grazie, alla guarigione che il Signore compie dentro di noi:
Adorare è andare all’essenziale: è la via per disintossicarsi da tante cose inutili, da dipendenze che anestetizzano il cuore e intontiscono la mente. Adorando, infatti, si impara a rifiutare quello che non va adorato: il dio denaro, il dio consumo, il dio piacere, il dio successo, il nostro io eretto a dio. Adorare è farsi piccoli al cospetto dell’Altissimo, per scoprire davanti a Lui che la grandezza della vita non consiste nell’avere, ma nell’amare. Adorare è riscoprirci fratelli e sorelle davanti al mistero dell’amore che supera ogni distanza: è attingere il bene alla sorgente, è trovare nel Dio vicino il coraggio di avvicinare gli altri. Adorare è saper tacere davanti al Verbo divino, per imparare a dire parole che non feriscono, ma consolano.
Un’esperienza che risana
Ma anche il lungo cammino dei Magi per giungere a Betlemme e la via da prendere al ritorno sono elementi che il Papa tocca nelle sue riflessioni in occasione dell’Epifania e proprio nel 2020, all’Angelus, mise in luce come questo loro rimettersi in cammino avviene dopo un incontro che li ha cambiati profondamente:
L’esperienza di Dio non ci blocca, ma ci libera; non ci imprigiona, ma ci rimette in cammino, ci riconsegna ai luoghi consueti della nostra esistenza. I luoghi sono e saranno gli stessi, ma noi, dopo l’incontro con Gesù, non siamo quelli di prima. L’incontro con Gesù ci cambia, ci trasforma. L’evangelista Matteo sottolinea che i Magi fecero ritorno «per un’altra strada». Essi sono condotti a cambiare strada dall’avvertimento dell’angelo, per non imbattersi in Erode e nelle sue trame di potere. Ogni esperienza di incontro con Gesù ci induce ad intraprendere vie diverse, perché da Lui proviene una forza buona che risana il cuore e ci distacca dal male.
La ripartenza per vie diverse, all’inizio dell’anno, viene dunque da quell’Incontro.