Le voci commosse dei poveri, che condividono con Francesco fede, gioia e dolori

Vatican News

Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano 

L’incontro di preghiera di Papa Francesco con i poveri alla Porziuncola è come un ponte di accoglienza lungo più di 800 anni che collega quello che il Poverello testimoniava insieme ai primi frati e a Chiara, e la fede e i drammi dei poveri di oggi accanto al Pontefice. E nel gesto dei tre poveri che consegnano al Papa il mantello sul sagrato della Basilica di Santa Maria degli Angeli, è come se ci fosse davvero il giovane Francesco che non ha ancora abbracciato la croce e iniziato a riparare la Chiesa di Cristo.

Il mantello che San Francesco dona al nobile decaduto

Nel 1204, il figlio di Pietro di Bernardone è un giovane inquieto, vanitoso e ben vestito, ma anche sensibile e generoso, come racconta san Bonaventura e, incontrando un nobile decaduto, lo commisera “con affettuosa pietà”. Si spoglia del bel vestito appena comprato per sè con i soldi del padre commerciante e lo dà al cavaliere.

Con Jennifer, Luciano e Abrhaley il primo abbraccio

Il giovane Francesco riappare in Jennifer Amadin dell’associazione Magdalena – legata a Fratello il movimento francese che ha fortemente voluto questo incontro – che dopo il dono del mantello legge al Papa un saluto, scritto su un foglio, come fa anche Luciano, rumeno che vive a Roma, aiutato dalla Caritas, che invece lo ha digitato su un cellulare. Il terzo è Abrhaley Tesfagergs Habte. E’ un profugo eritreo non vedente che offre a Francesco il bastone del pellegrino e gli stringe la mano. Il Papa prega con lui e ascolta la sua storia che viene dal cuore.

Florence, Thibault e Celeste: in missione con gli ultimi

Dopo la preghiera silenziosa del Pontefice nella Porziuncola si susseguono le testimonianze dei poveri e di chi condivide la propria vita con loro. Come Florence e Thibault Jarry, con la piccola Celeste, che non ha ancora 4 mesi. E’ una giovane coppia missionaria tra gli ultimi della periferia di Parigi. Lei racconta di aver conosciuto Thibault sei anni fa in Cile, dove entrambi, per conto proprio, erano andati in missione con Misericordia, l’associazione fondata dalla coppia franco-brasiliana Roman e Renate de Chateauvieux e frutto delle parole di Papa Francesco all’Angelus del 17 marzo 2013: “La misericordia cambia il mondo, lo rende più giusto e meno freddo”. Poi parla Thibault, e racconta come dopo l’anno di missione, tornati in Francia, si siano affidati al Signore, per vivere una vita semplice, e abbiano chiesto di essere inviati come coppia missionaria. “Non è sempre facile – confida – lasciarsi andare a quello che Dio ha preparato per noi. Testimoniamo la gioia di condividere il quotidiano dei nostri vicini di quartiere, ferito da una grande povertà materiale, ma anche spirituale e delle relazioni. E’ il Signore che ci attende attraverso i poveri”.

Sebastian: dalla violenza e la droga, risorto con Cristo

Nella grande Basilica risuona anche la voce commossa di Sebastian del Valle Diaz, di Toledo, che ricorda la nonna che gli ha trasmesso la fede e l’amore per il rosario, ma anche l’addestramento militare che lo ha trasformato in un ragazzo violento, finito nel giro dello spaccio di droga. Poi la prigione e, dopo altre ricadute, la conversione durante la pandemia, che lo ha portato all’esperienza di sapere che Dio si prende cura di ciascuno. “Oggi – conclude – sono mendicante dell’amore e della misericordia di Dio. Gesù Cristo mi ha resuscitato!”

Gabriel, battezzato a 60 anni: “Ora cerco la santità”

Il coro dell’Associazione Fratello, 13 tra cantori e musicisti, intona il canone di Taizé “Bless the lord, my soul” mentre prende la parola l’ex senzatetto parigino Gabriel Barbier, dell’Apa, Association pour l’Amitié. A 60 anni, lui che proviene da una famiglia atea, si è battezzato. “Noi poveri in spirito – dice – possiamo trovare la nostra forza in Cristo, è Lui la nostra più grande ricchezza. A volte ci vediamo ridicolizzati dal mondo, ma io sono un combattivo. Ho conosciuto la disperazione in un mondo sempre più impietoso, però ho trovato l’amore di Dio”. Con il battesimo, assicura, “Gesù mi ha trasformato, fino a farmi desiderare la santità. La mia paura è di non riuscire ad invocare Dio nelle tentazioni”. E conclude con una preghiera: “Maria, dammi la grazia di pensare sempre a te e di invocarti. ‘Vieni in mio soccorso’ ”.

Dalla Polonia Sebastian: “Dio mi ha dato una vita nuova”

Parla in polacco Sebastian Olczak, 37 anni. Fino a 16 anni ha vissuto una vita normale, in una famiglia cattolica, poi ha provato droga e alcool, “ho avuto problemi con la legge, e perso il rispetto per me e per gli altri”. Dal 2007 era un senzatetto, poi l’associazione Opera di aiuto di S. Pio lo ha avvicinato, ma ci ha messo del tempo per affidarsi a loro e a Dio. “Alla fine  – confida – ho ammesso che da solo non ce la faccio, e ho supplicato Dio di darmi una vita nuova. E Dio non mi ha voltato le spalle, mi ha fatto vedere una vita facile ma non necessariamente felice. La grazia di Dio è oggi la mia esperienza quotidiana”. “Prima mi odiavo – conclude – e adesso mi accetto e mi sento un uomo libero, che guarda sé stesso e gli altri attraverso l’amore di Dio. Sono consapevole che mi aspetta ancora un grande lavoro su me stesso”.

Farzaneh, voce del dolore e l’orgoglio delle donne afgane 

Nelle parole di Farzaneh Razavi, accolta a Foligno dalla Caritas e dall’Arca del Mediterraneo, c’è invece la sofferenza di tutte le donne afgane, schiacciate da “una società patriarcale e misogina, che ha bloccato “sogni e aspirazioni”. E’ arrivata in Italia in agosto dopo il ritorno dei talebani al potere, “per alzarmi in piedi con fermezza e procedere a passi in avanti”, ma col cuore è ancora “con le ragazze del dormitorio dell’università di Kabul che in questi giorni non possono andare all’università, comprare il pane, andare dal fornaio e divertirsi”. Farzaneh dice al Papa di essere preoccupata per la sua famiglia rimasta in Afghanistan, e spiega che la sua vita lì era in pericolo, anche perché figlia di hazari musulmani sciiti, e quindi perseguitata due volte. Ringrazia la Chiesa italiana per averla aiutata e salvato la sua vita e quella di tanti altri come lei, e dice di aver iniziato qui una nuova vita, cercando di essere utile “per me, la mia famiglia e l’Italia”. Guardando infine alla povertà e alla fame, che “tolgono la vita a milioni di persone” la giovane si augura “che il mondo adotti un approccio globale per risolvere questo problema e non lasci solo il popolo afgano”.

Abdul e l’appello per salvare anche i figli rimasti a Kabul

Dopo di lei un altro afgano, Qadery Abdul Razaq, a Foligno con la moglie Salima, spiega di essere stato salvato dal governo italiano, dopo aver lavorato per 11 anni a Kabul per l’Unicef come sociologo. Abdul ringrazia anche la Caritas locale “per l’accoglienza, per la casa e per tutto quello di cui abbiamo bisogno” e i giovani operatori “che ci trattano come loro genitori e noi come figli”, ma si dice molto preoccupato “per una parte della nostra famiglia rimasta in Afghanistan”. Tra le lacrime ricorda i quattro figli rimasti nel suo Paese “che hanno collaborato per anni con l’esercito italiano, un altro è stato ucciso dai talebani e uno ancora è rifugiato in Turchia e vorremmo il Vostro aiuto per salvare anche loro”.

Il dolore di Mariana, aggrappata ai figli cresciuti con amore 

Dalla Romania infine, viene Mariana, 43 anni, arrivata in Italia 15 anni fa, oggi in sedia a rotelle accompagnata dai figli di 24 e 22 anni. Racconta, pur tra dolori fortissimi, di essere venuta in Italia per fare la badante, lasciando 2 figli col marito. Alla sua morte li ha portati con sé in Italia, ma 11 anni fa è arrivata la malattia, una “sindrome dolorosa devastante alla colonna lombare e alle gambe, che ha sconvolto la mia vita familiare e lavorativa”. L’intervento chirurgico ha peggiorato la situazione, e Mariana oggi è invalida. La provvidenza per lei e i suoi ragazzi è stata la Caritas, il cui aiuto le ha permesso di tirare avanti in modo dignitoso e alcuni dottori  – spiega – “che Dio mia ha messo sulla strada” e che la curano gratis. Ma Dio le ha dato la forza di crescere due bravi ragazzi “che oggi fanno di tutto per me, la badante, la domestica la cuoca, mi fanno il bagno. La forza di seguire questo calvario la trovo in Gesù, soffro da 11 anni, la salute non l’ho recuperata, ma sopporto questi dolori con una dose di morfina “da cavallo”, che mi leva solo il 20 per cento del dolore. Grazie a don Edoardo che non mi ha mai abbandonato, e soprattutto grazie a Dio per la forza che ancora mi da’”.

Cinquecento poveri, tante storie da tutto il  mondo

I cinquecento poveri protagonisti dell’incontro con Papa Francesco, di più, per ragioni di sicurezza sanitaria, non era possibile, sono legati alle Caritas dell’Umbria e all’associazione francese Fratello, e quelli provenienti da Roma all’Elemosineria Apostolica, Caritas, Circolo S. Pietro, Comunità di Sant’Egidio, Coordinamento Regionale Famiglia Vincenziana, Centro Astalli, Acli.