Francesca Sabatinelli – Città del Vaticano
Cesare Finzi era un ragazzino quando nel settembre del 1938 scoprì dal giornale comperato dal papà che non sarebbe più potuto andare a scuola e che non avrebbe più potuto giocare a pallone con gli amichetti al parco Massari di Ferrara. Ed era un ragazzino quando scoprì il significato della fuga, con la sua famiglia, 10 persone in tutto, scampate ai rastrellamenti e quindi ai campi di sterminio grazie a italiani, tra loro la famiglia Muratori di Ravenna e quella di Guido Morganti di Cattolica, che li protessero, compreso un intero paese, quello di Mondaino, in provincia di Rimini, dove vissero nascosti fino alla liberazione. E’ una delle storie al centro della mostra “I Giusti in Emilia-Romagna, piccole grandi storie di salvatori e salvati” che apre al pubblico domenica 23 gennaio, al Museo Ebraico di Bologna, una delle tante iniziative in occasione del Giorno della Memoria il 27 gennaio, che si protrarranno fino a metà febbraio e che comprendono presentazione di libri e altri eventi con al centro il tema della memoria, della lotta antifascista e antinazista, così come quello della diversità, della persecuzione e del pregiudizio verso l’ebreo.
I Giusti riconosciuti dallo Yad Vashem
L’esposizione, curata dalla direttrice del Museo Vicenza Maugeri e da Caterina Quareni, presenta documenti, video, immagini e testimonianze di 76 Giusti, persone che rischiarono la vita per salvarne centinaia dalle persecuzioni naziste. “Sono coloro che sono riconosciuti dallo Yad Vashem – racconta Vincenza Maugeri – l’istituto di Gerusalemme che dà questi riconoscimenti e onorificenze. Tratteggiamo i profili dei 76 Giusti del nostro territorio, sono storie in gran parte con il lieto fine, se così vogliamo dire, ma quello che più interessa è, da una parte, quanti ebrei quelle 76 persone sono riuscite a salvare – e infatti nella mostra abbiamo una rappresentazione dei volti dei salvatori e delle centinaia di nomi delle persone che loro hanno salvato –, l’altro aspetto sono le motivazioni: il perché queste persone hanno agito così, in quel momento e in quel quadro storico del tutto particolare, dall’ 8 settembre 1943 in avanti”.
Dodici sacerdoti tra i Giusti
Muratori, contadini, magistrati, militari, ma anche uomini di Chiesa: il profilo dei Giusti varia per estrazione sociale, per cultura, per mestiere, ma tutti, sacerdoti compresi, prosegue Maugeri, “hanno operato nel territorio emiliano-romagnolo per salvare, custodire, mantenere le famiglie ebree”. Nell’elenco compaiono 12 sacerdoti, che si sono anche adoperati per accompagnare al confine con la Svizzera le persone in fuga, inoltre, sono anche tante “le reti che questi religiosi, insieme chiaramente ai laici, hanno creato e sostenuto per dare rifugio e, soprattutto, per dare la salvezza, mettendo, come è proprio nel riconoscimento dei Giusti, molto spesso in pericolo la loro vita”.
L’importanza della memoria
La mostra, aperta fino al 6 marzo, parte da un lavoro che il Museo Ebraico di Bologna aveva già iniziato nel 2013, anno in cui venne presentata per la prima volta una esposizione, aggiunge la direttrice, “su quelli che allora erano circa 50 Giusti del nostro territorio, poiché da quella mostra, grazie anche alla legge sulla Memoria della Regione Emilia-Romagna, abbiamo colto l’interesse e l’importanza di mantenere viva questa memoria”. Le ricerche condotte hanno portato a mettere insieme una banca dati consultabile sul sito del Museo, che è la base sulla quale poggia la mostra, che si sofferma in particolare su alcune storie di individui e di paesi, come Cotignola, Varsi, Nonantola, che hanno sostenuto, nascosto e creato le reti di assistenza e soccorso. È chiaro – conclude Maugeri – che in questi paesi i Giusti riconosciuti sono molti meno rispetto agli abitanti del paese, ma ciò non toglie il valore della solidarietà dimostrata da tutte queste persone”.