Chiesa Cattolica – Italiana

Le religioni unite a Roma con il Papa per la pace: “La terra sia liberata dalla violenza”

Salvatore Cernuzio – Roma

““Concordi imploriamo da Dio il dono della pace… L’intero creato possa vedere l’alba di un giorno nuovo””

Il sole è ancora alto e penetra le arcate del Colosseo, quando nell’atrio interno all’antico Anfiteatro Flavio, il Papa, in sedia a rotelle, assieme ai leader cristiani del mondo eleva a Dio una preghiera congiunta:

La terra sia liberata dalla guerra e dalla violenza, ognuno torni a vivere sotto la protezione del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo 

Un cammino lungo 36 anni 

Nel centro della capitale, nel monumento che ne è simbolo, luogo di memoria e di martirio cristiano, si svolge “Il Grido della Pace”, l’appuntamento organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio ogni anno, da ormai trentasei anni. Cioè da quel 27 ottobre 1986 in cui Giovanni Paolo II convocò ad Assisi i rappresentanti delle confessioni mondiali per pregare insieme, uniti, e chiedere loro di “continuare a vivere lo spirito di Assisi”. Un pellegrinaggio nacque allora che è proseguito di anno in anno in diverse città europee e mediterranee.

Silenzio e preghiera

In questo 2022, ferito dal brutale conflitto in Ucraina ma anche di tante guerre disseminate “a pezzi” nei cinque continenti, la tappa è di nuovo, come lo scorso anno, la Città Eterna. Di nuovo il Colosseo. Per la prima volta però il Papa ne varca la soglia per pregare per alcuni minuti, cadenzati da preghiere, canti, silenzi e ancora canti, il Dio della pace. Il Pontefice, giunto in auto, salutato dalla folla disposta lungo i Fori Imperiali, raggiunge la poltrona di velluto rosso. Di fronte a lui ci sono vescovi, cardinali, pastori anglicani, patriarchi orientali. Presente pure il sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, e il neo ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano.

L’abbraccio al Papa

Ancora in sedia a rotelle, Francesco viene accompagnato all’esterno, nel Parco Archeologico del Colosseo, in mezzo a musica e applausi. Alcune personalità e rappresentanti delle diverse religioni, vengono fatti disporre in fila per accogliere il Papa. La prima è Edith Bruck, la famosa scrittrice sopravvissuta all’Olocausto e testimone preziosa dell’abisso della Shoah, divenuta da alcuni anni amica fraterna del Pontefice. Con lei Francesco si sofferma infatti per alcuni istanti, scambiando alcune parole all’orecchio, stringendole le mani, con gesti caratterizzati da affetto autentico. Strette di mani, inchini, saluti, benedizioni, poi uno scambio di battute e risate con il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni.

Immagini struggenti

Tutti insieme salgono sul palco bianco e blu, sormontato dalla scritta “Il grido della Pace”. Il sole inizia già a calare oltre il monte Celio, dove sono disposti con smartphone e macchine fotografiche numerosi ragazzi. Forse fedeli, forse passanti, forse giovani romani incuriositi da questo momento in cui la musica si intreccia al silenzio. Un minuto di silenzio “in memoria delle vittime delle guerre, delle violenze, del terrorismo, della tratta” viene richiesto dal palco, dopo la proiezione sui maxischermi di uno struggente video che mostra l’orrore di cui l’umanità è capace. Dalla nota fotografia del bimbo di Hiroshima col fratello morto sulle spalle, fatta imprimere anni fa dal Papa su un cartoncino regalato ai giornalisti, ai filmati degli sbarchi di migranti dopo la traversata sul Mediterraneo. Fino alle immagini di devastazione che da otto mesi quasi esatti si consumano in Ucraina.

L’intervento di Impagliazzo

Prima che il Papa prenda la parola, pronunciando con voce sommessa appelli potenti, interviene il presidente della Comunità di Sant’Egidio, Marco Impagliazzo, che in un appassionato discorso dà voce alle “grida e invocazioni di pace” provenienti da un mondo in cui soffiano venti di guerra. C’è l’Ucraina bombardata con le sue trincee del Donbass nei pensieri del folto uditorio che, seduto nella platea disposta sui sampietrini, ascolta assorto i vari interventi. Ma ci sono anche la Siria, il Caucaso, l’Afghanistan, lo Yemen, la Libia, l’Etiopia, il Sahel, il Nord del Mozambico, e “decine di altri luoghi conosciuti o sconosciuti”, dice Impagliazzo. “Quante grida, quante invocazioni! Chi ascolta queste voci? Chi ascolta le voci di chi non c’è più? Il rumore e l’indifferenza sono la maniera per tacitare i vivi e i morti”.

L’appello di Giovanni Paolo II

“I faziosi al servizio delle ragioni della guerra ci spiegano che esistono le guerre giuste e le guerre sante”, aggiunge il presidente di Sant’Egidio. “In questi 36 anni il mondo è cambiato. La Guerra Fredda non c’è più (Giovanni Paolo II disse dopo l’89: “ad Assisi non abbiamo pregato invano”), l’idea dello scontro di civiltà è stata contenuta. La comprensione e l’amicizia tra i mondi religiosi sono cresciute molto, più che quelle tra le nazioni. La nostra preghiera ha cambiato narrazioni che sembravano inattaccabili, ha modificato scenari solidi come una cortina di ferro. Se le religioni ascoltano il grido di pace e uniscono la loro preghiera, la loro capacità creativa, anche questa guerra mondiale a pezzi può essere fermata”.

La storia di Esther, salvata dall'”inferno” grazie ai corridoi umanitari

Un anelito di speranza condiviso negli interventi, tra i quali spicca la forte testimonianza di Esther, giovane nigeriana arrivata a 23 anni nell’“inferno” della Libia e da “quella prigione” uscita grazie ai corridoi umanitari organizzati proprio da Sant’Egidio, assieme a Cei e Chiese valdesi. “Non posso dirvi la mia gioia quando mi hanno telefonato in Libia per dirmi che sarei partita, è come se si fosse aperta la porta dell’inferno e vedevo finalmente un po’ di luce. Degli angeli venivano ad aprire la porta della prigione. Era la salvezza per me e per quelli che erano sul mio aereo. Ho viaggiato con un documento, con un visto, mi hanno accolto con fiori e sorrisi. È la resurrezione”, dice la ragazza, con la voce tremante. “Oggi sono libera in questo bellissimo Paese, sono una persona umana, non ho più paura quando cammino in strada. Sto studiando l’italiano, voglio contribuire alla vita di questo Paese”.

I cartelli di “Pace”

Una musica si diffonde improvvisamente dagli altoparlanti, dalla platea la gente si alza in piedi e solleva, quasi come in un flash mob, cartelli bianchi con la scritta blu “Pace” in varie lingue. Intanto due ragazze distribuiscono pergamene arrotolate dai cestini. È l’Appello di Roma, firmato dal Papa e dai leader religiosi. La gente si abbraccia e si stringe le mani; qualcuno si commuove per questo gesto semplice di vicinanza di cui la pandemia di Covid aveva privato l’umanità per oltre due anni.

“Grazie Papa Francesco, grazie a tutti i rappresentanti delle religioni”, viene scandito al microfono dal palco. Lì, al termine dell’incontro, i ragazzi di Sant’Egidio di diverse città e Paesi salgono per srotolare una bandiera blu e gialla dell’Ucraina. “Il grido della pace oggi lo diffondiamo ovunque”.

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