Le ferite di Lesbo che Francesco toccherà ancora una volta

Vatican News

Felipe Herrera-Espaliat – Atene

Cinque anni dopo la sua storica visita a Lesbo, Papa Francesco tornerà domani nell’isola greca, che dista meno di 20 chilometri dalla Turchia. Mosso dalla compassione per le scandalose condizioni di vita di coloro che sono costretti a fuggire dai loro Paesi a causa della guerra e dei conflitti economici e sociali, l’attesa è per una nuova presa di posizione in favore dei migranti e dei rifugiati che si muovono in tutto il mondo. Questo è stato un filo rosso del suo pontificato e il messaggio centrale di questo 35.mo viaggio apostolico che lo sta portando da Cipro in Grecia, millenarie nazioni del Mediterraneo da dove ha scelto di parlare all’Europa e al mondo.

Ma Lesbo è cambiata nell’ultimo quinquennio. Il sovraffollato campo profughi di Moria dove Francesco è stato nel 2016 è stato distrutto dalle fiamme nella notte tra l’8 e il 9 settembre 2020. L’incendio, devastante, ha consumato le fragili strutture che ospitavano 12 mila persone, la maggior parte delle quali sono state accolte da varie nazioni europee. Ci sono ancora 2.300 rifugiati, tra cui famiglie, uomini e donne single, e 45 madri con i loro bambini. Tutti loro passano le loro giornate nel Centro di Accoglienza e Identificazione situato in un settore della città di Mitilene – e questa è solo una delle cinque enclavi di questo tipo distribuite in diverse isole della nazione ellenica.

“Anche se le condizioni sono migliorate, sono ancora estremamente carenti. La maggior parte della gente vive in container e tende, senza accesso ai servizi igienici. C’è un continuo bisogno di migliorare le condizioni abitative, alimentari e assistenziali”, spiega Anastasia Spiliopoulou, direttrice di Caritas Hellas, la principale opera di assistenza sociale della Chiesa cattolica greca.

Il danno psicologico ostacola l’integrazione

È proprio in questo campo di Mitilene che si recherà Papa Francesco per incontrare un gruppo di persone, il 60% delle quali sono rifugiati sfuggiti alla tragedia dell’Afghanistan, oltre a centinaia di sfollati provenienti, tra gli altri, da Iraq, Siria, Palestina, Somalia e Congo. Mentre aspettano le lente procedure d’asilo in Grecia o in qualche nazione europea, passano le loro giornate all’interno del complesso – che è recintato da sbarre e filo spinato, sotto stretto controllo – e possono uscire solo per poche ore alla settimana. Circostanze queste che ostacolano il processo di integrazione che il Pontefice ha chiesto più volte, poiché molti accusano ferite profonde, che incidono a livello psicologico e si aggiungono a drammi precedenti ,come la morte di familiari e di amici annegati in mare, o rimasti vittime del traffico di esseri umani o scomparsi in rapimenti.

Accogliere, proteggere, promuovere e integrare

Ma questo quadro desolante non impedisce agli abitanti del campo di Mitilene di nutrire speranza in attesa dell’arrivo di Papa Francesco. “La gente è entusiasta perché questa è un’opportunità per condividere le loro esperienze”, dice Anastasia Spiliopoulou, anticipando parte del programma che il Santo Padre realizzerà sull’isola, che comprende l’ascolto attento delle testimonianze degli sfollati e dei volontari. Per questi ultimi, la presenza del Successore di Pietro è anche un grande sostegno al loro lavoro duro, che pone un argine all’indifferenza globale che spesso avvolge i milioni di rifugiati nel mondo. “Questa è un’opportunità per tutti noi, per poter accogliere, proteggere, promuovere e integrare. È importante per Caritas Hellas, per la Grecia e per l’Europa che ci concentriamo su questi quattro verbi”, dice Spiliopoulou, riferendosi alle quattro azioni essenziali con cui il Papa ha ripetutamente sollecitato governi e società a muoversi nei riguardi dei migranti.