Un compleanno speciale, quello della compagnia teatrale nata nel carcere femminile di Rebibbia dieci anni fa e oggi presente anche nel Nuovo Complesso e nella casa circondariale di Latina, celebrato a poca distanza dalla Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Per festeggiare le detenute hanno portato in scena “Olympe”
Roberta Barbi – Città del Vaticano
“Spettacoli che non hanno paura di dire la verità” in faccia alla società, perché recitati da donne “già giudicate dal sistema”: tutto questo e molto altro sono “Le Donne del Muro Alto”, compagnia teatrale nata nel carcere femminile di Rebibbia a Roma nelle parole a Radio Vaticana – Vatican News di Francesca Tricarico, regista e fondatrice dell’associazione di teatro sociale “Per Ananke” che dieci anni fa diede il via a questo progetto. Da allora di strada ne è stata fatta tanta, alcune delle attrici sono uscite dall’istituto di pena, ma ancora oggi lavorano con la compagnia e hanno portato in scena, qualche giorno fa al Teatro India di Roma, lo spettacolo “Olympe” – tratto dal romanzo di Maria Rosa Cutrufelli La donna che visse per un sogno – storia di una paladina delle donne vissuta durante la rivoluzione francese, purtroppo ancora molto attuale e in tema con la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne che ricorre il 25 novembre.
Una storia di violenza e valori traditi
Olympe de Gouges era un’attivista che negli anni della rivoluzione francese lottò in favore dell’abolizione della schiavitù e per l’uguaglianza tra uomo e donna, autrice tra l’altro, nel 1791, di una provocatoria Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina: “Scriveva ai rivoluzionari: libertà, uguaglianza, fraternità, ma non per le donne! Si erano dimenticati delle donne! – ricorda Tricarico – Olympe grida al tradimento di una Costituzione tradita e infine viene ghigliottinata, nel 1793, quando scrive Le tre urne, un appello di ritorno al voto che coinvolgesse anche il diritto al voto delle donne”. La violenza contro le donne parte dunque da lontano ed è un tema sempre attuale che “Le Donne del Muro Alto”, con tutto il loro bagaglio di dolore e difficoltà, sentono particolarmente vicina e che si sono molto emozionate a portare in scena nelle due repliche a teatro e nell’anteprima all’Auditorium del Maxxi, il Museo delle arti del XXI secolo di Roma, date già sold out nella settimana precedente agli eventi.
Il teatro come strumento di crescita per tutti
Gli spettacoli sono stati preceduti da incontri sul tema del teatro in carcere come strumento di emancipazione e prevenzione della recidiva: “Se guardiamo i dati, il teatro si conferma uno degli strumenti migliori per la lotta alla recidiva – testimonia ancora Tricarico – questa in Italia si attesta intorno al 70%, ma scende al 20% per quei detenuti impegnati in attività trattamentali di vario tipo, e arriva addirittura a record positivi del 6-7% per i detenuti attori”. Questo perché il teatro, in carcere come fuori, è uno strumento che affina la consapevolezza di sé e dell’altro, migliora il linguaggio e le relazioni tra le persone: “Ma c’è anche dell’altro – prosegue la regista – nel caso del teatro in carcere lo definirei un’azione di emancipazione collettiva, non solo per le nostre donne che recitano, ma anche per il pubblico che viene a vederle eliminando pregiudizi e migliorando così la società nel suo complesso”. E poi c’è sempre quell’articolo 27 della Costituzione “in agguato”, a ricordare che il carcere non dovrebbe essere punitivo, ma un sostegno a chi sbaglia: “In questi dieci anni si sono susseguiti periodo storici diversi – conclude Tricarico – a volte si è potuto fare di più perché a livello politico si credeva nelle possibilità di recupero e reinserimento, altre volte ci si è concentrati soprattutto sulla punizione che non porta mai a nulla di buono”.