di Ilaria Beretta*
Parliamo di “economia circolare”. Di cosa si tratta? La definizione dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) individua tre livelli di economia circolare: nella sua definizione minimale, questa riguarda il riciclo dei materiali, il recupero energetico dei rifiuti e il riutilizzo dei materiali e dei prodotti. Una definizione leggermente più ampia comprende l’estensione della vita utile dei beni, mentre la terza e più ampia definizione di economia circolare comprende ogni forma di maggiore efficienza nell’uso delle risorse basata sia sull’innovazione, sia sul cambiamento dei comportamenti. In questo senso, include da un lato un uso più intensivo dei beni, ad esempio attraverso la sharing economy e la renting economy; dall’altro, anche scelte meno dissipative da parte dei consumatori.
Proprio questa più ampia concettualizzazione di economia circolare, che si estende dal sistema industriale a quello sociale, si ritrova — più o meno esplicitata — negli insegnamenti del magistero della Chiesa. Senza dubbio, chi ha affrontato il tema in profondità è Papa Francesco nella sua enciclica Laudato si’; ma temi affini — come la dimensione etica di ogni agire economico e il più ampio concetto di sviluppo sostenibile — si trovano in tutte il magistero. Più nello specifico, Papa Francesco indica la necessità di adottare un «modello circolare di produzione che assicuri risorse per tutti e per le generazioni future, e che richiede di limitare al massimo l’uso delle risorse non rinnovabili, moderare il consumo, massimizzare l’efficienza dello sfruttamento, riutilizzare e riciclare»« (Laudato si’, 22). Egli concepisce questo modello circolare di economia quale strumento per combattere la «cultura dello scarto»: «quando l’essere umano pone sé stesso al centro, finisce per dare priorità assoluta ai suoi interessi contingenti, e tutto il resto diventa relativo» (122). Siccome per Francesco «tutto è connesso» (117), comunque, quando «non si riconosce nella realtà stessa l’importanza di un povero, di un embrione umano, di una persona con disabilità — per fare solo alcuni esempi —, difficilmente si sapranno ascoltare le grida della natura» (ibid.).
Dobbiamo allo stesso tempo convincerci che «rallentare un determinato ritmo di produzione e di consumo può dare luogo a un’altra modalità di progresso e di sviluppo […]. Si tratta di aprire la strada a opportunità differenti, che non implicano di fermare la creatività umana e il suo sogno di progresso, ma piuttosto di incanalare tale energia in modo nuovo» (191).
*Docente di Sociologia dell’Ambiente e del Territorio