Stefano Leszczynski – Città della Vaticana
Dare una risposta concreta ai bisogni primari dei circa 9mila migranti impantanati in Bosnia-Erzegovina con la speranza di varcare i confini europei per chiedere una qualche forma di protezione internazionale. Questo l’obiettivo che le Caritas della Delegazione Nord-Est, ovvero del Friuli Venezia Giulia. Del Trentino Alto Adige e del Veneto, hanno discusso in videoconferenza nella serata di lunedì. La situazione negli oltre 70 campi organizzati e spontanei creati in territorio bosniaco viene considerata dagli operatori presenti sul campo “molto critica” e la Caritas locale, attiva soprattutto nel campo di Lipa, sta tentando di portare avanti degli interventi di miglioramento strutturale del campo.
Tre obiettivi prioritari
L’azione unitaria delle Caritas del Nord Est punta al raggiungimento urgente di tre obiettivi principali a partire da una riflessione sui flussi migratori che sono proseguiti con intensità nonostante la minaccia della pandemia, ma che proprio per questa ragione sono caduti nella trappola dell’indifferenza. Il secondo obiettivo – come spiega don Davide Schiavon, direttore della Caritas di Treviso – è quello di attirare l’attenzione generale su quelli che sono stati definiti ‘diritti congelati’, rappresentati in primo luogo dalle politiche dei respingimenti con forme anche di grave violenza ai quali l’Europa non sembra in grado di dare una risposta. Il terzo punto riguarda le azioni concrete che possono essere messe in campo attraverso il coordinamento di tutte le realtà presenti in loco per mettere in piedi una solidarietà che vada oltre il criterio dell’emergenza.
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Vincere l’indifferenza
Il rischio di assuefazione dell’opinione pubblica di fronte alle drammatiche immagini che da mesi ormai arrivano dalla Bosnia è reale. In una situazione di questo genere la priorità è rappresentata dalle necessità primarie dei migranti che si trovano in condizioni di grande difficoltà. C’è bisogno di interventi mirati e adeguati alla situazione – spiega il presidente della Caritas italiana, l’arcivescovo di Gorizia monsignor Carlo Maria Redaelli – senza cedere all’emotività ed intervenire lì dove c’è maggiore urgenza, mettendo sempre le persone al centro di ogni azione. Allargando lo sguardo alle responsabilità politiche e alle deboli risposte che arrivano anche dal mondo europeo, mons. Redaelli pur riconoscendo la complessità della questione migratoria chiede un maggiore impegno internazionale nella ricerca della pace, la cui assenza è spesso alla base di imponenti flussi migratori. L’Afghanistan ne è un esempio e l’arcivescovo di Gorizia ha voluto ricordare il coinvolgimento e la partecipazione dei fedeli della propria diocesi nel dimostrare concreta solidarietà negli anni passati verso in migranti. Quando le persone non sono più una categoria astratta, ma diventano volti e nomi è allora che ci si libera dalla trappola dell’indifferenza.
L’importanza di uscire dall’emergenza
A livello nazionale come a livello europeo diventa essenziale promuovere un sistema di accoglienza che sia capace di uscire dalla logica dell’emergenza per diventare strutturale e di condivisione di diritti fondamentali come casa, lavoro e salute. E questo – ci tiene a sottolinearlo don Davide Schiavon – non vale solo per i migranti, ma per tutti coloro che oggi vengono tenuti ai margini, per ogni persona che vive nelle difficoltà anche qui a casa nostra. Una sfida che non riguarda soltanto il modo di vedere dei singoli cittadini, ma che deve prendere piede anche a livello politico ed istituzionale.