di Luigi Maria Epicoco
C’è così tanta luce nella festa dell’Assunzione di Maria al cielo, che si fa fatica a tenere gli occhi aperti. È la fatica che si prova davanti al Mistero che non riusciamo mai ad addomesticare fino in fondo nella formula giusta, nella teologia più capiente. Per quanto ci sforziamo di dare voce e corpo ai dogmi cristiani (e tra di essi anche quelli che si riferiscono specificamente a Maria), l’unica cosa che rimane è riuscire ad intravedere qualcosa di quel Mistero in una immensa luce. Ecco perché potremmo dire che la festa dell’Assunzione di Maria al cielo è una di quelle feste che evangelizzano lo sguardo. È verso l’alto che dobbiamo guardare. «Siamo nati e non moriremo mai più», scrisse quella straordinaria donna di nome Chiara Corbella che ci ha lasciato una bellissima testimonianza di donna, di moglie, di madre, di amica. Perché la morte è solo quella direzione di cielo che prendiamo con una rincorsa un po’ misteriosa e un po’ carica di paura. Maria che varca il cielo ci ricorda che quello è il nostro destino, cioè quella è la nostra destinazione. Ed è per questo che Maria è per ciascuno di noi “segno sicuro di speranza”, perché guardando Lei capiamo un po’ che fine faremo anche noi.
La liturgia che accompagna la festa di oggi ci fa leggere un brano dell’evangelista Luca in cui si racconta l’incontro tra Maria e la cugina Elisabetta (Lc 1, 39-56). È un incontro in cui l’effetto collaterale si chiama gioia: «Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo», dice Elisabetta, e Maria risponde: «L’anima mia magnifica il Signore». Il segno distintivo che siamo fatti per il cielo lo si vede dalla gioia che proviamo e che portiamo. Un cristiano o è un portatore di gioia o non è cristiano. Ma non la gioia dei sorrisi, ma la gioia di sapersi amati definitivamente. È la gioia di chi riesce a vedere che Dio rovescia i potenti dai troni e innalza gli umili. Dà conoscenza agli umili e confonde le idee ai superbi. Provvede a chi si riconosce povero e lascia a bocca asciutta coloro che pensano di bastare a se stessi. La festa di oggi quindi, come una seconda Pasqua tutta mariana, accende una luce di speranza sul nostro destino. Questa luce però non è solo una luce che ci parla del dopo, ma è una luce che ci parla del qui ed ora. Infatti è proprio pensando a Maria che tutta la nostra vita di adesso assume una profondità nuova. Ha ragione quindi Dante a dire di Maria: «Sei di speranza fontana vivace».
Un ultimo aspetto riguarda lo “scandalo del corpo”. Fintanto che penseremo alla fede e alla vita spirituale come qualcosa che tocca solo la nostra anima, un nostro principio spirituale, interiore, non ci discosteremo di molto dalle altre esperienze religiose. Ma la fede cristiana è fede nel “corpo del Risorto”, è fede nella risurrezione della carne. Il fatto che Maria sia in cielo non solo con la sua anima, ma con il suo corpo, ci interroga profondamente sulla nostra fede nella risurrezione. Il cristianesimo poggia o cade proprio su questo: sullo scandalo del nostro corpo che non è, come diceva Platone, «la tomba dell’anima», ma bensì «tempio dello Spirito Santo» (1 Cor 6, 13), anch’esso, quindi, in attesa di redenzione. Potremmo quindi aggiungere che oggi è la festa della riconciliazione con il nostro corpo.