Gabriella Ceraso – Città del Vaticano
Ancora vittime e ancora violenza. Le ultime notizie parlano di sei dimostranti uccisi a colpi di arma da fuoco oggi in Birmania dalle forze di sicurezza del Paese durante una protesta anti golpe a Myaing. Arriva intanto una nuova stretta della comunità internazionale per cercare di restituire al popolo del Myanmar la pace e un assetto democratico interrotto con l’arresto a febbraio della leader del governo civile Aung San Suu Kyi, e la presa del potere da parte della giunta militare. Il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha “fermamente” condannato ieri le violenze contro i manifestanti che dalla piazza chiedono giustizia, la Cina ha fatto appello al “dialogo” mentre da parte degli Stati Uniti si è formalizzata l’adozione di sanzioni contro due figli del leader della giunta del Myanmar, Min Aung Hlaing, per il colpo di Stato e le successive violenze oltre che gli assedi ai lavoratori che per protesta stanno scioperando e bloccando le attività produttive del Paese. Secondo le Nazioni Unite dopo il colpo di Stato, le forze militari hanno ucciso più di 50 persone e, secondo i dati forniti dall’Associazione di assistenza ai prigionieri politici sarebbero quasi 1.800 le persone trattenute dalla giunta militare dal 7 marzo.
In questo contesto la Chiesa continua a pregare e a chiedere la pace. Dai gesti di suor Ann Rosa Nu Tawng, la religiosa birmana che nei giorni scorsi si è inginocchiata in preghiera davanti ai soldati, chiedendo loro di non aggredire i manifestati pro-democrazia, alle parole del cardinale Charles Maung Bo, arcivescovo di Yangon, che non si stanca di ripetere che un nuovo Myanmar è possibile, che le armi sono inutili e che bisogna “riarmarsi con la riconciliazione e il dialogo”. Pregano i Frati Minori dell’Asia orientale, per “fermare la fame di sangue” e affinché regnino la giustizia e la pace, e prega la grande famiglia del Movimento dei Focolari nel sud est dell’Asia.
“La preghiera come risposta ad una situazione difficile, per tenere accesa la fiamma della pace e incoraggiarci a vicenda”. Questo il senso dell’iniziativa nata in seno al Movimento fondato da Chiara Lubich e ispirato al carisma dell’unità. Dal sud est asiatico la recita del Rosario nelle lingue locali, on line è arrivato a coinvolgere una ventina di Paesi. Ci si ritrova da due settimane, ogni martedì e giovedì insieme, un modo per sentirsi uniti e non soli, così ci racconta Tina Malabanan del Movimento dei Focolari in Thailandia:
R. – E’ stata molto forte come esperienza, ci è sembrato di vivere un momento per poter riprendere le forze e andare avanti, guardando alla situazione da un altro punto di vista.
In questo momento è la Chiesa che sta cercando di arginare violenze e ingiustizie con la preghiera. Riuscite a stare vicini e ad aiutare chi ne ha più bisogno?
R. – Soprattutto il nostro è un aiuto morale. Cerchiamo infatti di capire come stanno le persone e, dato che la situazione economica era già travagliata con la pandemia, con la situazione attuale peggiora, abbiamo ricevuto sostegno da parte del Movimento dei Focolari e di chi sa come noi possiamo usare quanto ci viene donato. Abbiamo dunque occhi aperti per aiutare.
La preghiera unisce, è un modo per non sentirsi soli?
R. – Sì, credo che questa sia la cosa più significativa: credere all’amore di Dio sempre, anche in questa situazione. E la presenza della famiglia di Chiara Lubich nell’Asia e nel mondo, è per noi segno di questa presenza. E anche questo aiuto economico che stiamo ricevendo è un segno palpabile di questa realtà, qualcosa che ci dà forza e luce. E ricevere oltre agli aiuti economici anche tanti messaggi di supporto dal resto del mondo, è importante.
Anche il Papa si è espresso in termini di vicinanza e preghiera per il Myanmar, ma finora è tutto inascoltato. A voi sono giunti questi messaggi e vi aiutano?
R. – Ogni messaggio che arriva noi lo abbiamo girato e diffuso e crediamo che la voce del Papa sia quella della speranza e della vicinanza.
Il vostro augurio per il futuro del Myanmar?
R. -L’augurio è che tutto si possa risolvere senza più violenza. Stiamo aspettando tanto anche l’aiuto immediato dall’estero. Il popolo lo spera, il popolo non vuole entrare in una situazione di violenza. maggiore. Dunque c’è la fermezza sì, ma la fermezza pacifica: la speranza dunque è che tutto si possa risolvere in modo pacifico e noi preghiamo per questo.