L’arcivescovo Jeanbart: aiutateci a rimanere in Siria

Vatican News

Marina Tomarro – Città del Vaticano

“Prima della guerra Aleppo era una città all’avanguardia. Soprattutto nel nord della Siria, si era sviluppata una buona area industriale e la gente viveva bene. Con l’arrivo della guerra è stato distrutto tutto, molte di queste industrie si sono trasferite in Turchia”.  Monsignor Jean-Clément Jeanbart arcivescovo greco-melkita di Aleppo, racconta con queste parole la condizione in cui da ormai dieci lunghi anni, si trovano a vivere i siriani. Una situazione che purtroppo è andata peggiorando, anno dopo anno, e per la quale ancora non si intravede uno spiraglio di luce che permetta la rinascita. “Nella nostra città – continua il presule – sono state distrutte case, scuole, ospedali, la gente non ha soldi neppure per comprare il pane, è davvero una disperazione”.

Ascolta l’intervista a monsignor Jean-Clément Jeanbart

Il rapporto Onu

Nel report pubblicato dalla Missione d’inchiesta delle Nazioni Unite per la Siria, e che sarà  presentato il prossimo 11 marzo al Consiglio dei diritti umani, pochi giorni prima del decimo anniversario del conflitto, viene sottolineato che la metà della popolazione è stata costretta ad abbandonare le proprie case e che sei siriani su dieci vivono nella povertà estrema. Nel rapporto si evidenzia come il regime di Bashar al-Assad ha utilizzato la presunta lotta al terrorismo per ordinare bombardamenti indiscriminati su obiettivi civili inclusi ospedali, strutture mediche, scuole o negozi. Lo studio spiega che questi tipi di attacchi sono stati perpetrati anche da altri attori del conflitto, come il sedicente Stato Islamico, le milizie curde, l’alleanza islamista Hayat Tahrir al Sham. Segnala, inoltre, che durante dieci anni di conflitto sono stati rilevati almeno 38 attacchi con armi chimiche. Dei 22 milioni di abitanti che la Siria aveva prima della guerra, più di 11,5 milioni hanno lasciato le loro case, di cui circa 6 milioni sono sfollati interni e oltre cinque milioni i rifugiati in altri Paesi, soprattutto in Turchia, Giordania, Libano, Egitto o Iraq.

L’aiuto prezioso della Chiesa

“Il prezzo più alto di tutta questa sofferenza che ci ha colpito – continua a spiegare monsignor Jean-Clément Jeanbart – viene pagata dai più poveri, da coloro che già prima vivevano in maniera precaria e che adesso non hanno davvero più nulla”. Fondamentale è l’apporto della Chiesa per aiutare la popolazione a sopravvivere a questa situazione così drammatica. “Noi – continua l’arcivescovo – cerchiamo di aiutarli in tutti i modi, coprendo in parte le spese che devono affrontare le famiglie, ad esempio, ma è sempre troppo poco, purtroppo. Aiutiamo anche le scuole pagando le rette dei ragazzi e fornendo così gli stipendi agli insegnanti e al personale scolastico. Inoltre, visto che negli ultimi anni nessuna giovane coppia voleva avere più bambini, per il terrore di non riuscire poi a crescerli dignitosamente, abbiamo creato un piccolo fondo per ogni neonato che nasce, e negli ultimi cinque anni sono nati più di trecento piccoli e noi siamo davvero contenti di aiutare i genitori a crescerli”. Prezioso è stato anche l’aiuto della Conferenza episcopale italiana. “Grazie al suo supporto – racconta monsignor Jeanbart – siamo riusciti a ricostruire oltre sessanta appartamenti per aiutare le famiglie a rimanere in città o a tornare e riprendere la loro vita, visto che purtroppo qui gli affitti sono altissimi e questi nuclei spesso non riescono neppure a mangiare”.

Il Paese dei primi cristiani

L’aiuto della Comunità internazionale in questo scenario umanitario diventa fondamentale, ma l’obiettivo deve essere quello di non abbandonare la Siria ma di farla rinascere. “Prima di questa guerra civile – spiega ancora l’arcivescovo Jeanbart – vivevamo tutti in pace, cristiani, musulmani e membri di altre religioni, e tutti noi vogliamo tornare a poter vivere la nostra libertà religiosa e la libertà di espressione così. In questo Paese si sono mossi i primi passi del cristianesimo nel mondo, la sua terra è intrisa del sangue dei tanti martiri che non hanno voluto rinnegare la fede, per questo non possiamo andare via e chiediamo alla Comunità internazionale di aiutarci a restare in Siria e a ricominciare a vivere nel luogo dove siamo nati e che non vogliamo abbandonare”.