Chiesa Cattolica – Italiana

L’Aquila accoglie Francesco e attende parole di speranza

Tiziana Campisi – L’Aquila

Gioia, emozione, trepidazione: con questi sentimenti gli aquilani aspettano Francesco il cui arrivo è previsto intorno alle 8.30 con l’atterraggio allo Stadio Gran Sasso e il trasferimento in Piazza Duomo per l’accoglienza e poi sul Sagrato il saluto ai familiari delle vittime del sisma del 2009. È un giorno speciale, per tutti, quello della Perdonanza, quel perdono che Celestino V ha lasciato alla città 728 anni fa e che ha insegnato a riconciliarsi, a venirsi incontro. Tutti attendono infatti dopo la Messa delle ore 10 il rito solenne dell’apertura della Porta Santa che il Papa compirà al termine della sua visita di questa mattina.

E “Buona Perdonanza” ci si augura qui, a L’Aquila, in questo giorno speciale, in cui pentiti e confessati si può ottenere l’indulgenza plenaria recandosi nella basilica di Santa Maria di Collemaggio. Qui, fra impalcature, gru e un centro storico che ha ripreso a vivere ma dove ci sono ancora tanti restauri da portare a termine, ci sono tante ferite da rimarginare. Sono quelle dell’interiorità, difficili da curare, perché dal dolore e dalla sofferenza che il terremoto del 2009 ha provocato sconquassando la città e interrompendo circa 300 vite non si guarisce. Semmai la fede lenisce. Ed è quella che ha sorretto tante persone. Nella fede molti hanno trovato la forza di andare avanti, di conservare nel cuore gli affetti perduti, nella consapevolezza che oltre la morte c’è la vita eterna.

La presenza del Papa una carezza per chi ha perso i propri cari

E sono parole di conforto che questa gente si aspetta dal Papa, in quel “dopo” che il sisma ha separato nettamente dal “prima”, come uno spartiacque con il quale si è costretti a convivere. In questa terra ferita, ma che ha voglia di riedificarsi, e dove c’è più bisogno di ricostruire il tessuto sociale, di rafforzare gli animi, la presenza di Francesco “è una carezza”, dice Renza Bucci, che tra le macerie provocate da quel tremendo 6 aprile ha perso la figlia, che avrebbe dovuto partorire Giorgia – anche lei considerata una vittima della scossa tellurica pur se non ancora nata – proprio quel giorno, e ancora genero e nipote. Lei che non ha mai smesso di avere fede, anche nei momenti più bui, ci racconta che di ogni persona scomparsa ricorda il compleanno. Ci parla della “Cappella della memoria”, in cui dal 2015 tutte le 309 vittime del terremoto hanno per tutti volti con nomi e cognomi. Nella chiesa di Santa Maria del Suffragio, in quella piazza Duomo dove fa tappa il Papa proprio per incontrare i familiari, è stato infatti creato uno spazio commemorativo con due piccoli ambienti attigui: nel primo due lapidi riportano il lungo elenco delle persone scomparse, nel secondo si può sfogliare un album con le loro fotografie e ci si può raccogliere in preghiera davanti all’immagine della Salus Populi Aquilani. Il desiderio di Renza è che il Papa visiti questa Cappella, perché conosca quanti L’Aquila ha perso.

Una visita storica

Ed è emozionato per l’incontro con il Pontefice Luigi Esposito. Suo figlio, ventiquattrenne, è morto tra le macerie della Casa dello studente. Lui e la moglie sentono ancora quel vuoto che ha lasciato, ma nella fede hanno trovato sostegno. Luigi è sicuro che Francesco darà conforto e coraggio agli aquilani e agli abruzzesi e ritiene storica la sua visita, soprattutto perché è il primo Papa ad aprire la Porta Santa di Collemaggio. E la presenza di Francesco è significativa anche per don Dante Di Nardo, responsabile della Caritas diocesana e parroco della chiesa di San Francesco d’Assisi in Pettino.

Ascolta l’intervista a don Dante Di Nardo

Anzitutto è una conferma alla nostra storia riguardo alla presenza di Celestino V qui a L’Aquila con la Porta Santa. È un pontefice che viene a confermare una decisione presa da un altro pontefice tanti secoli fa e a renderla attuale e a fare in modo che questo messaggio di Celestino possa raggiungere non soltanto L’Aquila e gli aquilani, ma un po’ il mondo intero, perché penso che sia alla base non solo della vita cristiana, ma anche della convivenza umana. Perché perdonarsi, accogliersi, dare un’opportunità nuova alle persone con le quali si è in contatto, penso che sia la base di un’umanità bella.

Per una città ferita come L’Aquila dal terremoto, che cosa dà la presenza del Papa?

Penso che sia un incoraggiamento alla speranza. Pensando a tutto ciò che è stato fatto, anche attraverso la Chiesa, anche attraverso le istituzioni cittadine, ma anche politiche nazionali e continuando a sperare che la ricostruzione, sia materiale – che riguarda gli edifici – ma anche la ricostruzione sociale, del tessuto spirituale delle persone – molte volte è anche l’interiorità delle persone che è ferita -, ritengo che la presenza del Papa sia veramente una grande porta aperta alla speranza, alla nostra speranza. Non bisogna chiudersi, non bisogna fermarsi, nonostante ci siano tante cose da fare e da rimettere a posto.

Lei è responsabile della Caritas, in che modo la Chiesa è stata al fianco dei terremotati.

La Caritas nazionale e anche Caritas Abruzzo-Molise, come Caritas regionale, è stata presente già dal giorno dopo il terremoto. La mattina del terremoto noi avevamo qua lo staff della Caritas nazionale e lo staff della Caritas regionale. Posso dire, veramente, con una gioia immensa, che non c’è stata una diocesi dell’Italia che non è stata presente. È stato organizzato tutto in maniera talmente bella da darci la possibilità di sentire la presenza fisica e la presenza spirituale e fraterna di tutte le Chiese italiane. Questa è stata una gioia veramente grande. Posso anche dire che alcune di queste Chiese hanno fatto gemellaggi con alcune zone di L’Aquila e sono rimaste un anno, due anni. Una cosa bella, molto bella. Con i volontari che sono venuti qui, anche della Protezione Civile, si sono poi istaurate delle amicizie belle, sia personali sia con i gruppi che ancora continuano, vanno avanti. Sono dei legami che sono rimasti a distanza di anni e questa è una cosa veramente bella per noi aquilani.

Quanto ancora c’è da fare?

C’è da fare molto, perché il tessuto sociale va ricostruito. Va ricostruita anche la persona, perché molte volte, vedendo ancora alcune zone che non sono ricostruite fisicamente, qualcuno può perdere la speranza. E allora c’è molto da fare nel ricostruire dall’interiorità alla vita sociale, alle relazioni tra le persone che ancora risentono molto di quell’evento. Poi è arrivata la pandemia che non ha aiutato a mantenere delle belle relazioni. Quindi, secondo me, c’è molto da fare. E penso che la presenza di Papa Francesco, la sua persona, il suo modo di essere, per noi può essere un incoraggiamento grande.

Exit mobile version
Vai alla barra degli strumenti