Antonella Palermo – Città del Vaticano
Come spegnere luci e intrappolare il riscatto. È ciò che emerge da un Afghanistan dove si restringe sempre più lo spazio di diritti e libertà delle donne, in particolare dopo il divieto alle organizzazioni non governative di impiegare professioniste femminili, decretato dal ministero dell’Economia del governo talebano. Un divieto che fa seguito a quello di pochi giorni fa di frequentare scuole superiori e università.
L’Onu auspica una soluzione per mantenere l’assistenza
Le Nazioni Unite ritengono che se il veto per le ong di impiegare donne rimarrà in vigore, l’assistenza salvavita in Afghanistan sarà ridotta del 50%, escludendo oltre 11,6 milioni di donne e ragazze. E se i partner umanitari decideranno di sospendere tutte le operazioni, questa verrà a mancare a 23,7 milioni di persone. Secondo i bilanci ufficiali diffusi dalle varie istituzioni Onu, nel 2022 arriva al 97% la quota di popolazione afghana al di sotto della soglia di povertà, in 900 mila hanno perso il lavoro, i disoccupati sono il 70% e almeno in 19,7 milioni (il 50%) patiscono la fame acuta, totalmente dipendenti da aiuti internazionali. Secondo l’ultimo rapporto di Save the Children, inoltre, più di 13 milioni di bambini necessitano di assistenza umanitaria. Intanto, il coordinatore delle Nazioni Unite in Afghanistan, Ramiz Alakbarov, ha annunciato che il Segretario Generale Onu agli affari umanitari e coordinatore dei soccorsi d’urgenza, Martin Griffiths, si recherà nei prossimi giorni nel Paese per cercare di trovare una soluzione relativamente a entrambe le questioni. Alakbarov ha anche assicurato che i leader talebani sono già in contatto al “più alto livello possibile” con i responsabili delle Nazioni Unite sul terreno, ed è già stato raggiunto un accordo per quanto riguarda il settore sanitario.
Nove onlus: vogliamo continuare l’impegno per la popolazione
“Una decisione crudele che, oltre a privare un enorme numero di donne da aiuti essenziali forniti dalle organizzazioni non governative, costringe lo staff femminile delle Ong a restare a casa, rinunciando allo stipendio da cui spesso dipende la sopravvivenza di un’intera famiglia”: lo afferma all’Agi Susanna Fioretti, presidente di Nove Onlus, in attività dal 2012 e una delle poche ong italiane ancora operanti in Afghanistan sulla base di accordi raggiunti con i talebani, tornati al potere nell’agosto di un anno fa. In seguito a quest’ultimo divieto Nove ha dovuto sospendere alcune attività, ma nei limiti del possibile sta portando avanti altri progetti, determinata a mantenere l’impegno per la popolazione.
La difesa del diritto all’istruzione
“Non esiste nazione al mondo che abbia ottenuto o raggiunto qualche traguardo senza l’istruzione, quindi vietare alle ragazze di studiare o non permettere loro di avere accesso all’istruzione è una decisione miserabile”: parole di uno studente afghano che dal Pakistan ha manifestato nei giorni scorsi in segno di solidarietà per le donne afghane che pure con coraggio sono scese in piazza a Herat nei pressi della residenza del governatore della provincia per difendere il proprio diritto a frequentare la scuola. Chi ha conosciuto solo in parte questa dimensione che soffoca l’anelito allo studio e all’educazione è una giovanissima donna afghana che incontrammo a Roma nell’ambito della rassegna “Ritratti di poesia” la scorsa primavera, Shukria Rezaei. Di etnia hazāra – oggi ridotta al 9% della popolazione afghana – Shukria da dieci anni vive in Inghilterra dove ha avuto provvidenzialmente la possibilità di frequentare la scuola e anche di esprimere attraverso la poesia il proprio talento e il proprio vissuto.
La storia di Shukria Rezaei, dall’Afghanistan a Oxford
“La poesia mi ha dato speranza”, diceva ai nostri microfoni questa ragazza che ha incrociato nel suo cammino la poetessa inglese Kate Chancly e con lei ha avuto modo di seguire alcuni corsi di scrittura. L’oppressione in cui vive l’etnia a cui appartiene è uno degli aspetti che ha voluto testimoniare. I ricordi personali più belli legati al suo Paese la riportano ad un’infanzia con i bagni fatti sotto le cascate tra le montagne afghane, alla vita molto semplice nelle campagne. “Siamo sconcertati che i talebani impediscano l’accesso alle donne all’educazione. È sconvolgente”, ci confidava già in quella circostanza. Molte ragazze sono ferme, spiegava, mentre voleva credere che il suo popolo stesse resistendo in qualche modo. “La mia gente viene uccisa, ma i talebani non resteranno per sempre. Ci vorrà un po’ di tempo. Piano piano si arriverà alla libertà…”. Shukria – attualmente responsabile della gestione del sito web e della comunicazione interna del Mansfield College – ha una doppia laurea e sta lavorando a un suo blog di poesia. Kate mette in luce la sua creatività. Intanto la ragazza chiamava suo padre per raccontargli questo coinvolgimento romano. E il suo papà le ricordava quando lui aveva attraversato l’Europa, privo di tutto, e di solito faceva tappa in piazza san Pietro per nutrirsi. ‘Io non avevo nulla e ora tu stai leggendo delle poesie a Roma! Una storia incredibile’.
Kate Clanchy: far affiorare la poesia come canto di libertà
L’Afghanistan, insieme a Kosovo, Somalia, Siria e altre zone di guerra sono le principali provenienze dell’80% degli studenti alla Oxford Spires Academy, scuola multiculturale dove per dieci anni ha insegnato Kate Clanchy, stimata poetessa britannica, ospite con Shukria in quei giorni romani. Kate ha ascoltato bagagli di storie che affondano generalmente in una grande povertà, ci racconta, mista a una impronta ‘poetica’ che lei ha voluto far affiorare. “Recitavano poesie, e ne producevano. Avevamo dei clubs di poesia, tenevamo lezioni. Tutta la scuola era coinvolta in questo, entusiasta. Alcuni volevano diventare scrittori…”. Alcuni suoi allievi hanno avuto fortuna: hanno tirato fuori storie spesso di dolore, le hanno comprese e consegnate attraverso la parola poetica. England, Poems from a School (Picador, 2018) è l’antologia degli studenti che lei ha curato: storie che – come si legge dalla prefazione – sono come dei “salmi cantati lungo i fiumi di Babilonia, per ricordare casa in terra straniera. Qualcosa di molto antico ma anche di molto nuovo, con un nuovo inglese modulato da tutte le lingue dei loro autori”.