Chiesa Cattolica – Italiana

Lacroix: questo Sinodo “diverso” dagli altri, un dono la libertà di parlare e ascoltare

Al termine della prima sessione del Sinodo sulla sinodalità, concluso in Vaticano, il cardinale canadese esprime la sua gioia per lo spazio dato all’ascolto “senza giudizio” del popolo di Dio. Il Sinodo, dice l’arcivescovo di Québec, gli ha permesso di cambiare prospettiva: “È una prima tappa, ma abbiamo fatto già progressi. Siamo stati in grado di ascoltare in profondità, senza giudizi o rifiuti, senza braccia o denti rotti, ma mettendo sul tavolo cose difficili”

Marie Duhamel – Città del Vaticano

Il processo sinodale è ancora in corso. Dopo la chiusura della prima sessione della XVI Assemblea generale del Sinodo “per una Chiesa sinodale” e la Messa di chiusura presieduta domenica da Papa Francesco a San Pietro, padri e madri torneranno a Roma l’anno prossimo per una seconda sessione di lavoro, per continuare a “camminare insieme”. Tra questi il cardinale Gérald Cyprien Lacroix, arcivescovo di Québec in Canada. Per quasi quattro settimane, ha pregato con i suoi fratelli e sorelle e discusso con loro nell’Aula Paolo VI una varietà di temi, che sono il risultato di due anni di lavoro preparatorio (2021-2023) svolto a livello locale, regionale e continentale. Il porporato ha già partecipato ai Sinodi sull’Amazzonia, i giovani e la famiglia. Ma spiega a Vatican News, queste ultime quattro settimane trascorse a Roma “sono state diverse”.

In cosa questo Sinodo è stato diverso?

Penso che nel corso del tempo abbiamo scoperto nuovi modi di fare le cose. Infatti, lo stesso Papa Francesco, durante gli ultimi due Sinodi sulla famiglia e sui giovani, ha iniziato a suggerire che non potevamo essere qui solo per condividere le nostre buone idee. Dovevamo discernere insieme. Il Sinodo non è un forum parlamentare. I governi hanno leader dell’opposizione, ma noi siamo fratelli e sorelle che cercano insieme ciò che lo Spirito sta dicendo alla nostra Chiesa oggi. E quando dico “noi”, parlo del popolo di Dio nel suo insieme. Il fatto che così tanti uomini e donne, vescovi e non vescovi, non solo siano presenti (nell’Aula Paolo VI), ma abbiano anche il diritto di parola e di voto, è una novità di questa assemblea sinodale. Si tratta di una riunione consultiva. Non siamo qui per prendere decisioni, ma una volta che avremo fatto discernimento – e lo faremo molto sul serio – presenteremo il nostro lavoro al Santo Padre, che vedrà quello che di questo è emanato dallo Spirito. Per quanto riguarda il metodo, ovviamente la conversazione nello Spirito non è un modo nuovo di fare le cose, ma per la Chiesa nel suo insieme è la prima volta. Ed è molto, molto fruttuoso.

La raccomandazione al “digiuno della parola” è stata seguita alla lettera. Anche l’ascolto è stato costantemente enfatizzato. Quali sono stati i risultati?

L’ascolto ci permette di conoscere e capire meglio l’altra persona. Perché sta dicendo questa cosa? Cosa implica quell’emozione, quell’idea, quel tema? Perché è così importante per lui o lei? Abbiamo cercato di capire meglio da dove viene la persona che parla, la sua realtà, la sua cultura. Ascoltare ci ha aperto gli orizzonti. Ma anche essere ascoltati ha lo stesso effetto. Si tratta di dire ciò che si vive, di proporre, pur rimanendo aperti. Posso avere un’idea eccellente dal mio punto di vista, ma quando siamo in dodici intorno al tavolo a parlarne, è possibile che io modifichi il mio modo di pensare, che veda il quadro generale, che veda le cose in modo più accurato, e che quindi aggiusti il mio pensiero. Questa libertà di parlare senza essere giudicati, fischiati o rifiutati è un dono enorme. La libertà di parlare e di ascoltare sono grandi doni offerti da questo Sinodo. E se riusciremo a viverla, non solo qui ma anche nelle nostre Chiese locali, saremo in grado di affrontare tutte le sfide che ci si presenteranno, facili o difficili che siano, perché non avremo paura di esprimere la verità che sosteniamo e di sottoporla al discernimento della comunità.

Oltre all’ascolto degli altri, devo sottolineare anche l’ascolto del Signore. Mai prima d’ora ci sono state così tante occasioni di silenzio e di preghiera. Questo è il mio quarto Sinodo e questa volta non solo abbiamo avuto tre giorni di ritiro, ma ogni giorno è stato scandito da importanti momenti di silenzio e preghiera. Abbiamo camminato insieme in una fiaccolata per pregare il Rosario per la pace. L’ascolto del Signore e degli altri è un passo importante per aiutarci ad andare avanti nel discernimento che ci riunisce. Insieme, abbiamo cercato ciò che Dio dice a noi e alla nostra Chiesa, e possiamo confidare che coloro che dovranno continuare questo cammino sapranno essere all’ascolto dell’esperienza che abbiamo vissuto.

Durante i briefing con la stampa, tutti voi avete parlato della fonte di gioia e di arricchimento che rappresenta l’incontro con fratelli e sorelle provenienti da realtà così diverse dalla vostra. Questo significa che la Chiesa non conosce la sua universalità?

Non abbiamo spesso l’opportunità di incontrarci. Personalmente, come nordamericano, in Canada, abbiamo l’esperienza di parlare con persone provenienti da tutto il mondo. In effetti, il numero di quelle che accogliamo è aumentato negli ultimi anni. Ma al Sinodo abbiamo trascorso quasi un mese attorno allo stesso tavolo. Venivamo da quattro continenti e abbiamo cambiato componenti molto poco. Abbiamo avuto il tempo di ascoltarci e di conoscerci meglio. È stato anche più facile che in passato, eravamo organizzati. Potevamo vedere gli altri da dietro, sullo schermo, ma qui eravamo intorno a un tavolo, come una famiglia, e avevamo tempo. Questo tempo prolungato ci ha aiutato molto, così come il ritiro di tre giorni, in cui abbiamo vissuto tutti nello stesso luogo, mangiato insieme, pregato insieme e condiviso momenti di silenzio insieme.

Alcuni critici sostengono che le “tavole rotonde” non portano lo Spirito Santo…

In effetti, il tavolo non ha nulla a che fare con questo! Sono i nostri cuori ad essere aperti alla Sua parola, alla Sua presenza viva in me, in te, negli altri. No, i tavoli potrebbero essere quadrati e non cambierebbe nulla. Potremmo stare in piedi e non cambierebbe nulla. Ma tutto avviene grazie a noi, battezzati, che ascoltiamo la Parola del Signore, che ascoltiamo ciò che Lui ci mette nel cuore. Ascoltando gli altri, sono le parole del Signore attraverso di loro che mi toccano e mi aiutano a correggere ciò che penso, ad aggiustare o confermare il mio pensiero. E a volte non è il cardinale ad avere le parole più belle. A volte è una persona meno conosciuta che si presenta con qualcosa dello Spirito che noi ascoltiamo. Lo Spirito passa attraverso chi vuole, e noi ne facciamo esperienza.

Certo, si può parlare dei limiti del tavolo, e io sono d’accordo, ma posso confermare, perché è la mia esperienza, che questo Sinodo è stato per me un luogo straordinario di esperienza, di ascolto e di incontro con il Signore presente in mezzo a noi. È impossibile che abbiamo vissuto tutte queste settimane in una tale fraternità, unità e gioia in mezzo a tutte le difficoltà che abbiamo dovuto affrontare. Questo è un segno che Dio è all’opera, perché umanamente parlando, avevamo tutto il necessario per andarcene con meno capelli, meno denti e con i lividi, ma non è stato così. Questo è un grande dono di Dio e del suo Spirito.

Ha detto che lei stesso ha cambiato il suo giudizio quando ha ascoltato gli altri. Può farci qualche esempio?

Sì, ve ne faccio uno. Al tavolo dove mi trovavo c’erano alcuni vescovi del continente africano. Per la prima volta ho avuto una comprensione un po’ più profonda del problema della poligamia. Molte comunità cristiane stesse si trovano ad affrontare questa sfida: come trattare queste coppie? Cosa possono fare le loro comunità? Ho capito un po’ meglio questa realtà e questo mi ha dato maggiore rispetto. È solo un tema, ma ce ne sono altri. Ascoltare in profondità ciò che le donne vivono in certi ambienti ecclesiali invita anche a una riflessione profonda e ci aiuta a vedere come i nostri discorsi e i nostri comportamenti non siano sempre accettabili.

Lavorare per la sinodalità è un modo per superare la polarizzazione all’interno della Chiesa e lavorare per la sua unità? Ma non è salutare che le differenze coesistano, senza cercare compromessi?

Sì, sì, assolutamente. Non stiamo cercando un compromesso, o di andare d’accordo come se fossimo partiti politici che cercano di formare una coalizione. Non è affatto questo il nostro scopo. Cerchiamo ciò che Dio ci dice alla luce della sua Parola, alla luce dell’insegnamento e della tradizione della Chiesa e alla luce della realtà in cui viviamo. Non si tratta di trovare un compromesso, ma di trovare la strada migliore da percorrere. Discerniamo alcune cose e le sottoponiamo all’autorità della Chiesa, che è il Santo Padre.

L’accoglienza dei poveri, l’integrazione dei migranti e il lavoro per costruire la pace sono sempre stati temi prioritari per la Chiesa. Sono emerse altre questioni? 

In realtà, i temi che stiamo affrontando non sono stati inventati dal nulla. Sono il frutto di due anni di ricerche, consultazioni, scambi e del processo sinodale nelle nostre comunità cristiane, nelle nostre diocesi, nelle nostre Conferenze episcopali e nelle Assemblee regionali e continentali. Abbiamo ascoltato il popolo di Dio e lo rappresentiamo qui. Abbiamo quindi parlato di ciò che li preoccupa, delle cose che chiaramente devono essere affrontate, dei temi su cui la Chiesa ha bisogno di riflettere, dove è chiamata ad approfondire per parlare più chiaramente o adottare comportamenti più in comunione con Cristo, nostro Maestro, con il Vangelo e con l’insegnamento della Chiesa. Nel corso del Sinodo siamo tornati su questi temi, ma non li abbiamo discussi. Li abbiamo affrontati in modo sinodale, parlando delle nostre esperienze, guardando insieme dove possiamo andare avanti. Abbiamo tempo fino al prossimo anno per lavorare, ma alcune cose possono già essere messe in pratica: il metodo, ad esempio, della conversazione nello Spirito. Lo stiamo già usando nella nostra diocesi e sta cambiando il nostro modo di fare le cose. Quando leggeranno la relazione di sintesi, credo che i fedeli si sentiranno ascoltati. Diranno: “Ah, finalmente ci ascoltano. Ah, hanno parlato di ciò che ci preoccupa”. Sono molto contento di questo.

Durante gli incontri con la stampa sono state sollevate alcune questioni, come l’ordinazione delle donne e l’accoglienza delle persone Lgbtq+. Come propongono i padri e le madri del Sinodo di tenere il confine tra lo spirito del mondo, l’opinione pubblica, i media e il messaggio senza tempo della Chiesa?

È stato molto gratificante che il Santo Padre ci abbia invitato a praticare una sorta di digiuno da commenti e interviste su tutti questi argomenti, per lasciarci piena libertà all’interno dell’assemblea sinodale, in modo da non lasciarci condurre altrove, manipolare o distrarre da ciò che accade nel mondo. Su questi temi, noi battezzati del popolo di Dio in tutte le possibili vocazioni abbiamo ascoltato e continueremo a farlo. Ma se parlo per esperienza personale – e sono sicuro che molti altri padri e madri presenti a questo Sinodo potrebbero dire la stessa cosa – ci sono già atteggiamenti che stanno cambiando nel mio modo di pensare, sguardi che sono stati spostati. Ho una diversa qualità di presenza, di accoglienza e di ascolto. Vedo che abbiamo già fatto dei progressi. Questo non risolve tutte le questioni, ma il fatto che siamo stati in grado di ascoltare in profondità, genuinamente, senza giudizi o rifiuti, e di mettere sul tavolo cose difficili da guardare ci dice che siamo capaci di farlo. Sto un po’ scherzando, ma, ripeto, dopo tre settimane di condivisione tutti hanno ancora tutti i denti, nessun braccio è rotto. A volte ci sono tensioni, ma è normale. Parliamo spesso della nostra pressione sanguigna. Quando non c’è più, sei morto. Il sangue deve circolare e va e viene. È così anche qui. Diciamo cose che non tutti condividono, ma possiamo dirle. Non dobbiamo nasconderci dietro le porte e isolarci per sollevare le nostre questioni. La Chiesa deve affrontarle insieme. Il fatto che abbiamo imparato a farlo ancora di più è un grande segno di speranza, e credo che questo sia il grande dono. Più che i temi che abbiamo affrontato, è il modo in cui siamo insieme che fa la differenza.

Che cosa accadrà nel corso del prossimo anno?

Dobbiamo mantenere lo slancio del Sinodo. Abbiamo fatto molta strada e la gente se ne accorgerà leggendo la lettera che abbiamo inviato all’intero popolo di Dio. È breve, dà un po’ dell’esperienza, di ciò che abbiamo passato e di dove stiamo andando. Dovremo lavorare sulla base della relazione finale, che è un po’ più lunga e parla dei diversi argomenti, dei punti di convergenza, delle cose che devono essere approfondite e di ciò che proponiamo per andare avanti. C’è molto lavoro per 11 mesi. Ognuno dovrà vedere se un tema o un altro è una questione di una certa urgenza nella propria regione, in modo da poter lavorare su di esso in particolare. Dovremo anche coinvolgere più persone, come è emerso in ogni fase di questo Sinodo. Ci sono ancora persone che non hanno partecipato, che non hanno assaporato la bellezza di questa conversazione nello Spirito, che possono contribuire con il loro grano di sale, le loro idee, le loro esperienze. Tutti hanno un posto nella nostra Chiesa e dobbiamo trovare un modo per invitarli. La Lettera al popolo di Dio invita sia ministri ordinati che laici, persone impegnate nella Chiesa e persone che se ne sono allontanate. Tutti possono partecipare e arricchire questo processo. Inoltre, nei prossimi mesi, sono sicuro che l’équipe della Segreteria del Sinodo dei Vescovi, insieme al Consiglio Ordinario, rifletterà e vedrà quali strumenti possiamo proporre per aiutare a preparare la prossima fase nel miglior modo possibile.

Alla fine di ottobre 2024, le proposte saranno votate e adottate se otterranno una maggioranza di due terzi. Saranno poi sottoposte al Papa, che avrà il potere decisionale finale. Cosa può dire del rapporto tra sinodalità e verticalità?

È una domanda molto, molto importante. Consultare il popolo di Dio è assolutamente necessario. Dobbiamo lavorare insieme e questo non toglie nulla all’autorità della Chiesa, sia che si tratti delle Conferenze episcopali o del Santo Padre, che, dopo aver ascoltato il popolo di Dio, prenderà una decisione. Anche nelle nostre diocesi funziona così. È molto importante ascoltare i nostri collaboratori, ascoltare tutti, per farsi un’idea giusta. Questo aiuta il vescovo, così come aiuta il Papa, a confermare o aggiustare, correggere o rifiutare ciò che viene proposto. Questa è la sua responsabilità. Nell’esercizio della sinodalità, votiamo le proposte e l’adozione di una tale proposta all’unanimità o con più di due terzi dice qualcosa al vescovo, al Santo Padre, e lui vedrà cosa farne. Questo è il suo ruolo. Siamo un organo consultivo, quindi dobbiamo esserne consapevoli e rispettarlo. È una grande risorsa. Ma siamo fiduciosi che il Papa, l’autorità della Chiesa, sarà in grado di aiutarci ad andare oltre. Ho piena fiducia.

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