La voce del Papa, che grida nel deserto

Vatican News

ANDREA TORNIELLI

All’Angelus di domenica 13 marzo, nono anniversario della sua elezione a Vescovo di Roma, Francesco ha pronunciato parole inequivocabili sulla “barbarie dell’uccisione di bambini, di innocenti” che sta avvenendo chiedendo di fermare il “massacro” e di cessare quella che ha definito “inaccettabile aggressione armata” all’Ucraina. Il Papa ha anche voluto ricordare che chi appoggia la violenza giustificandola con motivazioni religiose, “profana il nome” di Dio che è “solo Dio di pace”.

Prima ancora che l’invasione dell’esercito russo avesse inizio, Francesco aveva detto, all’Angelus di domenica 20 febbraio, “com’è triste, quando persone e popoli fieri di essere cristiani vedono gli altri come nemici e pensano a farsi guerra! È molto triste”. E aveva chiesto di dedicare la giornata del Mercoledì delle Ceneri, quando inizia il cammino quaresimale, al digiuno e alla preghiera per la pace. E all’indomani dello scoppio del conflitto, dopo i primi bombardamenti sull’Ucraina, il Papa aveva voluto recarsi personalmente all’Ambasciata della Federazione Russa presso la Santa Sede, per presentare al rappresentante del Cremlino tutta la sua preoccupazione per la guerra, chiedendo di perseguire la via del negoziato e di risparmiare i civili. All’Angelus di domenica 6 marzo, Francesco aveva anche voluto sgombrare il campo dall’ipocrisia del governo russo che si ostina a definire quella in corso una “operazione militare speciale” mascherando dietro i giochi di parole la sua vera e cruda realtà, quella di una guerra di aggressione.

Per rendere concreta la sua personale vicinanza alle vittime e ai milioni di sfollati in fuga dalla guerra, il Vescovo di Roma ha quindi inviato due cardinali per portare aiuto e sostegno ai profughi a chi generosamente li accoglie. Nello stesso tempo, a più riprese, il segretario di Stato Pietro Parolin ha manifestato la disponibilità della Santa Sede ad aiutare in ogni modo possibile qualsiasi forma di mediazione, e ha chiesto al ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov di cessare gli attacchi e di garantire veri corridoi umanitari. La diplomazia vaticana continua a ripetere che non è mai troppo tardi per dare inizio a un negoziato vero, e non è mai troppo tardi per il cessate il fuoco in una guerra dalle conseguenze incalcolabili e incalcolate che rischia di portare a un’escalation bellica terrificante.

Nelle ultime settimane Francesco è stato oggetto di qualche critica da parte di chi sperava che nelle sue dichiarazioni pubbliche facesse esplicitamente il nome di Vladimir Putin e della Russia, quasi che le parole del pastore della Chiesa universale dovessero rispecchiare i dettami della scaletta di un telegiornale. Siccome ciò non è avvenuto, alla voce del Papa non si è data molta attenzione, in quanto i suoi appelli non corrispondevano al desiderato cliché del Pontefice “cappellano” dell’Occidente, pronto a arruolare Dio e a benedire la guerra nel suo nome.

C’è chi ha accusato il Papa di “silenzio” per non aver esplicitamente nominato Putin, dimenticando che a guerra iniziata i pontefici mai hanno chiamato per nome e cognome l’aggressore, non per codardia o per eccesso di prudenza diplomatica, ma per non chiudere la porta, per lasciare sempre aperto uno spiraglio alla possibilità di fermare il male e salvare vite umane. Anche san Giovanni Paolo II, nato in una nazione martire come la Polonia, vittima di nazismo e comunismo, quando ci fu la guerra in Kosovo nel 1999, mai fece il nome degli autori della pulizia etnica mantenendo sempre aperto un canale di contatto con la Serbia. La Santa Sede riteneva che si dovesse cercare di metter fine ai massacri contro la popolazione albanese, anche se aveva deplorato i lutti e le ferite provocate dal massiccio ricorso ai bombardamenti della Nato. Papa Wojtyla neppure fece i nomi dei capi di Stato occidentali che, nel 2003, vollero muovere guerra all’Iraq sulla base di notizie false circa le armi di distruzione di massa. Tentò, in un caso e nell’altro, di fermare gli attacchi, le pulizie etniche e le guerre, cercò di favorire l’apertura di corridoi umanitari e di far sì che nulla fosse lasciato intentato per evitare il ricorso alle armi. Ciò non significa e non ha mai significato mettere sullo stesso piano aggressori e aggrediti.

È paradossale, dunque, che si dimentichino queste pagine della nostra storia recente, volendo spiegare al Vescovo di Roma quali parole “giuste” usare, dopo che per anni non si è tenuto conto delle parole che invece ha effettivamente pronunciato innumerevoli volte, mettendo in guardia dalla corsa al riarmo nucleare, dal traffico delle armi, dalla guerra e dal terrorismo, dall’economia che scarta e uccide, dalla distruzione del creato.

Quella del Papa è una voce che grida nel deserto. Nei nove anni di pontificato tantissime volte Francesco ha parlato della Terza guerra mondiale che è già in atto, anche se “a pezzi”. Tante volte ha tuonato contro i trafficanti di armi, contro la corsa al riarmo e contro la guerra. Per distruggere l’umanità, ha ricordato in questi giorni Michele Serra, “bastano e avanzano una cinquantina di bombe atomiche. Però nel mondo le atomiche non sono cinquanta. Sono quindicimila”. La guerra “distrugge”, aveva detto nel settembre 2014 Francesco al sacrario militare di Redipuglia nel centenario dello scoppio della Prima guerra mondiale, “distrugge anche ciò che Dio ha creato di più bello: l’essere umano. La guerra stravolge tutto, anche il legame tra i fratelli. La guerra è folle, il suo piano di sviluppo è la distruzione: volersi sviluppare mediante la distruzione!”. In questa profezia, spesso inascoltata dai grandi, ma accolta da tante persone in tutto il mondo, Francesco segue le orme dei predecessori dell’ultimo secolo, che come lui si sono dovuti confrontare con le guerre mondiali, con le guerre in diverse zone del pianeta, con la violenza e il terrorismo.

Cosa può fare dunque il Papa, ora che si spara e si uccide? “Forse nient’altro che pregare il Signore”, ha scritto nei giorni scorsi Gianni Valente, “implorando il miracolo di abbreviare il dolore dei poveri, di far finire l’eccidio.  Ma se potrà/potesse fare qualcosa sul piano politico diplomatico, ciò sarà/sarebbe possibile proprio perché i leader russi sanno che lui non è un mediatore di parte, un agente camuffato dell’Occidente, con cui loro sono entrati in apocalittica rotta di collisione”.

Il Successore di Pietro non ha il problema di far sapere “da che parte sta”, perché il vicario di Cristo, come il suo Signore, sta sempre con gli innocenti che soffrono come Gesù ha sofferto sulla croce. Ogni sua parola, ogni suo tentativo, sono finalizzati a salvare vite umane, a non cedere alla logica del male, a combattere il male con il bene. Nel cuore dell’Europa, in questa sporca guerra che sentiamo così vicina a noi, così come nelle periferie del mondo, dove in questi anni si sono combattute e si combattono guerre dimenticate, con il loro quotidiano lugubre conteggio di morti, di feriti, di sfollati del tutto simile a quello che ora si registra in Ucraina.