Oltre un milione e mezzo ogni anno le vittime della malattia, di cui ogni 24 marzo ricorre la Giornata mondiale. È in Africa che si concentra un quarto dei casi diagnosticati nel pianeta
Gabriele Rogani – Città del Vaticano
Crisi climatiche e guerre stanno aggravando il quadro già molto critico della trasmissione della tubercolosi, di cui oggi ricorre la Giornata mondiale, facilitata dalla povertà in cui versano molte popolazioni. Ad oggi, si calcola che ogni anno oltre un milione e mezzo di persone siano vittime di questa patologia, che è tra le principali cause di mortalità per malattie infettive: il suo batterio, il mycobacterium tubercolosis, scoperto il 24 marzo del 1882 dal microbiologo tedesco Robert Koch, dopo il virus Covid-19, è il più letale al mondo.
È in Africa che si concentra il 25% dei casi
La crisi economica che ha colpito l’Africa ha di fatto reso le famiglie più vulnerabili a causa del peggioramento del loro stato nutrizionale. Il rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, diffuso lo scorso ottobre, segnala una crescita della tubercolosi nel mondo durante la pandemia di Covid-19: nel 2021, si sono infatti registrati 10,6 milioni di malati, con un incremento del 4,5% rispetto all’anno precedente. Un altro drammatico dato rilevato dall’Oms, evidenzia un aumento dei casi di tubercolosi resistenti ai farmaci, con un +3% rispetto al 2020, dato destinato a salire. Anche in questo caso è stato decisivo per questa crescita l’impoverimento della popolazione che, a causa dell’elevato costo delle cure, in alcuni casi, sceglie di interrompere la propria riabilitazione, sviluppando di conseguenza germi resistenti ai farmaci utilizzati in precedenza. In altre situazioni, si va avanti nelle cure, ricorrendo però alla vendita dei propri beni, che siano essi bestiame o terreni.
L’attività sul campo in Uganda, il progetto “SCALE”
A sostegno della lotta alla tubercolosi, è importante il costante intervento di Medici con l’Africa-Cuamm, che lavora sul campo assieme alle comunità e collaborando con i sistemi sanitari locali, giocando un ruolo decisivo in materia di prevenzione, screening e follow-up. Grazie a questo impegno, nel tempo si sono diagnosticati più casi, facendo così scendere di molto il dato dei decessi. L’Uganda è una delle zone in cui si sta concentrando il lavoro del Cuamm, grazie al progetto “SCALE – Increasing coverage of TB prevention and treatment services in Karamoja”, realizzato anche grazie al contributo della Fondation Assistance Internationale. “Questo è un progetto che cerca di aumentare la prevenzione e la diagnostica, oltre che il numero di casi intercettati da mettere in trattamento, per ridurre la trasmissione della malattia e la sua incidenza”, spiega a Vatican News Fabio Manenti, responsabile dei progetti del Cuamm. “Alla luce delle difficoltà che si hanno nel riuscire ad ovviare al problema delle mancate diagnosi, con questo progetto si è arrivati a raccogliere i campioni direttamente nelle case, per poi portarli in laboratorio. Effettuiamo la diagnosi della tubercolosi e determiniamo la resistenza alla rifampicina, uno dei farmaci a cui si associa la multi resistenza”.
L’Etiopia, tra le zone più a rischio
Quest’anno il Cuamm ha iniziato in Etiopia un nuovo lavoro di ricerca sulla tubercolosi, in collaborazione con l’Università di Bari. “Al momento – spiega Manenti – l’Etiopia è una delle zone che preoccupa maggiormente a causa dell’instabilità complessiva dello Stato, condizionato dalle vicende del Tigray. Lo scenario del Paese preoccupa per l’incidenza della malattia: i cambiamenti climatici, la siccità e gli sfollati interni che, non avendo accesso ai servizi sanitari, per fare diagnosi e iniziare terapie si muovono e si ammassano”. Una situazione che non fa altro che, prosegue l’esperto del Cuamm, peggiorare lo scenario complessivo, soprattutto dal punto di vista sociale. Anche la Repubblica Centrafricana e il Sud Sudan, aggiunge, “non vivono un momento facile, ma la situazione etiopica resta ad oggi quella più a rischio”. Clima e guerre, dunque, segnano l’incremento della povertà, elemento che si riflette nell’aumento dell’incidenza della malattia, conclude Manenti, “soprattutto a causa della fragilità dei sistemi sanitari, che in larga scala impediscono di diagnosticare il problema, facilitando così la trasmissione della tubercolosi”.