La terapia del verde contro l’Alzheimer

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Il progetto dei Giardini Terapeutici del Centro Teresa di Calcutta a Padova è stato studiato, certificato e infine premiato. A contatto con querce, allori e rosmarino, i pazienti con demenza ritrovano ricordi, funzioni cognitive compromesse come il linguaggio, migliorano il tono dell’umore e soprattutto fanno minor uso di farmaci. Monsignor Ravazzolo: “la natura è un grembo capace di accogliere, generare, curare”

Cecilia Seppia – Città del Vaticano

Anticorpi monoclonali, molecole intelligenti in grado di ripulire il cervello dall’accumulo di Beta-Amiloide, farmaci in fase sperimentale messi a punto nei laboratori d’oltreoceano, onde transcraniche per risvegliare ricordi, training cognitivi supportati dalla realtà virtuale, la verità è che per l’Alzheimer, nonostante gli sforzi inarrestabili della ricerca, ancora non esiste una cura, se non quella che gli esperti chiamano di “contenimento” e rallentamento della malattia. E quando il declino cognitivo patologico entra in una casa, quando la demenza investe un nonno, una nonna, un genitore, una persona cara, l’unica cosa che vien voglia di fare, lungi dal seguire sfiancanti triage ospedalieri, è quella di fermare il tempo e smettere di lottarci. Accade qui, a Rubano in provincia di Padova, nei Giardini Terapeutici del Centro Casa Madre Teresa di Calcutta, dove il verde rigenera e cura, e la vita di pazienti e caregiver scorre in uno stato di ritrovata normalità.  Giovanni con le mani nei vasi accudisce i suoi semi e sa che una volta piantumati deve innaffiarli e si ricorda di controllarli ogni giorno, come si fa con un fratello, un amico, di cui si segue la salute. Anna cammina fino al grande ciliegio. D’improvviso alza la testa, respira profondamente, un guizzo negli occhi. Proprio sopra di lei uno scoiattolo saltella tra i rami. E un sorriso la illumina. Piero si aggira tra i cespugli in fiore, arriva al rosmarino, lo prende tra le mani, l’annusa, tuffa il viso tra i rametti, sembra felice, sereno. Rina da quando ha messo piede nel Giardino Terapeutico ha recuperato tutti i ricordi del suo giardino di casa, di quand’era giovane, è convinta di essere proprio lì, vuole occuparsene da sola. Perciò gli operatori le lasciano il suo spazio, senza la presenza di altri pazienti. Odori, colori, contatto con alberi, fiori, piante aromatiche è la terapia che si è dimostrata efficace per i malati di Alzheimer, premiata da Innovation Lab e, a livello internazionale, dall’Urban Innovation and Entrepreneurship di Sidney. Un progetto, quello di Padova, conosciuto come progetto Verbena (Verde e benessere Alzheimer) che dopo due anni di sperimentazione, ha benefici certificati dallo studio del Dipartimento di Psicologia dell’Università di Padova e dal Tesaf, ideato da Giotto Cooperativa Sociale e Opsa (Opera Provvidenza Sant’Antonio), Dipartimento di Psicologia Generale e Dipartimento di sistemi Agro-Forestali dell’Università di Padova. E poi due libri, “Curarsi del Verde” e “Salvarsi con il verde”, pubblicati con le linee guida e i risultati della sperimentazione.

Un angolo dei Giardini Terapeutici

Più memoria, meno ansia

“Dopo il Giubileo del 2000 – dice monsignor Roberto Ravazzolo, direttore dell’Opsa e del Centro Madre Teresa – la diocesi si è interrogata su quali fossero i bisogni emergenti e si è resa conto che non esistevano dei centri specifici e dedicati a queste persone affette da disturbi cognitivi e alle loro famiglie. La prima pietra della Casa Madre Teresa è stata posta proprio nel 2000, poi con l’impegno di tutti, e la visione profetica di don Roberto Bevilacqua dell’Opsa, che era medico, la struttura ha iniziato a funzionare nel 2006 e attualmente accoglie 34 persone in due centri residenziali e 50 in due centri diurni. Le attività sono tantissime, tutte supportate da medici, psicologi e operatori esperti, ma potremmo dire che i Giardini, inizialmente pensati per offrire solo dei momenti di svago e passeggiate, per essere mero elemento di decoro della Casa stessa, sono diventati la vera ratio di questo luogo”. Sì perché più tempo passano tra querce e allori, ulivi, aceri e magnolie, più i pazienti recuperano la memoria. Una specie di miracolo di fronte al quale, figli e coniugi non riescono a trattenere le lacrime. Ma non è tutto. I benefici sono molteplici: i pazienti si mostrano più autonomi, meno ansiosi e irrequieti, meno apatici e depressi, maggiormente propensi alla socialità capace di riattivare funzioni cognitive importanti come il linguaggio e il ragionamento, ma soprattutto, sostiene lo psicologo del Centro, il dottor Andrea Melendugno, si riducono in modo consistente i farmaci, una sfilza, utilizzati per questa patologia. A dirla tutta sembrerebbe che il verde ‘ragionato’ di questo luogo abbia quasi il potere di riparare neuroni danneggiati, di crearne di nuovi, proprio come i germogli della Primavera.

I pazienti di Casa Madre Teresa hanno la possibilità anche di praticare l’orticoltura

La realizzazione dei giardini

Tanti ettari, all’incirca 22, di cui i Giardini (tre in tutto) sono solo una piccola porzione, una specie di “hortus conclus”, per usare un’espressione biblica, eppure i pazienti non possono perdersi perché, anche se ampi e variegati, i percorsi sono circolari, tornano cioè sempre al punto di partenza. Tutto qui è studiato nei minimi dettagli non per “assecondare” la malattia, ma per curarla: le piante, la collocazione, la divisione degli spazi, la tipologia dell’orto. Le scelte sono curate dal garden designer internazionale Andrea Mati, specializzato in aree verdi per persone con fragilità. “La frontiera ultima è la cura del paziente – spiega ancora monsignor Ravazzolo – . Questa non è una RSA dove le persone affette da Alzheimer vengono ‘parcheggiate’ o solamente accudite. Basta pensare che prima di allestire il Giardino abbiamo individuato 480 ricerche sul tema, è stata fatta un’attenta ricognizione del luogo, una selezione accuratissima delle piante, perché ogni pianta, ogni albero deve avere una determinata forma, un preciso sviluppo, persino la proiezione dell’ombra degli alberi è stata studiata ad hoc. Per i malati di Alzheimer infatti l’ombra è spaventosa, non fa altro che peggiorare l’inspiegabile sensazione di ‘buco nero’ che vivono nella propria mente e che alimenta ansia e depressione”.

Sostenibilità, riconoscibilità, biodiversità

Attualmente ci sono 138 differenti specie vegetali e sono tutte del territorio. Non si può infatti costruire un giardino con piante che vivono in un’altra regione, bisogna tenere in considerazione il clima, l’esposizione al sole, l’umidità e la composizione del terreno. Inoltre se un malato ha a che fare con un elemento vegetale proprio del territorio, vive uno stato di maggiore sicurezza, conosce e riconosce quell’elemento e può persino arrivare a recuperare ricordi d’infanzia. Quindi il ficus, l’olmo, il corbezzolo, l’acero, ciliegi e melograni che riempiono giardini e campagne del Veneto, creano un ambiente riconoscibile e familiare in chi ha perso i ricordi. Così anche timo, salvia, alloro, rosmarino sono richiami cognitivi importanti. La selezione delle piante è fondamentale per la memoria. “Dopo una prima fase di ricognizione – prosegue il direttore – si è passati a quella di sperimentazione con due ricerche sul campo, una per i residenti e una per gli ospiti del centro diurno. In tutto sono stati coinvolti 45 ospiti in maniera attiva, includendo praticamente tutti gli stadi della malattia, dallo stadio più lieve a quello moderato al più grave. Sono state coinvolte equipe multidisciplinari e anche un gruppo di familiari per individuare insieme i criteri di rimpianto e azione, ne sono seguite pubblicazioni dei risultati su riviste scientifiche internazionali, una monografia del progetto che ora è un manuale di uso per chi sta cercando di fare quello che abbiamo fatto noi e in particolare grandi passi avanti nella cura”. Dietro la scelta delle piante, rigorosamente autoctone, si celano altri due motivi oltre alla riconoscibilità da parte degli ospiti. Ovvero la sostenibilità e il recupero della biodiversità che l’azione demolitrice dell’uomo sta facendo scomparire. “Il tema della sostenibilità è molto importante, piantare un giardino vuol dire anche garantire la manutenzione e questo ha dei costi. Il giardino per essere efficace deve essere ben manutenuto. Dalla biodiversità inoltre arrivano anche gli stimoli più idonei per i malati, oltre ovviamente a nutrire l’ambiente”, avverte il dottor Melendugno.

Tutte le piante dei Giardini Terapeutici, anche quelle da fiore, hanno una forte connessione con il territorioo

Fruizione libera e autonoma

Da allora la sperimentazione non si è mai fermata, il verde è cresciuto, i Giardini Terapeutici si sono riempiti di alberi, i pazienti hanno iniziato a vivere tra la natura, a stare sempre meglio. E i risultati sono arrivati. “All’inizio – sottolinea Nicola Boscoletto, presidente della Cooperativa Giotto che ha seguito e tutt’ora si occupa della realizzazione dei Giardini – gli studi erano pionieristici, è stata una grande sfida. Ma sempre di più negli ultimi anni, anche grazie al nostro progetto, c’è stata la conferma che l’interazione di persone con Alzheimer e altri tipi di demenza con parchi e giardini opportunamente realizzati, favorisce la rigenerazione delle risorse cognitive”. Nei Giardini i malati possono passeggiare in qualsiasi momento, senza orari, anche di notte per chi soffre d’insonnia, da soli, in autonomia, o con gli operatori: una fruizione totalmente libera. Sotto i calicanto e tra i corbezzoli incontrano amici e parenti, stanno seduti all’aperto, coltivano l’orto e i fiori. Oppure ci sono proposte organizzate: la musicoterapia, il giardinaggio, attività sensoriali. Anche in carrozzina ci si può occupare del giardino e dell’orto, grazie a spazi sopraelevati, ad altezza di persona seduta.

I Giardini sono realizzati da architetti specializzati e seguono percorsi circolari

La natura è un grembo che accoglie e genera

“Pensando a questi Giardini – aggiunge don Roberto – ho l’immagine della natura come di un grembo che accoglie e genera vita e non posso non pensare a ciò che ci dice Papa Francesco nell’enciclica Laudato si’. L’uomo è esso stesso parte della natura. Noi a volte pensiamo la natura come qualcosa di estraneo rispetto all’uomo, di cui l’uomo è spettatore, ma non dimentichiamo che ognuno di noi è parte di questo amore creativo di Dio che dà vita a tutte le cose. E quindi nel testo del Pontefice, veramente noi abbiamo trovato il ‘La’ teologale che consente di cogliere questa connessione e di spiegare oltre gli approfondimenti psicologici, botanici, terapeutici, in una prospettiva teologica, il perché di questo. Attraverso la natura riusciamo a prenderci cura di malati troppo spesso dimenticati o affidati solo alle amorevoli ma sfiancanti cure dei familiari. Qui al Centro Madre Teresa vediamo realizzarsi quel connubio vincente tra uomo e ambiente di cui parla il Santo Padre, fino ad avere l’evidenza di una cura”. “Cura, fragilità e comunità, rimarca il dottor Melendugno, sono le tre parole chiave che emergono dal nostro progetto e che attingono direttamente all’enciclica di Papa Francesco. E quando parliamo di comunità non facciamo riferimento solo alla comunità di persone, ma anche a quella delle piante. Le piante che si trovano nei Giardini Terapeutici devono poter coesistere tra di loro e garantire ai nostri ospiti un ambiente favorevole, capace di dialogare e interagire con loro, per curare e apportare benefici”.

Meno assistenzialismo, più sostenibilità

Insomma, il Giardino Terapeutico è davvero un presidio sanitario a tutti gli effetti. Ne hanno beneficio gli ospiti, ma anche il personale che lavora nella struttura, e, cosa non da poco i familiari. La svolta che può operare è una politica di scelte meno assistenzialistiche, ma sostenibili e generative. L’obiettivo è il benessere della persona, fare stare meglio sia i malati che le famiglie. E sono proprio le famiglie a dare riscontri positivi, ripetendo che vedono i loro cari sereni come non lo erano da tempo. Il risultato finale del progetto Verbena sono le linee guida certificate per allestire e utilizzare i giardini terapeutici nelle strutture per anziani: “Padova – conclude don Roberto Ravazzolo – vuole essere apripista, esempio per un cambiamento concreto della qualità di vita nelle Rsa”.